panni stesi

Come funziona un condominio? Più o meno tutti ne abbiamo esperienza, e tutti risponderemmo che funziona male. Nel condominio ognuno è padrone a casa sua, salvo per quanto riguarda alcune pertinenze comuni che obbligano al rispetto di alcune regole comuni e alla copertura di alcuni costi comuni. Esiste un organismo di rappresentanza, l’assemblea, che esprime una autorità amministrativa “tecnica”, l’amministratore del condominio, e un regolamento di condominio che i condomini sono tenuti a rispettare, ognuno per il bene di tutti.

L’Unione Europea oggi funziona più o meno così. Gli Stati membri dell’Unione - i condomini - godono ognuno di piena sovranità, e partecipano alla gestione dello spazio comune europeo sulla base dei trattati che hanno liberamente sottoscritto - il regolamento di condominio - che li obbliga a partecipare alle spese e a rispettare alcune regole fondamentali. Anche l’Unione Europea ha un’amministratore di condominio, la Commissione Europea - oggi presieduta da Claude Juncker - ma tutti sanno che non si tratta di un’autorità con molto potere effettivo. E’ l’assemblea dei condomini, ovvero il Consiglio Europeo nel quale siedono i capi di Stato e di governo dei paesi membri, l’organismo che ha il potere di governo sui problemi dell’Unione. Il posto in cui vengono prese le decisioni che contano.

Tutti sappiamo come si svolge la vita di un condominio. I problemi principali sono il rispetto delle regole comuni da parte di tutti, e il rapporto tra le diverse “sovranità”, ovvero tra i vari condomini. Per quanto il regolamento ripartisca gli oneri in maniera proporzionale, esistono sempre dei condomini morosi, oppure che hanno problemi particolari, e quindi ritengono di aver diritto a delle deroghe o a degli sconti: l’intonaco che dal cornicione cade sul terrazzo di Tizio e che il condominio non ha fatto ancora riparare, una perdita d’acqua che danneggia la roba in cantina di Caio, la casistica è infinita. Per non parlare poi dei problemi che i condomini si procurano reciprocamente, o che procurano agli spazi comuni: l’anziano che tiene la televisione a tutto volume, il figlio dell’architetto che suona la chitarra elettrica, la signora che annaffia i fiori sgocciolando sui panni stesi di sotto, il cane che piscia sul tappetino dell’ingresso, la domestica che fa sgocciolare la spazzatura sulle scale, i clienti dell’avvocato che lasciano sempre l’ascensore aperto, per non parlare del casino che fanno gli ospiti del B&B.

Se è vero che teoricamente il regolamento condominiale fornisce strumenti per dirimere qualsiasi controversia, o quasi, nella realtà questo non avviene mai. Anzi, fino a poco tempo fa in molti non avevano neanche un regolamento di condominio, e l’obbligo di legge di dotarsene non ha reso le assemblee di condominio dei luoghi più pacifici e sereni. Il potere “reale” nel condominio si esprime attraverso l’influenza di ogni condomino in assemblea, influenza che si determina attraverso le alleanze più o meno implicite tra i vari condomini. In ogni condominio esiste un “patto franco-tedesco” dal quale gli altri si sentono esclusi, a torto o a ragione.

Ma se i problemi di ogni singolo condomino si esauriscono nell’ottenere sconti e deroghe alle regole comuni ed evitare di essere sanzionati per le proprie scorrettezze, esiste un solo cemento per gli equilibri di potere in assemblea. Se vorrò evitare che l’assemblea mi obblighi a pagare una vecchia bolletta che non ho ancora saldato, l’unico sistema è promettere benevolenza sulle magagne altrui. Non protesterò più per il cane che abbaia tutto il giorno, non insisterò perché Caio faccia un buco nel pavimento del suo bagno per verificare se quella perdita viene da lì, ed eviterò di porre in votazione la questione del cornicione, che potrebbe comportare un aggravio dei costi per tutti gli altri: la signora del terrazzo si fotta e spazzi via i calcinacci.

Gli equilibri di potere, in un condominio, si determinano “al ribasso”, ed esprimono decisioni che sfogliano come un carciofo le norme del regolamento, fino a renderlo sostanzialmente inefficace. Alla fine, benché ogni volta si raggiungano dei risultati di brevissimo periodo, l’insoddisfazione è generale e ognuno si sente, per un motivo o per un altro, prevaricato dagli altri. Oggi nell’Unione Europea, nella quale non esiste un vero governo federale espressione dei cittadini europei e custode di una sovranità europea, avviene più o meno la stessa cosa.

Ci sono ottime ragioni per cercare un compromesso con il Regno Unito, e per considerare l’accordo raggiunto un “buon accordo”. David Cameron potrà andare al referendum dopo avere ottenuto parte delle richieste degli euroscettici, quindi indebolendo significativamente la loro propaganda per l’uscita dall’UE. In cambio il resto dell’UE potrà procedere verso una maggiore integrazione senza il veto britannico, sbloccando una situazione di stallo.

Al tempo stesso ci sono due problemi: da una parte è difficile individuare una coerenza politica tra decisioni apparentemente in contraddizione tra loro. Per quale ragione si è rigidi sulla Grecia e morbidi con il Regno Unito? Perché la Francia può sforare il limite del 3% del deficit e l’Italia no? Ci sono, ogni volta, buone ragioni - il debito pubblico della Francia è sostenibile, il nostro no, tanto per fare un esempio - ma è sempre più difficile spiegarle e comprenderle, soprattutto in presenza di una forte propaganda che strumentalizza queste contraddizioni: oggi l’unica narrazione politicamente coerente ed efficace è quella che fa leva sull’insoddisfazione per puntare alla disgregazione.

Il secondo problema, come molti osservatori hanno notato, è quello del “precedente”. Chi ha visto ottenere al Regno Unito una importante deroga - l’ennesima - alle modalità con cui partecipa all’Unione Europea, vorrà presto o tardi ottenere qualcosa in cambio. Che si tratti delle regole di Schengen e del controllo delle frontiere, che si tratti della flessibilità sui conti pubblici, che si tratti del rispetto delle normative europee in materia di commercio e concorrenza, prima o poi tutti vorranno “monetizzare” l’accordo con il Regno Unito a loro vantaggio. Qualcuno ci riuscirà, altri no, aumentando in questo modo l’insoddisfazione di tutti e la sensazione che l’Europa faccia sempre gli interessi di altri e mai i propri, almeno fino al prossimo giro di giostra.

E' quel meccanismo di "eurofagia" del quale ci aveva parlato Mario Monti su queste pagine, e che porta anche i leader apparentemente "responsabili" a sposare una retorica molto simile a quella usata dai populisti antieuropei - dai vari Farage, Grillo, Le Pen, Varoufakis, Iglesias, Strache - solo per nominarne alcuni, ma l'elenco è lungo - per ottenere risultati di brevissimo periodo, in un orizzonte che guarda solo alle prossime elezioni nazionali o ai prossimi sondaggi interni. 

@giordanomasini