antiabortisti big


La mano che ha disegnato e appeso quei biglietti in faccia alla ragazzina reduce da un aborto è stata armata da una forza antica ed esclusiva: il potere sopraffattorio del maschio. C’è quella firma prominente sui bozzetti coi feti esibiti a denuncia dell’assassina che ha interrotto la sua gravidanza, il percorso di sangue e ormoni che a procedere dal suo inizio diventa il patrimonio pubblico dell’interferenza pro vita: c’è la firma della società governata dal sopruso maschile.

Nella violenza che rinfaccia a una giovane donna il costo sicario della sua scelta intima c’è il contrassegno millenario di questa perdurante pretesa dominicale del maschio sulla vita della femmina, col “bambino” in pancia sequestrato nell’accudimento angelico della generazione che perpetua il diritto maschile di ridurre la femmina a una sua cosa.

Le grinfie che infibulano la bambina in un villaggio di fango lavorano al comando di un identico regime prevaricatorio, e il ludibrio nostrano che confeziona il disegnino col feto evoca in modo solo aggiornato e appena più leggiadro la risata degli assassini nell’arena delle lapidazioni.

L’oscenità indicibile sventolata verso questa figlia del mondo degli uomini non chiama in causa il legislatore disattento, le arretratezze riformatrici, le pedagogie insufficienti né qualche riparabile imperfezione civile: chiama in causa noi, i maschi, perché sul muro adornato da quei manifesti dura il graffito del nostro potere.