Hillary Clinton

"L’esito della maggior parte delle elezioni è già deciso ancor prima che la campagna abbia inizio”. E’ la legge di Farley, campaign manager del presidente Franklin Delano Roosevelt e attivo nelle campagne del Partito Democratico fino agli anni Settanta del secolo scorso. Credo che questa legge può aiutare a rispondere alla domanda “Trump può diventare presidente?”.

I Repubblicani stanno gettando al vento la possibilità di vincere le elezioni presidenziali e tutti gli indicatori principali vanno in direzione favorevole ad Hillary Clinton nonostante la sua incapacità di rendersi meno invisa all'elettore medio. La prossima potrebbe essere una campagna dove gli elettori dovranno scegliere il male minore: Trump è attualmente apprezzato da poco più del 25% degli elettori, mentre Hillary supera di poco un terzo.

È vero che gli elettori americani cercano un cambiamento e sono arrabbiati, ma Trump non sembra in grado di allargare la base del partito e il vantaggio di Hillary potrebbe trovarsi nel vecchio adagio "better the devil you know" (meglio il diavolo che conosci): tra un male che conoscono e uno che non conoscono gli elettori di solito scelgono il primo.

Torniamo alla legge di Farley: per predire l’esito di un’elezione, a più di sei mesi dal voto, sono più utili fattori generali quali la situazione economica, l’indice di approvazione del presidente uscente e la propensione al cambiamento che fluttuazioni nei sondaggi dovuti a fattori di breve periodo quali effetto delle dichiarazioni, errori grossolani da parte di uno dei candidati e così via. Lasciamo quindi stare i sondaggi sulle intenzioni di voto e guardiamo due elementi predittivi quali l’andamento dell'economia e l'approvazione nei confronti del presidente uscente.

Nelle ultime settimane l'indice di approvazione del presidente Obama ha ripreso a crescere e ha raggiunto il 53% nelle rilevazioni settimanali della Gallup (con quei numeri vincerebbe tranquillamente le elezioni se potesse candidarsi ad un terzo mandato). La crescita nei sondaggi è probabilmente dovuta alle scarse prestazioni dei candidati nelle elezioni primarie, ma soprattutto alla ripresa economica e al miglioramento dell’indice di fiducia dei consumatori. Un ruolo più attivo di Obama nella fase finale della campagna elettorale potrebbe aiutare Hillary a mobilitare quella base di giovani e minoranze etniche che hanno fatto la fortuna dei democratici nelle ultime due tornate presidenziali.

L’unico fattore a vantaggio di Trump è la voglia di cambiamento e di figure nuove. Su questo aspetto si combatterà una campagna molto aspra per demolire l’immagine dell’altro candidato e mettere dubbi nell’elettorato circa il carattere e la capacità di guidare il paese in un’era di cambiamenti veloci e crisi improvvise: meglio una donna non particolarmente simpatica, ma sicuramente competente o un outsider con uno stile decisionale molto diretto, ma con forti incognite su competenza e capacità di mediare che è indispensabile per poter governare?

Hillary ha praticamente già vinto la nomination e ora dovrà pensare a come inglobare la base del suo rivale Sanders e a scegliere il candidato alla vicepresidenza migliore. Trump è a un passo dalla certezza di riuscire a raggiungere la soglia dei 1237 delegati necessari per evitare manovre durante la convention per sottrargli la nomination. Domani si terranno le elezioni primarie nello stato dell’Indiana che nel campo repubblicano assegneranno 57 delegati con il meccanismo del winner takes all: in caso di vittoria Trump si vedrà assegnati almeno 45 delegati toccando quota mille. L’alleanza tra Kasich e Cruz è già saltata e ieri quest’ultimo, nel tentativo di conquistare visibilità mediatica a scapito del rivale, ha compiuto una mossa disperata annunciando Carly Fiorina come sua candidata alla vicepresidenza. L’esposizione mediatica di Trump è stata finora tripla rispetto a quella di Kasich e Cruz messi assieme e se vogliono giocarsi le poche chance residue devono recuperare visibilità.

Fino a giugno il processo delle primarie proseguirà, ma vedremo aumentare le battute rivolte al candidato dell’altro schieramento. Sarà una campagna che toccherà toni molto aspri con un Trump che probabilmente continuerà a rompere ogni regola di galateo politico con duri attacchi personali. L’unico dubbio è su quanto in là potrà spingersi e quanti danni potrà arrecare alla reputazione della candidata democratica che è già segnata dalla lunga presenza sulla scena pubblica. L’esposizione mediatica e le battute ad effetto hanno aiutato fino a questo momento l’emersione di Trump, ma il clima potrebbe cambiare in una corsa a due e gli eccessi ritorcersi contro. Probabilmente alla fine gli americani sceglieranno il "male minore" Hillary, ma si accettano scommesse.