TTIP big
Il Circolo Belém, fondato da Nicolas Bouzou e Pierre Bentata, riunisce economisti e intellettuali uniti dall'idea che una voce europea non possa che giovare alla discussione dei temi europei.* Il testo seguente è la traduzione di un saggio già pubblicato in Francia su Les Echos
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I negoziati in corso fra gli Stati Uniti e l'Unione Europea sul Partenariato Transatlantico per il Commercio e gli Investimenti (TTIP) stanno dando luogo a dibattiti su entrambe le sponde dell'Atlantico. È di questi giorni, inoltre, la notizia che Wikileaks avrebbe organizzato un crowdfunding per offrire centomila euro a chi riveli i dettagli del negoziato.

Molta paura e molta retorica, insomma, a fronte di un accordo di libero scambio che in fondo può solo essere utile, dal momento che mira a promuovere la crescita e l'occupazione riducendo le barriere commerciali. Per capire perché questo punto possa essere ritenuto assodato, consideriamo un esempio di commercio fra due aree di uno stesso paese: nessuno si sognerebbe mai di affermare che il commercio tra, diciamo, la Toscana e il Piemonte dovrebbe essere limitato al fine di proteggere i produttori di vino dell’una o dell’altra regione e i loro dipendenti. E naturalmente l'argomento si può facilmente estendere a qualunque altra realtà commerciale, grande o piccola che sia. Non è un caso che la libera circolazione di beni e servizi sia uno dei principi fondatori dell'Unione Europea, e che come tale sia stata a lungo data per scontata. Noi crediamo che il ragionamento resti valido anche nel caso del commercio tra gli Stati Uniti e l'Unione Europea.

La quota dell’Europa e degli Stati Uniti rispetto alla totalità del commercio mondiale si è lentamente ridotta nel corso degli anni, soprattutto a causa della crescente importanza dei paesi emergenti. Nel 2007, gli Stati Uniti e l'Europa messi insieme rappresentavano il 50% di tutto il commercio mondiale. Da allora si è innescata una tendenza alla contrazione, e prevediamo che a fine 2015 tale quota risulterà diminuita ulteriormente fino al 40%. A fronte di ciò, promuovere il commercio tra gli Stati Uniti e l'Unione Europea potrebbe essere molto vantaggioso per quest'ultima, dato che il commercio costituisce una delle principali fonti di crescita economica dei paesi europei.

Secondo la Commissione Europea, l'aumento degli scambi tra l'Unione Europea e gli Stati Uniti dovrebbe fruttare all'UE nel suo complesso 119 miliardi di euro all'anno, il che significa, in media, un supplemento di 545 euro di reddito disponibile aggiuntivo per una famiglia di quattro persone. Un confronto fra i dati sulla produzione europea destinata all'esportazione e quelli sulla domanda statunitense di prodotti importati rivela che fra i due paesi esiste complementarietà commerciale. Anche se il commercio transatlantico include già un'ampia varietà di prodotti, è facile individuare le tipologie maggiormente scambiate: l'UE esporta verso gli Stati Uniti soprattutto prodotti farmaceutici, derivati del petrolio, automobili e aeroplani, mentre gli Stati Uniti vendono alle maggiori economie dell'Unione Europea oro, automobili, vaccini e petrolio.

Anche se il commercio intra-industriale (auto e derivati petroliferi) può avere un effetto di distribuzione relativamente basso, possiamo aspettarci grandi guadagni dall'allargamento degli scambi commerciali, poiché sia l'UE che gli Stati Uniti godono di un vantaggio comparato in alcuni settori (prodotti farmaceutici da un lato, sangue e vaccini dall'altro, per esempio) e, di conseguenza, possono trarre benefici dal TTIP sia in termini di attività economica che di occupazione. Inoltre, l'allentamento delle restrizioni agli scambi commerciali dovrebbe creare nuove opportunità per i produttori europei di offrire i loro prodotti a clienti americani, e viceversa. Resta, però, comunque una domanda: questa complementarità commerciale può davvero beneficiare tutti i paesi dell'UE allo stesso modo?

