Aboliamo i contributi
Istituzioni ed economia
È, di fatto, iniziata la campagna elettorale e, come sempre avviene, si è iniziato a parlare di pensioni: c’è chi vuole aumentare l’assegno minimo a 1.000€ al mese, chi vuole abolire in toto la legge Fornero e chi chiede di modificarla per attenuarne gli effetti. Ovviamente nessuno parla di mettere in sicurezza il sistema o diminuire gli assegni più alti. La ragione è semplice: i pensionati votano, chi dovrà pagare il costo maggiore di queste decisioni ancora no.
William Graham Sumner avrebbe parlato di “uomini dimenticati” e per i nati dopo il 2000 il termine può anche essere corretto. Per i Millennials, però, no. Loro sono parte attiva, ma non consapevole, di quel che succederà. Non è un caso se l’unica proposta spinta a gran voce dai Millennials sul tema pensioni sia stata il riscatto gratuito della laurea.
Voglio fare un esperimento e, dal momento che non vi è la necessità di racimolare voti, presentare una “proposta shock” sul tema pensioni che allevia il carico per i giovani e per chi ha un reddito minore, spostandolo su pensionati e chi ha un reddito più alto. Dimenticavo! È anche a prova di ricorso alla Corte Costituzionale!
La sintetizzo in una riga: aboliamo i contributi previdenziali. E come le paghiamo le pensioni? Seguite il ragionamento.
Sgomberiamo subito il campo da un equivoco: il legame tra pensioni pagate e contributi versati è solo formale ma non effettivo. L’Inps non accantona, né investe i contributi previdenziali dai lavoratori ma li usa, subito, per pagare gli assegni mensili dei pensionati: il nostro è, infatti, un sistema a ripartizione (o “pay as you go”), non a capitalizzazione. Se ci pensate, il sistema assomiglia molto di più a uno schema di Ponzi che non a un piano di accumulo e sta in piedi solo fino a quando la demografia dà una mano. Se, invece, i pensionati diventano una percentuale crescente della popolazione il peso sulle spalle dei lavoratori cresce sino a diventare insostenibile.
A che punto stiamo in Italia? Male, tanto che già da tempo l’Inps non riesce a raggiungere l’equilibrio finanziario, anche scorporando le prestazioni assistenziali, e lo Stato è costretto a intervenire con la fiscalità generale. Facciamo, allora, un esperimento mentale e proviamo a considerare i contributi previdenziali non come una quota parte del nostro stipendio che accantoniamo mensilmente per costruirci una pensione, ma come una tassa che paghiamo per finanziare la spesa pensionistica corrente. Non vi pare una “tassa” iniqua?
- colpisce solo i lavoratori e non tutti i percettori di reddito (non colpisce i pensionati, né i redditi non da lavoro);
- l’aliquota, a parità di reddito, può variare a seconda della categoria di lavoratore;
- a parità di categoria, l’aliquota è fissa, ma non progressiva. Si paga, quindi, sempre il 40% (o altra percentuale) del reddito, indipendentemente dal fatto che questo sia di 1.500€ o 150.000€ al mese.
Se il governo introducesse una tassa con queste caratteristiche, ci sarebbe la corsa alla Consulta per farla giudicare incostituzionale. Poiché, invece, parliamo della principale fonte di entrata dell’INPS e poiché per i lavoratori dipendenti il prelievo viene fatto direttamente alla fonte, non ci accorgiamo quasi di pagarla. In quanti conoscono la cifra esatta di “contributi previdenziali” che versano all’Inps? Soli i lavoratori autonomi, vero?
E allora la proposta shock sta proprio qui.
- Si aboliscono i contributi previdenziali;
- quella quota parte (ovviamente anche quella formalmente a carico del datore di lavoro) torna a far parte del reddito dei lavoratori e quindi diventa soggetta a Irpef;
- si rimodulano le aliquote fiscali per garantire l’invarianza delle entrate.
As simple as that. Il risultato netto sarebbe una redistribuzione del peso del sistema pensionistico lungo tre direttrici:
- dal lavoro verso altri redditi, dal momento che questi ultimi oggi non partecipano al suo finanziamento;
- dai redditi più bassi a quelli più alti, poiché le aliquote sono progressive;
- dai giovani verso gli anziani, visto che i pensionati con assegni più cospicui vedrebbero il loro assegno decurtato dalle maggiori tasse da pagare.
Il calcolo degli assegni pensionistici, spariti i contributi, si potrebbe fare esattamente come oggi visto che, alla fine, si tratta solo di applicare una formula matematica ai redditi dei lavoratori che vanno in pensione.