E' un crinale ripido quello sul quale si muove il ministro dello sviluppo economico Federica Guidi in tema di energia, tra proclami avventati del premier e vincoli della realtà (e della giustizia amministrativa). In audizione oggi alle commissioni Attività Produttive della Camera e Industria del Senato, ha dichiarato che "nessuno può pensare di girare una chiave e che dal 1° maggio il calo della bolletta sarà di 1,5 miliardi", e che un orizzonte temporale più credibile è quello della fine del 2015. Un anno e mezzo dopo quanto annunciato trionfalmente da Renzi, che solo due settimane fa aveva promesso un abbattimento del 10% del costo delle energia per le imprese a partire proprio da maggio.

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Ma è sul modo in cui dovrebbero essere realizzati questi risparmi che il terreno si fa sdrucciolevole: il governo, ha ricordato Guidi, si è impegnato a una riduzione del 10% della bolletta delle Pmi, un intervento che dovrebbe valere circa 1,5 miliardi. Per questo "è inutile nasconderlo, bisogna cercare di eliminare alcuni extraprofitti che forse oggi non sono più giustificabili; acuni sussidi che oggi non sono più così necessari, e bilanciare un po' meglio alcuni oneri relativi all'utilizzo delle reti e alla gestione delle fonti intermittenti". "A qualcuno", ha commentato il ministro, "questo piacerà un po' meno, perché è chiaro che si vanno a toccare componenti che hanno rappresentato fino ad oggi un sostegno a suo favore e un'appesantimento a sfavore di qualcun altro".

Sulla bolletta elettrica degli italiani oggi gravano, più di ogni altra cosa, i sussidi alle rinnovabili, come sintetizzato recentemente da Giorgio Ragazzi su LaVoce.info:

Il fotovoltaico è partito col decreto Bersani-Pecoraro Scanio che prevedeva come obiettivo il raggiungimento di una potenza istallata di 3 GW nel 2016: oggi si è già arrivati a 17 GW. Non si è trattato dunque di una politica voluta: semplicemente, i Governi di sinistra, prima, e di destra, poi, non hanno ridotto gli incentivi mentre crollava il costo dell’investimento e si è quindi offerta una magnifica opportunità di lauti e sicuri profitti a tanti, senza nemmeno il tempo per sviluppare un’industria nazionale. Nel complesso, i sussidi alle energie rinnovabili pesano oggi sulle bollette elettriche (per più di due terzi a carico delle imprese) per circa 12 miliardi l’anno, cui bisognerà aggiungere un altro paio di miliardi l’anno per indennizzare (“capacity payments”) le centrali termiche che devono stare in stand by per coprire i fabbisogni quando la produzione da rinnovabili (che ha priorità di ritiro) cala. Un’operazione colossale, equivalente a tre punti di Iva, determinata solo da decreti ministeriali e gestita “fuori bilancio” in quanto i sussidi vengono addebitati alle bollette come “oneri generali di sistema” tramite la componente A3.

Come se ne esce? Non è semplice, in quanto i tribunali amministrativi non permetterebbero interventi legislativi che tagliano i sussidi in essere. Se Zanonato aveva proposto, provocando più di un'alzata di sopracciglio, l'emissione di obbligazioni pubbliche a lunghissima scadenza per coprire il taglio ai sussidi, oggi Guidi sembra immaginare una soluzione "concertata", della quale non sono però chiari né i contorni, né i protagonisti: "Credo che un'analisi 'ex ante' con tutti gli stakeholder disponibili a cedere qualcosa di ciò che hanno, anche in maniera sensata ricevuto, consenta di fare una mediazione, un equilibrio che va a vantaggio di un pezzo della catena manifatturiera italiana, più esposta alla competizione internazionale".

Un appello alle buone intenzioni, quindi, dal quale è lecito non attendersi molto. Per il momento segniamo in agenda la nuova data, dicembre 2015, sperando che la tecnica di fare annunci roboanti scaricando sui ministri l'onere di affrontare la realtà - e presto anche il malcontento - non diventi la cifra stilistica del governo. Sarebbe un film già visto.