Siamo davvero tutte puttane, come recita il titolo del libro di Annalisa Chirico? Dobbiamo prenderne atto e dirci che il mondo funziona così, la natura umana è quella che è e tutto sommato le cose vanno bene anche in questo modo? Rispondo no a tutte le domande. E decido di intervenire a questo proposito innanzitutto per il mestiere che faccio, professore universitario, che mi porta a lavorare con ragazzi e ragazze e a essere consapevole di quanto siano importanti i modelli di ruolo, che sono trasmessi in una società, per gli individui che la abitano, per la costruzione dei loro percorsi di vita e per il funzionamento della casa comune, dove un sistema giusto e meritocratico delle opportunità e l'accrescimento della ricchezza materiale e immateriale sono beni – tra loro collegati - al tempo stessi individuali e collettivi.

Nella sua brillante e spericolata narrazione, che affronta tanti temi e sotto temi che possono essere ricondotti alla contrapposizione tra "talebanfemminismo" e "senonoraquandismo", con conseguenti ipocrisie, da un lato, e disinibita consapevolezza del femminile e del maschile, dall'altro, Chirico sostiene tesi e opinioni che in parte condivido, in parte mi lasciano perplessa, in parte trovo così aberranti da farmi pensare che l'autrice si diverta un tantino a épater le bourgeois. Ma non è sul libro nelle sue tante sfaccettature che intendo soffermarmi, quanto sulla tesi dalla quale parte e alla quale arriva, ovvero, appunto, che siamo tutti puttane.

Lascio da parte il significato in senso stretto del termine, cioè la concessione di prestazioni sessuali in cambio di denaro come mestiere. Non è, d'altro canto, a quel significato – che pure indaga – che Chirico si riferisce quando vuole tutti assimilarci in una comune natura puttanesca. Piuttosto, si rifà al significato in un senso più ampio, metaforico, ovvero quello di "persona (di sesso femminile o maschile) amorale, che si adegua per interesse alle circostanze, cambiando opinione o partito con estrema leggerezza e velocità", nel quale, a suo avviso, ognuno dovrebbe, almeno un po', ritrovarsi. Così come ognuno dovrebbe condividere che esista un "sacro e inalienabile diritto di darla per interesse o per convenienza", di "arrabattarsi ciascuno come meglio può", "di sgomitare per farsi largo in una società competitiva ricorrendo a ogni mezzo lecito".

Beh, personalmente né mi ritrovo, né condivido. In coscienza non mi sono mai sentita una puttana. Nella mia vita universitaria mi è capitato di incontrare un paio di potenti baroni che esplicitamente avevano manifestato un interesse non accademico nei miei confronti. Elegantemente e signorilmente svicolai. La mia carriera accademica probabilmente sarebbe stata più brillante, ma non ho rimpianti. Non ho mai pensato, come si dice e come ripete Annalisa Chirico, di essere seduta sulla mia fortuna e mi sono comportata conseguentemente. Né ho mai pensato, nella mia attività professionale e pubblica, di esprimere opinioni, assumere atteggiamenti, seguire percorsi, condividere progetti, assecondare comportamenti, solo per adeguarmi opportunisticamente a un clima o ad aspettative di chi avrebbe potuto aprirmi strade (o chiudermele). Ho pagato dei prezzi, forse li pago, ma per come sono fatta so che ne è valsa e ne vale la pena. Sono il popperiano cigno nero, che la giornalista Chirico utilizza per falsificare le teorie femministe che equiparano la prostituzione allo sfruttamento (come se non ci fossero prostitute non sfruttate), ma che falsifica anche la sua generalizzazione che siamo tutti puttane. E credo, anzi so, di non essere l'unico cigno nero.

Non tutti i cigni sono bianchi e non tutti siamo puttane. Ma non mi interessa semplicemente smentire la generalizzazione. Né stabilire una superiorità morale di chi non offre il proprio corpo o la propria coscienza per farsi strada nella vita. No, il punto è un altro. Infatti, non solo credo che vi siano molti cigni neri accanto ai più disinibiti cigni bianchi, ma credo anche, anzi, sono fermamente convinta, che sia un bene per il nostro prossimo e per la collettività che i primi sopravanzino i secondi e che vi siano vincoli ed incentivi a comportarsi da cigni neri, piuttosto che puttaneschi cigni bianchi.

Mi spiego. Chi nell'ambito lavorativo per andare avanti utilizza mezzi che non hanno a che fare con le normali regole del gioco di quell'ambito, danneggia chi rispetta le regole. Per diventare ricercatore e fare bene quel mestiere sono richieste determinate doti e capacità e sono previsti certi percorsi. Se si prendono scorciatoie, si passa il tempo a fare da umile servitore al potente di turno o ci si infila nel suo letto, si bara. E si fa un danno a chi sta al gioco. È la vita, si potrebbe sostenere. No, è la legge della giungla, non di una società liberale che non sopravvive senza regole e senza che la maggioranza le rispetti, rispondo io.

Il danno individuale si traduce, poi, in un danno collettivo. Perché vi è una più alta probabilità che sia il chirurgo che ha utilizzato scorciatoie ad ammazzare il paziente, il professore che ha utilizza scorciatoie a far perdere inutilmente tempo agli studenti, il politico che ha utilizzato scorciatoie ad essere inutile o dannoso. Se si accetta la legge della giungla, la legge di chi sgomita di più e meglio con mezzi di vario tipo, si accetta anche una società caotica. Le puttane, non quelle (o quelli) che vendono il proprio corpo per mestiere, ma quelle (o quelli) che offrono prestazioni di varia natura che nulla hanno a che fare con il ruolo che vogliono conquistare, sono dannose alla collettività. Esattamente come è dannoso l'imprenditore che paga mazzette per vincere un appalto e poi costruisce un'opera in tempi più lunghi del previsto, con costi più alti e materiali più scadenti, avendo fatto fuori – anche qui barando – imprenditori migliori di lui.

Ed infine, la pratica della puttana, come sin qui intesa, è una pratica intrinsecamente conservatrice. È un'arte dell'arrangiarsi in un mondo che si accetta così com'è. Un mondo che non si vuole migliorare, nemmeno un po'. Lo dice la stessa Chirico: "Arrendetevi, gli uomini sono indispensabili. E riconoscerlo è femmina. Non soltanto perché la natura è natura, ma anche perché le strade su cui camminiamo e facciamo carriera le costruiscono i maschi". Il potere va sedotto per fruire dei suoi benefici, questo è quello che ci viene suggerito. Magari per raggiungere un'emancipazione. Ma è un'emancipazione che vale per la "puttana", che conquista un posto al sole consolidando un sistema malato che privilegia il servizio particolare al merito e alle competenze, al benessere generale, di tutti.

Dunque, in conclusione, ben venga la riprovazione sociale per chi gioca barando. Nessun moralismo, solo un'idea liberale del civile stare insieme. Un'idea che presuppone modelli di ruolo ben diversi da quelli di spregiudicate puttane (in questo caso il genere neutro si esprime attraverso il femminile) pronte a fuor fuori i concorrenti con ogni mezzo. E in una fase, che dura ormai da molti anni, della nostra storia politica in cui la figura del furbo e disinibito opportunista, femmina o maschio che sia, si staglia come la figura vincente, su tutto questo mi pare doveroso alzare la voce. Per non rassegnarsi alla marcescenza di una comunità sociale e politica.