DellaVedova Eluana

'Non sfido nessuno, sono e resto un padre'. Con queste parole Beppino Englaro ha commentato la 'intima gioia' procuratagli dalla sentenza del Tar di Milano che ha condannato la Regione Lombardia per essersi rifiutata, nel febbraio del 2009, di dare seguito alle sentenze che riconoscevano il diritto all'interruzione dell'accanimento terapeutico nei confronti della figlia Eluana, in stato vegetativo dal 1992.

Considero Beppino un vero eroe civile. La sua battaglia per rispettare le volontà della figlia è stata condotta pubblicamente, nella ricerca di una via legittima riconosciuta poi come tale dalla Repubblica italiana.

Molti avrebbero scelto di affrontare la vicenda con mano pietosa e riservatezza. Anche la famiglia Englaro poteva scegliere questa via e nessuno, per me, avrebbe potuto biasimarla. Ma Beppino ha interrogato lo Stato, ritenendo che la sua richiesta fosse legittima e che ciò andasse riconosciuto senza esporre nessuno alle sanzioni o al semplice rimorso dell'illegalità.

Si è socraticamente inchinato alla Legge quando i tribunali gli hanno dato torto, ma non si è arreso finché la giustizia italiana non ha riconosciuto, per lui e per tutti coloro che si trovino in quelle condizioni, che la sua richiesta fosse legittima e che le volontà di Eluana andassero rispettate secondo la Costituzione e il diritto.

Beppino Englaro si è esposto pubblicamente, da vero Davide contro il Golia del conformismo, per combattere la sua causa giusta e, una volta vinto, visto riconosciuto il diritto di Eluana ad andarsene in pace, è tornato nella sua dimensione di padre.

Ho un ricordo personale e politico molto vivido di quei giorni.

Nella notte tra il 5 ed il 6 febbraio 2009 feci un sit in davanti a Palazzo Chigi (ricordo le visite notturne di molti amici, a partire da Marco Pannella) con un cartello con la scritta: "Eluana: no al decreto, lasciamola andare", per chiedere a Silvio Berlusconi e al Governo della cui maggioranza facevo parte di rinunziare al varo di un decreto che avrebbe portato i carabinieri al capezzale di Eluana per obbligare i medici a tornare sui loro passi e riprendere l'alimentazione già interrotta.

Il decreto venne varato: il Capo dello Stato Napolitano non lo firmò ed Eluana si spense nella clinica di Udine dove era stata trasferita dopo i divieti illegittimi della regione Lombardia.

Quel pomeriggio il Popolo Della Libertà tenne una conferenza stampa per dire che proprio sul caso Eluana, su quelle posizioni, "nasceva" il PDL. La mia risposta fu che così il progetto del PDL, quello di un country party liberal-democratico o liberal-conservatore, andava in crisi.

Per me quella vicenda segnò, dunque, l'inizio della fine nella fiducia che qualcosa di anche solo riconducibile alla rivoluzione liberale potesse scaturire dalla leadership di Berlusconi.

Ci avevo creduto e non rimpiango di averlo fatto; ma fu chiaro che accanto alla rinuncia a battersi per le riforme liberali - dall'articolo 18 alla responsabilità civile dei magistrati - la sterzata reazionaria sui diritti del caso Eluana segnava la strada che ha portato dritto dritto alla leadership anti europea, nazionalista e autarchica del centrodestra salviniano di oggi. Prenderne atto non fu semplice, ma fu doveroso.

Io sento il dovere di dire grazie di cuore a Beppino, per il metodo oltre che per il merito della sua battaglia. Credo che l'Italia intera lo debba ringraziare.