Aula montecitorio

Il dibattito sul centro politico, che il riassetto del sistema dei partiti attorno a un blocco populista avrebbe reso sterile e deserto, rischia di fondarsi su un equivoco. Quello secondo cui un centro sociale esiste, per così dire, “in natura” in tutti i paesi sviluppati e non trova espressione politica per meri problemi di offerta, cioè per la debolezza dei partiti che dovrebbero rappresentarlo.

Il centro, in questa logica, sarebbe quello della borghesia produttiva e della classe media diffusa, interessata a consolidare la stabilità delle istituzioni e a sostenere politiche moderate e non estremistiche, in particolare (ma non solo) sui temi economico sociali. Il centro, insomma, che nella Prima Repubblica aveva la propria casa nella DC e nei partiti laici e nella seconda aveva traslocato, per le identiche ragioni, nella carovana berlusconiana.

Le trasformazioni di tutte le società avanzate ha reso sempre più esiguo quantitativamente questo “centro sociale”. Il ceto medio si è proletarizzato e reagisce al senso di insicurezza e precarietà con domande di protezione e di cambiamento confuse, ma tutt’altro che moderate. I cosiddetti ceti produttivi, anche quelli più esposti sul lato dell’export, avvertono la competizione globale sempre meno come una opportunità e sempre più come una aggressione. La domanda politica di questi mondi contiene sempre più istanze di protezione e di tutela. Di sicurezza, in senso lato, e non di libertà.

Nella Seconda Repubblica, il bipolarismo centro-destra/centro-sinistra è stato raccontato come uno scontro tra la società del rischio (imprenditori, professionisti, partite Iva, commercianti e artigiani) e quella delle garanzie (dipendenti pubblici e privati, insegnanti, pensionati) e per un certo (breve) periodo questo racconto ha avuto alcuni elementi di verità, ma nella sostanza la forza del fenomeno politico berlusconiano aveva replicato quella dell’interclassismo democristiano della Prima Repubblica, cioè una capacità di rappresentanza di ceti e interessi diversi in nome di un ideale di emancipazione individuale e di miglioramento complessivo. Nel ‘94 Berlusconi vince le elezioni e le vince anche nello storico collegio operaio di Mirafiori a Torino. Nel 2001 gli operai che votano per Forza Italia sono tanti quanti quelli che votano per i Democratici di Sinistra.

Il passaggio del centro-destra dalla profezia della fiducia alla retorica della paura e della difesa, consumatasi in un periodo di tempo abbastanza lungo, ma già innescata dalla prima metà degli anni 2000 con l’angosciosa futurologia tremontiana, incrocia a quel punto il momento di più doloroso declino economico (intorno al 2008) e di più confusa deriva politica (con l’affermazione del M5S) e si riassesta attorno al nuovo schema bipolare - Palazzo contro Popolo - fino a ereditare con Salvini la rappresentanza generale delle ragioni della rivolta. In tutto questo il centro sociale è passato dall’essere il perno del sistema al sentirsi la prima vittima del sistema, ad avanzare richieste confuse e contraddittorie e comunque a chiedere tutto, fuorché stabilità o continuità.

Quando, come ha rilevato Ipsos, per un partito come la Lega, che è certo l’erede dell’elettorato berlusconiano, ma ne è anche il rovescio o il negativo, vota la maggioranza di tutti i gruppi sociali - dagli imprenditori ai disoccupati, dagli insegnanti e impiegati agli artigiani e commercianti, dai pensionati alle casalinghe - l’analisi del voto non racconta solo un fenomeno politico, ma anche uno straordinario mutamento sociale, in cui del vecchio centro non rimane né il corpo né lo spirito.

La competizione per il voto di questo centro esploso in mille pezzi non può partire dalla sua ricomposizione in una vecchia scatola “moderata”. Al contrario è una concorrenza sul piano della radicalità e della speranza di cambiamento. Sulle tasse, sul lavoro, sull’equità, sulla sicurezza, sulla crescita questo mondo può anche smettere (speriamo) di credere alle panzane di Salvini, come prima a quelle di Di Maio, ma non smettere di sentirsi, come effettivamente è, a rischio.

Non si può certo pensare di riconquistarne i favori con le parole d’ordine, immagini e liturgie di un tempo passato. Gli elettori che sembrano mancare all’appello, semplicemente non ci sono più. Facciamocene una ragione e smettiamo di rimpiangerli.

@carmelopalma