Occupazione femminile e maternità: quanto conta il titolo di studio
Innovazione e mercato
Uno dei principali motivi che spingono le donne a non lavorare è interamente razionale ed è strettamente collegato al confronto che le madri fanno fra salario di riserva e salario teorico che potrebbero guadagnare.
È atteso, secondo la teoria economica, che le donne che dichiarano un salario di riserva inferiore al salario teorico sono maggiormente disposte a lavorare, viceversa le donne il cui salario di riserva è superiore alla retribuzione che potrebbero ottenere nel mercato sono maggiormente propense a non lavorare.
Per essere più chiari, le donne che si aspettano di guadagnare uno stipendio più alto delle spese che dovrebbero sostenere per i servizi sostitutivi del lavoro domestico e di cura dei familiari sono potenzialmente più propense a lavorare, viceversa alle donne meno istruite e con minori qualifiche professionali, che hanno un’aspettativa salariale più bassa, non conviene lavorare, dal momento che il costo dei servizi sostitutivi è più alto del salario che possono guadagnare.
Il rapporto tra il salario di riserva e il salario di mercato ha influenza anche sul numero di figli. È probabile, infatti, che un aumento del numero di figli faccia crescere il salario di riserva a causa delle maggiori spese che la famiglia deve sostenere.
Tuttavia, non bisogna sottovalutare che più di 8 donne su 10 (84,5%), che non lavorano per motivi familiari, scelgono di occuparsi dei figli per motivi diversi dal costo o dall’inadeguatezza dei servizi di cura, pubblici o privati, per l’infanzia e per gli anziani non autosufficienti(1): sembra una scelta consapevole e volontaria da parte di chi ha deciso di dedicare maggiore tempo alla cura dei figli, nella convinzione, non sempre confermata dai fatti, che la qualità dell’assistenza che può dedicare una madre ai figli non è comparabile con quella di un asilo o della scuola per l’infanzia.
Il grafico successivo, che mostra la crescita del tasso di occupazione femminile con l’aumento del livello d’istruzione delle madri di uno, due, tre figli e più, conferma, almeno in parte, la precedente tesi sul salario di riserva, dal momento che è molto probabile che a titoli di studio più alti corrispondano anche salari più elevati, che consentono di pagare più agevolmente i servizi di cura dei bambini (figura 1).
Il tasso di occupazione di una madre con al massimo la licenza media diminuisce in modo drammatico: dal 46,9% nel caso la lavoratrice non abbia figli al 41,6% con la nascita del primo figlio, al 33,5% con il secondo figlio e al 22,2% con tre o più figli. Anche per le madri diplomate il tasso di occupazione diminuisce drasticamente dal 62,5% (senza figli) al 47,2% (3 figli e più).
Per le laureate la nascita di uno o più figli determina il fenomeno contrario perché aumenta il tasso di occupazione rispetto alla condizione senza figli (dal 69,2% al 75,4% con 3 e più figli), probabilmente perché aumenta il bisogno di un reddito da lavoro per far fronte all’aumento significativo delle spese per mantenere i figli, a fronte dell’aspettativa di una retribuzione elevata che copre queste spese.
La differenza tra il tasso di occupazione delle donne con al massimo la licenza media e quello delle laureate raddoppia, come è del resto atteso, con l’aumento del numero dei figli e delle spese per il loro mantenimento, da 22,3 a 53,2 punti percentuali.
Figura 1: Tasso di occupazione femminile (20-49 anni) per titolo di studio e numero di figli - Anno 2014 (valori percentuali)
Tuttavia, occorre osservare che i lavoratori maschi contribuiscono in misura insignificante alla conciliazione fra lavoro e cura dei figli nella famiglia: nel 2014, mentre più di una donna su tre (35,7%) di 25-49 anni d’età con un figlio lavora part-time, solo meno di un uomo su 10 (6,3%) nella stessa condizione ha sottoscritto un contratto a tempo parziale (un gap di 29 punti percentuali) (figura 2). Quasi metà delle donne con almeno 3 bambini lavora part-time (45,1%), a fronte del 7,1% tra gli uomini (un gap di 38 punti).
Figura 2: Occupati dipendenti part time (25-49 anni) per sesso e numero dei figli - Anno 2014 (incidenza percentuale sul totale della popolazione)
È prioritario, di conseguenza, ridurre il costo dei servizi di cura per l’infanzia attraverso agevolazioni fiscali e soprattutto con misure più ampie come quelle di welfare aziendale che prevedano la partecipazione ai costi da parte delle imprese, rivolte innanzitutto alle fasce di lavoratori con più bassi livelli d’istruzione e quindi di reddito. Forse ancor più importante sarebbe aumentare il reddito disponibile dei lavoratori attraverso una significativa riduzione del cuneo fiscale e promuovere maggiormente l’istruzione terziaria, soprattutto quella tecnica superiore non universitaria del tutto assente in Italia.
Le norme sul welfare aziendale e il premio di produttività contenute nella legge di stabilità 2016 si muovono in questa direzione, anche nella previsione del voucher come strumento per l’erogazione dei benefit nelle aziende più piccole, ma probabilmente sarebbe strategica, per promuovere strutturalmente l’occupazione femminile, una legge organica e più ambiziosa che facilitasse, attraverso un voucher universale, il sostegno ai tre pilastri di un secondo welfare sostenibile, non basato sul lavoro nero: welfare privato, aziendale e locale.
Le due proposte di legge analoghe presentate da parlamentari di tutte le forze politiche per l’istituzione del voucher universale per i servizi alla persona e alla famiglia(2), che richiamano, adattandole alle caratteristiche del welfare italiano, il modello di successo francese dei Chèque emploi service universel (CESU), rappresentano una robusta base di partenza. Onorare la festa delle donne iscrivendole all’ordine del giorno delle commissioni competenti della Camera o del Senato sarebbe il modo migliore per festeggiare l’8 marzo.
Note al testo:
(1) Nel 2014, solo il 15,9% delle donne inattive a causa della maternità o perché devono prendersi cura dei figli o degli anziani non autosufficienti dichiara che “non ha cercato lavoro perché nella zona in cui vive i servizi pubblici e/o privati, cui affidare la cura di bambini o di altre persone bisognose di assistenza, sono assenti, inadeguati o troppo costosi (anche baby-sitter o assistenti a pagamento)”. L’84,1% dichiara che la decisione di non lavorare è determinata da altri motivi. Fonte: Istat (Indagine sulle forze di lavoro).
(2) Senato della Repubblica: disegno di legge n. 1535 del 17 giugno 2014 d’iniziativa dei senatori Giorgio Santini, Valeria Fedeli, Federica Chiavaroli e altri; Camera dei deputati: proposta di legge n. 2492 del 26 giugno 2014 d’iniziativa dei deputati Carlo Dell’Aringa, Edoardo Patriarca, Flavia Piccoli Nardelli, Maria Amato, Sofia Amodio e altri.