bergoglio grande

Se si guarda laicamente alle cronache e agli scandali vaticani, ad emergere sembra proprio un gigantesco difetto di laicità. Un difetto che si riflette nell’entusiastica e fanatica speranza di repulisti e nell’illusione che una giustizia inquisitoriale di veleni e di trappole di e per monsignori possa produrre qualcosa di simile a un “rinnovamento” della Chiesa.

Da quasi un decennio le aspettative legate al francescanesimo di Francesco sembrano sempre sul punto di compiersi e di portare a effetto la profezia di una Chiesa “povera e per i poveri”, che sappia mettere ordine nelle proprie finanze, impedire le speculazioni personali e scongiurare il rischio che gli oboli dei fedeli diventino strumenti di potere o di corruzione.

All’inizio, anche Francesca Immacolata Chaouqui venne presentata come la “lobbista di Francesco” e come la punta di lancia della pulizia nei palazzi di San Pietro. E sappiamo come quella storia si è conclusa e come oggi si rovesci nel suo contrario, con l’accusata nei panni dell’accusatrice di Monsignor Becciu. In realtà tutti i tentativi di rendere trasparente la gestione opaca dei tesori vaticani sono finiti con “francescani” che finiscono sul banco degli imputati e con l’avvento di “francescani” più “francescani” di loro.

Il corollario di questi intrighi è rappresentato da vicende giudiziarie torbide e infamanti, consumate interamente sugli organi di stampa, e quindi prive di elementari crismi di giustizia.

Ma c’è – se è consentito a un profano dirlo – un ulteriore difetto di laicità, con cui la Chiesa come istituzione secolare dovrebbe fare i conti, e che costituisce la madre di tutte le anomalie del rapporto tra potere spirituale e denaro e di contraddizione, se non proprio di corruzione, dell’organizzazione ecclesiale. Se l’Obolo di San Pietro come forma di condivisione da parte dei fedeli delle opere di carità del Papa continuerà a essere gestito come un salvadanaio del Pontefice, e affidato alla gestione fiduciaria delle persone a lui più vicine, difficilmente sarà la protezione dello Spirito Santo a sventare manovre interessate e a impedire che qualche diavolo ci metta lo zampino.

Dove non arriva l’ispirazione religiosa, la moralità personale e la fedeltà al Papa – tutte qualità non incompatibili con il maneggio discutibile di risorse economiche – arrivano più proficuamente regole di controllo e di trasparenza. Solo queste regole, per altro, consentono di distinguere in modo ragionevole – secondo principi di certezza del diritto – l’uso giusto o sbagliato, nonché lecito o illecito, dei tesori della carità di Pietro e di formulare accuse sulla base di un fondamento legale, che non sia quello dell’interesse o del tradimento personale.

Si potrà obiettare che la particolarissima gestione del tesoro delle offerte dipende dalla natura del governo della Chiesa, cioè dal suo perdurante statuto di monarchia temporale assoluta. Ma senza pretendere di cambiare una storia di millenni, forse la gestione dei quattrini si potrebbe adeguare a regole più chiare e stringenti della mera fedeltà al Papa, che è, almeno in queste cose, un uomo come tutti, che può sbagliare, riporre la fiducia in quelle sbagliate, o la sfiducia in quelle giuste e reagire in modo risentito e distruttivo al proprio senso di inadeguatezza.

@carmelopalma