robert badinter

La pena di morte è la sconfitta dell’umanità. Non protegge la società ma la disonora. Robert Badinter, una vita passata a combattere contro la pena di morte, per i diritti dell’uomo e per la dignità delle carceri, si è spento nella notte tro l’otto e il nove febbraio.

Nato a Parigi nel 1928, da una famiglia ebrea, ha visto il padre e i parenti scomparire nella terribile retata del Velodromo d’inverno del 16 luglio 1942 dove furono rastrellati 13 mila ebrei. Deportati nei campi di concentramento non faranno più ritorno. Questa tragedia segnò profondamente Badinter spingendolo a lottare tutta la vita per i diritti dell’uomo, per il dovere della memoria contro ogni forma di negazionismo e di antisemitismo e contro ogni forma di discriminazione. Costante fu la sua ricerca della giustizia e il rifiuto della vendetta.

Ad un giornalista dell’Express che gli chiese se fosse contrario alla pena di morte anche per criminali nazisti come Eichmann rispose categoricamente di sì poiché la vita è sacra anche per coloro che l’hanno dissacrata.

Il 17 settembre 1981, due secoli dopo che Le Pelletier de Saint-Fargeau aveva domandato l’abolizione della pena capitale nella prima assemblea parlamentare in Francia, il neoministro della Giustizia Badinter presentò all’Assemblée national, il progetto di legge per l’abolizione della pena di morte che venne approvato con 363 voti favorevoli, tra cui quello di molti gollisti come Chirac.

Aveva fatto dell’abolizione della pena di morte il suo cavallo di battaglia. In un sistema penitenziario volto alla reintegrazione progressiva del detenuto nella società, la pena di morte perde ogni significato.

In lui erano rimasti impressi i casi di Jacques Fesch che, convertitosi in prigione, visse la morte come una passione, di Roger Bontems, condannato a morte pur non avendo commesso il crimine di cui fu invece accusato il suo complice Claude Buffet e di Christian Ranucci la cui colpevolezza non fu mai veramente provata. Quegli esempi convinsero Badinter che la Francia, patria dei diritti dell’uomo, primo stato del continente europeo ad aver abolito la tortura, non poteva più tollerare di vedere il boia in azione affilare la lama, il condannato mentre gli legano le mani, gli tagliano i capelli, gli aprono la camicia, sentirne i lamenti mentre cerca di dimenarsi e vederne la testa rotolare in una pozza di sangue sotto i ceppi rossi della ghigliottina.

Gli tornarono in mente le parole di Victor Hugo che fu, per oltre sessant’anni, il cantore, il profeta e il cavaliere dell’abolizione: “un’esecuzione capitale è la mano di una società che tiene un uomo sull’orlo di un burrone, si apre e lo lascia precipitare. Dopo aver rovesciato il trono, è giunto il momento di rovesciare il patibolo”.

Quella che Badinter ha difeso tutta la vita è una certa idea dell’uomo che si basa sull’umanità. Noi abolizionisti -scrisse nel suo libro “Contro la pena di morte” - rifiutiamo l’idea che la giustizia, che è umana e dunque fallibile, detenga il potere di decidere della vita e della morte di un accusato. Noi rifiutiamo che questo potere sovrumano possa essere esercitato secondo l’inevitabile capriccio delle passioni, portando con sé, nella sua pratica, tutti i veleni della società: pregiudizi, diseguaglianze sociali e culturali, razzismo.
Da qui il rifiuto di sacrifici di innocenti condannati per errore o per odio razziale.

La pena di morte è il segno della barbaria totalitaria; “viva la morte!” è il grido che risuona in ogni dittatura!

Badinter ha condotto la battaglia per l’abolizione della pena di morte in tutto il mondo e in tutti i consessi internazionali: una battaglia che ha coinvolto laici e credenti. L’intervento congiunto di Amnesty International e di Papa Giovanni Paolo II fu determinante, nel febbraio del 1999, per ottenere la grazia di un condannato a morte nel Missouri. Badinter era convinto che prima o poi anche gli Stati Uniti avrebbero abolito la pena capitale in tutti gli stati.

Ben diversa la situazione in Paesi come l’Iran, l’Arabia Saudita e gli stati islamici che ricorrono alla pena capitale in nome della legge coranica, la Shari’a. Questi regimi trasformano la parola divina in decreto di morte. Tra dittature e pena di morte esistono dei legami indissolubili. Tutte le dittature praticano la pena di morte perché è l’espressione ultima del potere assoluto. Il dovere della comunità internazionale, secondo Badinter, è di essere accanto a tutti gli oppressi della terra uccisi in nome della religione: gli omosessuali impiccati in Arabia Saudita e in Iran, le donne sepolte vive in Iran o lapidate in Afganistan per adulterio.

Il presidente francese Macron e il primo ministro Attal hanno reso omaggio a questo fervente difensore dei diritti dell’uomo e simbolo di lotta per la giustizia nel mondo. Robert Badinter lascia una grande eredità fonte di ispirazione per le generazioni presenti e future.