Non deve sorprendere che la risposta sia negativa. Alcuni settori in alcuni paesi beneficeranno del TTIP più di altri. Secondo Delta Economics, i settori degli automezzi, della lavorazione del petrolio, e dei farmaci dominano il portafoglio europeo delle esportazioni. La Germania detiene la quota più ampia di esportazioni di automobili. Ad esempio, nel 2014, il 46% di tutte le automobili esportate dalla UE sono state prodotte in Germania. Spagna e Regno Unito, al confronto, hanno esportato rispettivamente circa il 9% e il 10% di tutte le automobili prodotte nell'Unione Europea.

Per altro verso, la Francia è il più grande esportatore di apparecchiature aerospaziali e rappresenta oltre il 55% di tutte le esportazioni di questo settore. Di conseguenza, la Francia e la Germania costituiscono più del 90% di tutte le esportazioni di aeromobili, veicoli spaziali e satelliti. Analogamente, la Germania detiene circa il 20% delle esportazioni del settore farmaceutico, con la Francia e il Regno Unito fermi a circa la metà di quel volume. Altri paesi come la Repubblica Ceca hanno un forte vantaggio comparato in settori come la manifattura, l'automobile, o le bevande. Allo stesso modo, la Grecia è competitiva in settori come il petrolio, il turismo, o l'alluminio. Quindi, sembra proprio che all'interno dell'UE alcuni paesi beneficeranno maggiormente dell'accordo di libero scambio rispetto ad altri.

Questo, peraltro, è un risultato economico ben noto: quando si riducono gli ostacoli al libero scambio, i flussi commerciali vengono reindirizzati verso i settori più vantaggiosi presenti all'interno del nuovo spazio economico. Di conseguenza, se anche fosse sostituito solo mezzo punto percentuale della forza lavoro dell'UE, gli utili e le perdite netti saranno diversi da un paese all'altro a seconda della competitività relativa di ciascun paese nei settori più aperti. In altre parole, il TTIP avrà due effetti sul mercato del lavoro: in primo luogo, l'occupazione in Europa scenderà nei settori dominati dagli Stati Uniti, poiché i beni prodotti fino a quel momento in UE saranno importati dagli Stati Uniti. In secondo luogo, l'occupazione salirà nei settori dominati dalla UE limitatamente alle industrie più competitive—il settore degli automezzi in Germania, il settore aeronautico in Francia, la produzione di birra in Repubblica Ceca. Di conseguenza, la Germania e la Francia sono destinate a beneficiare di una quota sproporzionata degli effetti positivi del trattato.

Che cosa possiamo fare per gli europei più sfortunati che perderanno il posto di lavoro? Al momento, sembra che nulla sia stato predisposto per far fronte a questo grave problema. E ciò dovrebbe invece far parte dell’agenda dell'Unione Europea, visto che, con 28 paesi e 28 lingue diverse, il mercato del lavoro europeo non è omogeneo, e quindi molti nuovi disoccupati europei non lasceranno il loro paese d'origine per inserirsi nei settori più fiorenti dei paesi vicini. A fronte di ciò, è dunque necessario cominciare a pensare a soluzioni a livello europeo capaci di contrastare gli effetti negativi dell'accordo di libero scambio con gli USA.

A nostro avviso, la sfida più importante rimane la capacità dei paesi di prevedere l'impatto della riduzione delle barriere commerciali. La storia economica insegna che il libero scambio conduce simultaneamente a nuove opportunità e nuovi fallimenti. Pertanto, suggeriamo che l'UE finanzi ricerche che possano fornire informazioni sui rischi e le opportunità relative a paesi e settori specifici. In questo modo, i paesi saranno in grado di sviluppare politiche capaci di affrontare l'eventuale impatto negativo dell'accordo di libero scambio con gli Stati Uniti, tra cui ad esempio la promozione della formazione continua.

Una cosa è certa, l'UE deve essere ben preparata ad affrontare le conseguenze impreviste del TTIP sul mercato del lavoro europeo. I singoli governi e la stessa Commissione Europea devono dare prova di essere disposti a—e capaci di—aiutare i loro cittadini, altrimenti la diffidenza degli europei verso l'Unione Europea e il valore del libero scambio continueranno a crescere.

Firmatari:
Pierre Bentata (Fr), Nicolas Bouzou (Fr), Stefano Adamo (It), Demosthènes Davvetas (Gr), Jérome-Duval Hamel (Ge), Mithat Melen (Tur), Josef Montag (Cz)

*Gli appartenenti al Circolo Belém esprimono esclusivamente il loro personale punto di vista e non parlano a nome delle istituzioni presso cui esercitano la loro attività professionale.