Superare la guerra alla droga
Diritto e libertà
This drug thing, this ain't police work
(Maggiore ‘Bunny’ Colvin, The Wire, stagione 3, episodio 10)
Mentre a Roma finalmente i lavori dell’Intergruppo parlamentare per la legalizzazione della cannabis procedono nello sviluppo di una nuova idea, è uscito il 7° Libro bianco sulla legge sulle droghe di Fuoriluogo, che analizza tramite i dati ‘ufficiali’ i risultati e gli effetti della nostra guerra alla droga.
Al di là del capitolo, importante, sugli ingressi e le presenze in carcere determinati dalla legge sugli stupefacenti, balzano all’occhio i suoi effetti sul ‘police work’, ovvero sull’impegno che le nostre forze dell’ordine dedicano al contrasto delle droghe. Nel 2015, secondo il rapporto, ci sono state 19.091 attività antidroga (operazioni dedicate o semplici segnalazioni all’autorità giudiziaria) in tutta Italia. Dalla tabella si evince facilmente che quasi la metà delle operazioni di polizia ha puntato sulla cannabis e derivati (48,2%), mentre a seguire vengono cocaina (33,21%) ed eroina (11,8%). Il contrasto alle droghe sintetiche, seppure aumentato in maniera netta rimanendo al dato percentuale, occupa invece solo una parte molto minoritaria (1,61%).
Ma c’è un dato nella tabella che, senza leggere il rapporto, potrebbe passare inosservato: l’assoluta sproporzione tra le segnalazioni per articolo 73 della legge antidroga (che punisce il possesso, la coltivazione, la fabbricazione e il commercio di stupefacenti) e quelle per articolo 74 (che punisce le associazioni criminali dedite al narcotraffico). Come evidenziano gli autori Stefano Anastasia e Maurizio Cianchella, “questo dato testimonia l’orientamento repressivo della legge rivolto verso i ‘pesci piccoli’, piuttosto che verso le associazioni criminali. Anzi, si può dire che in un certo senso favorisca queste ultime, ripulendo il mercato da tutti i possibili competitor meno esperti e mantenendo dunque una situazione di oligopolio che tiene alti i prezzi (situazione nota agli studiosi come Darwinian trafficker dilemma)”.
Sintomo di ‘police work’ che non funziona come ci si aspetterebbe per vincere la guerra ma che, anzi, rischia di produrre effetti contrari, favorevoli al nemico, e disastrosi per la propria parte. Da un lato si ‘sprecano’ risorse di polizia per un’attività che colpisce sostanzialmente solo le prime linee (ma è anche, bisogna sottolinearlo, un’attività spesso accettata come utile dalla cittadinanza, soprattutto quella che vive vicino agli angoli, ai giardini o alle piazze dello spaccio) o chi è trovato a coltivare o comunque in possesso di cannabinoidi senza però essere uno spacciatore; dall’altro i riflessi di una simile attività repressiva si evidenziano alla fine della corsa: la popolazione globale delle carceri, infatti, è pesantemente influenzata dalla legge sulle droghe.
La dimostrazione viene proprio dai dati sugli ingressi in carcere. Scrivono i curatori: “Nel 2006 – anno di entrata in vigore della legge Fini-Giovanardi - i detenuti entrati in carcere per violazione dell’art. 73 (detenzione di sostanze illecite) della legge antidroga sono stati 25.399 (su un totale di 90.714 ingressi in carcere nel corso dell’anno); nel 2008 erano saliti a 28.865 (su 92.800). Nonostante un lieve calo di ingressi ex art. 73, il picco percentuale è stato raggiunto l’anno successivo (2009: 32,21%), ma nello stesso periodo è iniziato un trend di forte diminuzione degli ingressi complessivi, congiuntamente con un calo degli ingressi per violazione della normativa antidroga”.
Nel 2015 si conferma il trend generale che vede gli ingressi totali in calo, in parte per via della sentenza Cedu nel caso Torreggiani che ha spinto verso politiche carcerarie più ‘leggere’, in parte perché “trainati” verso il basso dal calo degli ingressi per violazione della normativa antidroga, a sua volta tra i primi effetti della sentenza di incostituzionalità della più aggressiva legge Fini-Giovanardi.
Dati che mostrano come “la legge sulla droga ‘guida’ i processi di carcerizzazione in Italia: quando la tendenza è all’incremento, è la legge sulla droga che guida la volata; quando la tendenza è al decremento, è sempre la legge sulla droga che mette il freno. Se tra il 2008 e il 2015 gli ingressi in carcere sono diminuiti del 50,62%, quelli per il solo reato di detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti sono diminuiti del 57,44%. Ancora una volta si dimostra che le politiche proibizioniste in materia di droghe sono il principale ferro del mestiere nelle mani dell’apparato penale e di polizia per assecondare le spinte alla criminalizzazione delle fasce marginali della società”.
Ciò risulta ancora più evidente se si guardano i dati sulle presenze in carcere: dal 2006 al 2015 il numero di ristretti per violazione della normativa anti droga non è mai sceso sotto il 32% dei carcerati totali. In altri termini, circa un terzo dei detenuti in Italia è costituito da persone imputate o condannate non per appartenenza a un’associazione dedita al narcotraffico, ma ancora e sempre ‘pesci piccoli’.
Eppure, nonostante una legge repressiva, nonostante gli spacciatori ‘al minuto’ finiscano in carcere, oggi più di ieri è facilissimo per chiunque trovare e comprare la droga per strada (e non solo): dato reso ancora più evidente dal fatto che il consumo è perfino aumentato tra i giovani (15-19 anni) negli ultimi anni, come testimoniano le rilevazioni ESPAD®Italia, European School Survey Project on Alcohol and Other Drugs.
Sono tutte evidenze empiriche del fatto che la war on drugs basata su un proibizionismo spinto non funziona, e mostrano come sia necessario un cambio di prospettiva, a partire dalla regolamentazione dei cannabinoidi, il cui tentativo di repressione, come abbiamo visto, occupa un’enorme quantità di risorse del nostro sistema penale.
Ben vengano allora i tentativi di far emergere il mercato nero - che di fatto è già libero - e regolamentarlo, strappandolo dalle mani delle mafie e dei narcotrafficanti, evitando la criminalizzazione sociale del consumo e permettendo così di alleggerire il carico penale del nostro sistema giudiziario, ri-orientando il police work, indirizzato non più verso una guerra da combattere nei ‘territori occupati’ dello spaccio, ma verso il controllo diffuso della legalità.
L’intergruppo parlamentare ha già elaborato una proposta di legge e un’altra arriverà probabilmente dal basso con la legge di iniziativa popolare della campagna “Legalizziamo!”, che sostiene l’iniziativa dell’intergruppo ma si spinge un po’ più in là in senso libertario. Quale sia il sistema più adatto è una scelta di tipo politico, ed è lì che la guerra può finire con una vittoria. Parafrasando la citazione iniziale: This drug thing, this ain't police work, it’s policy work.