L'accordo sul nucleare iraniano non è un buon risultato
Istituzioni ed economia
Dopo un anno di negoziati, il 2 aprile scorso il gruppo di contatto internazionale P5+1 ha raggiunto un accordo preliminare con l'Iran sul suo programma nucleare. E' bene sottolineare che si tratta di un accordo preliminare, perché i dettagli devono essere ancora discussi e un accordo complessivo potrà essere raggiunto solo il prossimo 1 luglio, come stabilito nel negoziato di Vienna del 24 novembre 2014. Che cosa prevede?
L'Iran promette pubblicamente che il suo programma nucleare è solo per scopi civili e non militari e accetta una serie di condizioni pratiche per tener fede a questa promessa. Mai accordo ha provocato reazioni così contrastanti, che vanno dal sollievo al terrore cieco, dalla speranza di una nuova pace mediorientale al terrore di una guerra atomica nel Golfo nel prossimo futuro. Meglio sgombrare il campo da ogni equivoco e vedere bene di cosa stiamo parlando.
L'Iran, appunto, promette di sviluppare un suo programma nucleare solo ad uso civile. A garanzia di questa promessa si impegna a convertire l'impianto di arricchimento dell'uranio (l'uranio ad alto arricchimento, Heu, è materiale fissile adatto a fabbricare testate nucleari) di Fordow in un centro di ricerca, a limitare ad uno solo i propri impianti di arricchimento dell'uranio, a Natanz, unicamente per la produzione di uranio a basso arricchimento (Leu). L'arricchimento dell'uranio dovrà essere limitato nel tempo e nella quantità: le 10 tonnellate prodotte devono essere ridotte a 300 kg e la produzione di ulteriore Leu sarà consentita per i prossimi 15 anni. Per un periodo di tempo di 10 anni, il numero di centrifughe (gli impianti che svolgono il lavoro di raffinazione dell'uranio) dovrà essere ridotto di due terzi, l'Iran potrà conservare solo il terzo più obsoleto. Ma le rimanenti, quelle più moderne, non saranno smantellate, bensì custodite dall'Aiea.
Quanto all'altro programma parallelo, quello per la separazione del plutonio (altro materiale fissile utile per la costruzione di armi nucleari), il reattore ad acqua pesante di Arak dovrà essere ricostruito, sotto la supervisione di un team internazionale di esperti, in modo da non produrre plutonio per uso militare. In cambio di queste garanzie, in data ancora da stabilire, verranno revocate le sanzioni economiche di Usa e Ue, ridando ossigeno all'economia iraniana.
Sulla carta si tratta di garanzie solide e il premier israeliano Benjamin Netanyahu, unico capo di governo allarmato dall'esito della trattativa, non avrebbe nulla da temere. L'accordo, però, non prevede lo smantellamento degli impianti di arricchimento, ma solo la loro riduzione. Al massimo prescrive un congelamento del programma, un suo rallentamento nel tempo, ma non la sua fine. Ed è questa la differenza con i precedenti negoziati, quando si chiedeva la fine del programma di arricchimento dell'uranio, la fine della separazione del plutonio e possibilmente lo smantellamento degli impianti relativi. Questo accordo preliminare è dunque un passo indietro rispetto al passato. Il grosso del lavoro, nel prossimo futuro, ricadrà sulle spalle degli ispettori internazionali che dovranno vigilare sulla riconversione degli impianti di Fordow, la ricostruzione di Arak e la riduzione della produzione di Leu a Natanz, sulla quantità di Leu prodotto, sulla qualità e quantità di plutonio prodotto e sulla quantità di combustibile esportato o mantenuto in territorio iraniano.
All'atto pratico, non c'è alcuna possibilità di verificare tutte queste cose. Non è nemmeno certa la quantità di Leu già prodotta. In passato, ad esempio nel 2009, è capitato che un rapporto Aiea fosse in contraddizione con il precedente, facendo l'amara scoperta di aver sottostimato la capacità produttiva iraniana. Con una tonnellata di Leu già prodotta, se riuscisse ad arricchirlo ulteriormente, l'Iran avrebbe già la possibilità di costruire la sua prima bomba atomica. Per questo tipo di processo, la raffinazione del Leu in Heu, occorrono mesi e altri processi industriali complessi, ma per un paese quasi impenetrabile come l'Iran, che per anni ha tenuto nascosto l'intero suo programma nucleare, non è una missione impossibile.
