cesarebattistiLa “festa del ritorno” di Cesare Battisti certificherà, per l’ennesima volta in Italia, la degradazione delle sentenze a Viagra dell’odio politico e della domanda di giustizia a materia da tribunali del popolo.

Che le sentenze diventino rancio di sangue e ebrezza di vendetta per il “pubblico” e passerella di gloria per i potenti è un problema della giustizia, quanto per la politica. È la duplice faccia di quella fusione totalitaria di poteri che il costituzionalismo liberale vuole indipendenti non solo per reciproca garanzia di giudici e politici, ma di tutela dei cittadini dalla violenza della confusione tra le toghe e i laticlavi.

Le sentenze sono “eseguite” dai politici e le leggi “eseguite” dai giudici solo nei Paesi in cui manca tanto il rispetto quanto l’idea dello stato di diritto. Nella Russia di Putin, ad esempio, il modello civile a cui si ispira dichiaratamente Salvini, che si “sente a casa” in un Paese dove un vecchio mestierante della piazza e del sottobosco politico-mediatico, come lui, non sarebbe diventato democraticamente ministro, ma al massimo vittima o carnefice di qualche regolamento di conti criminale o giudiziario, o morto ammazzato o scherano manovrato dai pupari del Cremlino.

L’Italia che sbaverà di soddisfazione e di rabbia per Battisti in galera e che applaudirà i ministri accorsi all’aeroporto per stringergli i ceppi è la stessa Italia che qualche giorno fa ha insultato e minacciato il giudice che ha assolto l’ad di Autostrade Castellucci dall’accusa di omicidio colposo plurimo per l’incidente di qualche anno fa su di un viadotto nei pressi di Avellino. È l’Italia che pensa che le vittime hanno il dovere di pretendere la condanna degli accusati e la giustizia non ha il diritto di assolvere i non colpevoli, perché “la colpa” che questi sono chiamati a espiare non si dimostra in un giudizio giusto, nel contraddittorio delle parti, con mezzi di prova legali, ma matura nell’insindacabile diritto del popolo di fare giustizia, di placare la sete della propria rabbia.

Il politico che più di tutti farà di Battisti la prova della propria serietà e della propria durezza è uno che poche settimane fa salutava caloroso un ultrà spacciatore e irrideva – “sono un indagato tra gli indagati” – chi dichiarava il disgusto per la cattiva compagnia. Perché la giustizia di piazza è sempre così: belluina e trasformistica, violenta e ipocrita, discriminatoria e politica.

Tra qualche minuto – scriviamo prima che atterri a Ciampino – Battisti cesserà di essere un personaggio controverso della controversa storia criminale giudiziaria degli anni di piombo, cesserà di essere un colpevole di cui la giustizia italiana ha il diritto di reclamare la consegna alle autorità straniere e di cui chiunque ha il diritto di discutere, difendere o criticare i processi. Diventerà un “simbolo”, quindi qualcosa di completamente alienato dalla sua vicenda giudiziaria, un puro mezzo della propaganda, un cadavere civile da usare in un ripugnante rito cannibalistico da parte di ministri – Salvini, Bonafede – che paradossalmente condividono lo stesso disprezzo per il “diritto borghese” e per le sue regole con il vecchio rapinatore radicalizzato in galera all’ideale della rivoluzione proletaria.