Populismi e no. Per un’alternativa 'dall’altra parte della strada'
Istituzioni ed economia
Si parla in questi giorni dell’invito a partecipare alla Festa dell’Unità rivolto al Ministro Di Maio. Dietro questo invito, è fin troppo ovvio, si malcela l’illusoria volontà di rompere il fronte pentaleghista facendo leva sulle presunte differenze ideali tra l’anima leghista e quella pentastellata. Contestualmente, il segretario del PD Martina propone la costruzione del fronte socialista mediterraneo come antidoto ai movimenti populisti.
Cos’hanno in comune queste due proposte? Sono entrambe prigioniere del vecchio paradigma politico fondato sullo schema destra/sinistra e sulle conseguenti illusioni che la maggioranza di governo si incrini facendo leva sull’anima “di sinistra” dei cinquestelle e che i populismi si fermino con una nuova affermazione del socialismo.
In realtà, la maggioranza di governo non nasce da una difficile e tormentata mediazione tra forze mosse da orientamenti differenti. Nasce al contrario sulle solide basi di una cultura politica comune e riconoscibile, in gran parte determinata dalla grillizzazione della Lega, cioè dall’impasto di nazionalismo e populismo in un unico “pensiero contro”. Si tratta di una vera cultura politica, con una sua indiscutibile unità, ma capace di attrarre elettori storicamente orientati tanto a destra quanto a sinistra ed è proprio questo tratto a renderla compatibile con il nuovo paradigma politico.
Pensare di costruire l’alternativa alla cultura politica pentaleghista restando nell’ambito della cosiddetta “sinistra” è semplicemente antistorico.
Ho già avuto modo di mettere in evidenza come la cultura politica grillina e poi pentaleghista rappresenti una risposta a bisogni di tipo esistenziale: un’epoca, quella 4.0, nella quale l’unica certezza è l’incertezza e l’unica stabilità è il cambiamento continuo, può fare paura. Il comune denominatore delle politiche leghiste sull’immigrazione e delle politiche pentastellate sul lavoro, è rappresentato dal rifiuto della nuova epoca e di ciò che i processi di globalizzazione e digitalizzazione comportano: un mondo multiculturale in continuo movimento.
Così si spiegano tanto l’ostracismo nei confronti degli stranieri (specie se di pelle e religione diversa), quanto l’ostracismo, ampiamente testimoniato col decreto dignità, verso il mondo dell’impresa e i suoi bisogni di flessibilità. Rispetto al tema dell’immigrazione, non serve demonizzare Salvini e ancora meno aiuta un ultra-umanitarismo dallo stantio sapore catto-comunista. Sul tema del lavoro, le strizzate d’occhio a Di Maio, non solo non rompono il fronte pentaleghista, ma sono funzionali al suo rafforzamento.
Occorre porre le basi ideali per costruire un’alternativa al pentaleghismo, un’alternativa che non sia tutta “contro”, sia piuttosto “dall’altra parte della strada” e, naturalmente, sappia essere attrattiva in modo assolutamente trasversale rispetto al vetusto schema destra/sinistra. Per fare ciò è necessaria innanzitutto una diversa narrazione dell’epoca 4.0. Occorre metterne in evidenza la bellezza e la sua implicita richiesta di un nuovo approccio alla vita, fondato sull’espressione del proprio talento, sull’esercizio della responsabilità individuale e sulla capacità di mettersi in gioco.
In secondo luogo, occorre una diversa narrazione del tema dell’immigrazione e del rapporto tra paesi ricchi e paesi poveri. Gli uni sono indispensabili agli altri, nessuno aiuta alcuno, l’unica risposta seria è racchiusa nella parola inclusione. In terzo luogo, è necessaria una narrazione completamente nuova del tema del lavoro. È perfettamente inutile rivendicare stabilità in un mondo che richiede cambiamento continuo. Cambiare frequentemente lavoro rappresenta un fattore di crescita e apprendimento, di ricchezza di esperienza di vita. Non serve forzare le imprese a garantire stabilità, occorre invece generare le condizioni grazie alle quali cambiare lavoro diventa sostenibile e “facile”, quindi auspicabile.
Nel nuovo mondo, lo straniero povero non si aiuta a casa sua né di altri, semplicemente si include. Allo stesso modo, il lavoro non si perde e non si trova, semplicemente si cambia.