Non è detto che abbia la possibilità di farlo, inutile scadere nel terrorismo psicologico. Quel che importa, qui, è constatare l'incertezza assoluta sui dati. Il che fa presagire che il prossimo lavoro degli ispettori sarà molto arduo, per non dire quasi impossibile. Infine, ma non da ultimo: nell'accordo preliminare non c'è nemmeno un punto che riguarda lo sviluppo del programma missilistico. E non è cosa da poco: i missili a medio raggio Shahab 3, già in dotazione delle forze missilistiche iraniane, possono colpire tutto il Medio Oriente, Israele compreso. Missili così a lunga gittata, come gli Shahab 3 sono perfettamente inutili se dotati di testata convenzionale a causa della loro imprecisione. Il loro unico scopo militare è quello di portare a lunga distanza una testata non convenzionale, un'arma di distruzione di massa. Dal 2009, l'Iran ha acquisito la capacità di lanciare un satellite nello spazio, premessa dello sviluppo di missili balistici intercontinentali, potenzialmente capaci di colpire ovunque nel mondo.
La prima domanda che sorge spontanea, è: l'Iran ha veramente intenzione di costruire armi nucleari? O il suo programma è veramente solo civile e tutto quel che abbiamo temuto negli ultimi 14 anni era solo frutto della paranoia di personaggi come George W. Bush, Dick Cheney e Benjamin Netanyahu? Non si tratta solo di paranoie, diciamolo subito. Prima di tutto, se il programma fosse stato solo civile fin da subito, se l'unica intenzione dell'Iran fosse quella di produrre energia elettrica, il tutto si sarebbe svolto attorno alla centrale nucleare ad acqua leggera di Bushehr, lungo la costa, l'unica alla luce del sole, costruita con la cooperazione della Russia ed entrata definitivamente in servizio nel 2013. Quel che ha preoccupato i "paranoici" occidentali è stata semmai la scoperta di impianti segreti ad Arak e Natanz, denunciati da dissidenti iraniani nel 2002, la cui esistenza è stata confermata solo successivamente dall'Aiea mentre Teheran continuava a negare. Nel 2009 l'Aiea (a seguito di un lavoro internazionale di intelligence) ha letteralmente scoperto il secondo impianto per l'arricchimento dell'uranio, a Fordow, costruito dentro una montagna, abbastanza in profondità da reggere l'impatto di qualunque bombardamento con bombe perforanti. Strani metodi per un programma civile.
La possibilità che l'Iran stesse lavorando alla costruzione di testate nucleari è stata ipotizzata da tutti i successivi Nie (i rapporti delle agenzie di intelligence americane), che discordano fra loro solo sulla tempistica e l'intensità dei lavori: più ottimistico il rapporto del 2007 (quello che contribuì a condannare politicamente Bush), un po' più pessimistici i successivi. Anche l'Aiea non ha mai escluso l'esistenza di un programma militare già in corso. Teheran, fra le altre cose, non ha mai voluto rispondere al questionario PMD (Possibile dimensione militare) sottopostogli dall'Aiea. Può rassicurare solo il fatto che l'ayatollah Khamenei abbia emesso una fatwa contro le armi nucleari. Ma, contrariamente a tutti gli altri editti e proclami della "Guida Suprema", proprio di quella fatwa non vi è traccia scritta.
Alla domanda "l'Iran vuol proprio costruirsi la bomba?" la risposta più razionale è: "molto probabilmente sì". Ma ammesso che l'Iran si doti, in un futuro prossimo, di armi nucleari, sarebbe un pericolo concreto? Già diverse nazioni, Usa, Russia, Cina, Francia, Gran Bretagna, India, Pakistan, probabilmente la Corea del Nord e Israele stesso, posseggono l'arma nucleare, ma non l'hanno mai usata. L'Iran si comporterebbe diversamente? A questa domanda, mai posta pubblicamente, ha risposto implicitamente il generale Mohammed Reza Naqdi, proprio alla vigilia della conclusione dell'accordo preliminare: "Distruggere Israele non è negoziabile", dichiarazione coerente con le molte sparate dell'ex presidente Mahmoud Ahmadinejad sulla distruzione dello Stato ebraico (o "entità sionista", come viene chiamato nel linguaggio politico iraniano) e persino con l'ambigua formulazione dell'ex presidente moderato Akhbar Hashemi Rafsanjani, nel 2001, quando affermava che sarebbe bastata una sola bomba per annientare lo Stato ebraico.
