Dalla Turchia al Sudafrica, gli atleti ebrei nel mirino
Diritto e libertà
Nel film del 2009 Invictus viene raccontato come nel 1995 la coppa del mondo di rugby ospitata in Sudafrica sia stata un’occasione per riconciliare bianchi e neri nel paese, mentre Mandela da presidente cercava di contenere i rancori e il desiderio di rivalsa presenti da entrambe le parti.
Se nel Sudafrica di trent’anni fa lo sport venne usato per unire i popoli, oggi si sta rivelando un campo dove vengono esacerbati i rancori: lo ha imparato a proprie spese David Teeger, fino a pochi giorni fa capitano della nazionale di cricket nella categoria Under 19. Di recente, Teeger è stato sollevato dal suo incarico a ridosso dei mondiali di cricket Under 19, che si terranno proprio in Sudafrica dal 19 gennaio all’11 febbraio.
La squadra ha fatto sapere che la decisione sarebbe stata motivata dal fatto che Teeger, essendo ebreo, avrebbe ricevuto delle minacce a causa della guerra tra Israele e Hamas, così come ne avrebbe ricevute la squadra.
“Siamo stati informati che si sarebbero potute verificare proteste legate alla guerra a Gaza sul luogo del torneo. Ci è stato anche detto che si probabilmente si sarebbero concentrate su… David Teeger”, si legge in un comunicato dell’organizzazione Cricket South Africa (CSA), la quale ha deciso “che David debba essere sollevato dal suo incarico di capitano per il torneo” per il rischio che si possano verificare scontri violenti.
In precedenza, Teeger era stato temporaneamente sospeso dalla squadra con l’accusa di “discorsi d’odio” per essersi espresso in difesa d’Israele dopo il 7 ottobre. Una posizione divenuta assai impopolare in Sudafrica: già prima di portare Israele all’Aja con l’accusa di genocidio, il governo di Pretoria aveva votato a favore della chiusura dell’ambasciata israeliana nel paese. Ha inoltre minacciato di processare e revocare la cittadinanza a quei cittadini sudafricani che si fossero arruolati nell’esercito israeliano.
Per gli sportivi ebrei e israeliani le cose non vanno meglio in Turchia: domenica 14 gennaio, durante una partita di calcio tra i club turchi Antalyaspor e Trabzonspor, dopo aver segnato un gol il calciatore israeliano Sagiv Jehezkel, che giocava nell’Antalyaspor, ha mostrato alle telecamere la fasciatura che indossava con una Stella di Davide e la scritta “100 giorni - 7.10”, per ricordare i 100 giorni trascorsi dai massacri del 7 ottobre e mostrare solidarietà nei confronti degli israeliani che sono tuttora tenuti in ostaggio a Gaza.
In risposta, dapprima è stato cacciato dalla sua squadra, che lo ha accusato di “aver agito contro i valori del nostro Paese” e in seguito le autorità turche lo hanno persino arrestato, su ordine diretto del Ministero della Giustizia. Dopo il rilascio, è stato espulso dalla Turchia e rimandato in Israele.
L’accusa che gli è stata rivolta dalle autorità di Ankara è stata quella di “incitazione pubblica all'odio”, nonché di aver “mancato di rispetto ai valori della Turchia, un Paese che rimane al fianco del popolo palestinese, offendendo la memoria di migliaia di civili, donne e bambini massacrati nel genocidio che lo Stato ebraico sta compiendo”.
In risposta, Jehezkel ha provato a spiegare le sue ragioni: “Non ho fatto nulla per provocare nessuno. Non sono a favore della guerra. Ci sono israeliani trattenuti come ostaggi a Gaza. Non ho mai mancato di rispetto a nessuno da quando sto in Turchia. Voglio solo che la guerra finisca. Per questo ho mostrato quel messaggio”.
Oltre ai singoli individui, ci sono stati anche episodi di discriminazione che hanno riguardato intere squadre: di recente, la Federazione internazionale di Hockey sul Ghiaccio ha deciso di sospendere la nazionale femminile israeliana dai campionati che si terranno a marzo in Estonia, con la motivazione che la sua presenza costituirebbe un problema per la sicurezza dell’evento.
Una decisione che Simon Davidson, presidente del Comitato Sportivo della Knesset, ha definito “illegale e arbitraria”. Tanto che la Federazione israeliana di Hockey sul Ghiaccio (IIHF) ha deciso di presentare un reclamo al Tribunale Arbitrale Sportivo.