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La questione della Sea Watch, su cui Salvini continua in modo lugubre a speculare e torna a estrarre consenso sulla pelle di quarantadue poveracci, e Conte invoca sgangheratamente, secondo le peggiori tradizioni italiane, l'intervento della magistratura è, in realtà, l'apogeo (forse non l'unico, forse, purtroppo, non l'ultimo) di una danza macabra che va avanti da anni e che è diventato il vero “movimento” della politica italiana.

È una questione che riguarda la demonizzazione della normalità, la mostrificazione della sofferenza, l'esasperazione di problemi in sé neppure così problematici e sicuramente più governabili di altri, l’allarmismo programmato per emergenze che, nella peggiore delle ipotesi, sono fenomeni endemici in tutte le società umane. Insomma, è la questione dell’immigrazione e, più ancora, del “disordine razziale” della società italiana trasformata in causa posticcia del declino reale, in complotto contro la nazione. Non c'è crescita, lavoro, welfare, sicurezza? Colpa degli immigrati.

È una storia che passa dalle ipotesi politicamente accusatorie delle procure (in particolare da quella di Catania) e dalla volontà di trovare un colpevole assoluto, un capro espiatorio (le ong complici dei trafficanti!) per fenomeni in realtà impossibili da controllare integralmente ("la rabbia contro pericoli oscuri ..., impaziente di trovare un oggetto, afferrava quello che le veniva messo davanti") e sfocia nella peggiore superstizione, per il rinnovato terrore nei confronti di "untori".

È una storia che va (forse inizia) in televisione, in un vero e continuo processo - senza avvocati della difesa - contro le Ong (nonostante le archiviazioni) e contro l'"invasione" e che finisce al governo del paese e dell'immaginario collettivo, causa e effetto dell'impazzimento popolare. E tutto questo viene spacciato per responsabilità: la reitarata gogna mediatica, il teatrino perverso di ministri vari "obbediva insomma alla ragion di Governo, faceva parte del malgoverno nel dar l'apparenza che il governo fosse invece buono, vigile, provvido".

L'operazione governativa, riuscita grazie anche alla complicità dei professionisti mediatici del terzismo e della lotta al politicamente corretto, è stata quella di far passare la linea di Salvini sull'immigrazione come una linea pragmatica e ragionevole, come la realizzazione del buonsenso e di far sembrare chiunque non condividesse la sua linea come in preda a un'irrazionale emotività. Spesso le opposizioni hanno assecondato questa interpretazione, raccontando come proprie unicamente le ragioni del cuore e dell'emozione. Probabilmente un errore "giacché, quando s'è per la strada della passione, è naturale che i più ciechi guidino".

Errore, perché contro la linea di Salvini ci sono non le emozioni (o almeno non solo), ma anche i diritti, il diritto, l'economia, la demografia e anche il diritto alla vita e la vita del diritto e, quindi, la ragione. Perché sono razionali e universali gli argomenti contro Salvini (non particolari ed emozionali).

Nella questione della Sea Watch c'è la sintesi del sadico gioco mediatico di Salvini (aiutato sia dalle procure reali che dagli accusatori sullo schermo) che è riuscito a trasformare un fenomeno che non era un pericolo per il Paese in un'impellente emergenza nazionale e in un affronto alla sovranità. È riuscito a trasformare, all'apparenza, la sua linea crudele e dannosa in un esempio di buonsenso e di buongoverno incrudelendo e ubriacando l'opinione pubblica di chiacchiere e di pensieri cattivi, fino ad annettersi pure la decisione della Cedu, perché tutto è vero ciò che la follia e la rabbia del popolo vuole che debba essere creduto.