La diplomazia iraniana ha sempre glissato e interpretato tutte queste preoccupanti affermazioni come dei "fraintendimenti culturali". In quest'ottica, Rafsanjani stava solo facendo un calcolo di rapporti di forze (centinaia di atomiche per distruggere noi, contro una sola per distruggere Israele), Ahmadinejad parlava di "naturale estinzione" dell'entità sionista nel futuro di là da venire e Mohammed Reza Naqdi ... beh, è solo un leader della milizia islamica dei Basij. Gli israeliani, comunque, avrebbero "qualche" preoccupazione in più se l'Iran dovesse veramente dotarsi dell'arma nucleare.
A rassicurare Israele su un possibile Iran nucleare interviene, a questo punto, la cosiddetta "scuola realista" delle Relazioni Internazionali, che constata come l'equilibrio del terrore fra potenze nucleari abbia assicurato cinquant'anni di pace durante tutta la Guerra Fredda. Grazie alla logica della Mutual Assured Destruction (MAD), "l'unica mossa vincente è non giocare", giusto per citare il noto film War Games del 1983. Se nel Medio Oriente si venisse a creare la stessa situazione, con Israele e Iran entrambe dotate di armi atomiche, rispettivamente coperte dall'ombrello nucleare più potente di Usa e Russia, potremmo avere addirittura più stabilità rispetto ai turbolenti anni che stiamo vivendo. Tutto bene, dunque? Nient'affatto.
Prima di tutto, la MAD non è una formula matematica, tantomeno una formula magica. Non esiste alcun automatismo che impedisca di premere il bottone, è sempre una decisione presa da uomini in carne ed ossa, mossi dalla loro visione del mondo e capaci di commettere errori. Persino le potenze nucleari più rodate e responsabili, Usa e Urss, hanno rischiato di scatenare una guerra nucleare in almeno tre occasioni: crisi dei missili di Cuba (1962), crisi dello Yom Kippur (1973) e crisi degli euromissili (1983). Senza contare gli incidenti veri e propri, che sono molto numerosi. Quanto ai nuovi arrivi nel club nucleare, ogni paese che si aggiunge è un'incognita in più, non in meno. E' un pericolo in più, non in meno. Continueranno ad essere razionali i membri del club atomico? Sarà razionale la Corea del Nord dopo che avrà acquisito la piena capacità militare nucleare? Sarebbe razionale un Iran con la bomba? Senza contare, poi che, nel contesto attuale di una guerra fra sciiti e sunniti combattuta in ben tre teatri di guerra (Siria, Iraq e Yemen), un Iran nucleare, la prima potenza sciita dotata di bombe atomiche, indurrebbe l'Arabia Saudita, punto di riferimento dell'Islam sunnita, a fare altrettanto. Non è solo un'ipotesi. E' una possibilità concreta almeno da due anni: l'Arabia Saudita ha finanziato il programma nucleare del Pakistan e potrebbe ottenere in cambio armi già pronte. Lo schema della MAD, dunque, sarebbe molto più complicato da gestire nel Medio Oriente, perché non si baserebbe sulla contrapposizione/equilibrio di due antagonisti, quali Iran e Israele, ma su tre potenze nemiche le une delle altre, quali Iran, Arabia Saudita e Israele. Una brutta asimmetria.
L'accordo sul programma nucleare iraniano, riassumendo, non è definitivo, ottiene solo il rallentamento del programma, non scongiura affatto la possibilità di una bomba atomica iraniana, non aumenta la sicurezza di Israele e non contribuisce a garantire pace ed equilibrio. Non è un buon risultato, sotto tutti i punti di vista. Lo si può spiegare, semmai, solo con la situazione contingente: sperare che l'Iran contribuisca a sconfiggere l'Isis in Iraq e sperare che il presidente Rouhani sia un vero riformatore, così come lo descrivono. Ma se l'accordo si firmasse veramente per questi due motivi, sarebbe un calcolo ben miope. Perché, dopo l'eventuale sconfitta dell'Isis, ci ritroveremmo con un Iran dominante su entrambe le sponde del Golfo.
Come userebbe il suo nuovo status di potenza egemone, a questo punto? E il presidente Rouhani, con tutto il rispetto per i suoi propositi dichiarati, non può nemmeno essere un vero riformatore, per motivi costituzionali: è sempre l'ayatollah Khamenei che prende le decisioni che contano in politica estera e militare, lo stesso ayatollah Khamenei che regnava incontrastato assieme a presidenti riformisti e rivoluzionari, pragmatici e fanatici, con Rafsanjani, con Khatami, con Ahmadinejad (quello dello "spazzar via l'entità sionista dalla carta geografica"), anche quando l'Iran faceva paura a tutti. E adesso, perché dovremmo dormire sonni più tranquilli?