fabrizi carne

Si sa che Pasqua, complice la tenerezza degli agnelli, è il momento in cui le polemiche fra animalisti e onnivori si fanno più accese. È di recente circolazione il filmato di un tentativo di aggressione ai danni di Giuseppe Cruciani, conduttore de “La Zanzara”, da parte di un gruppo di attivisti vegani che hanno forzato l’ingresso degli studi milanesi di Radio 24 lanciandosi letteralmente all’inseguimento del conduttore. Pur senza nutrire alcuna simpatia per le continue provocazioni ed esternazioni anti-animaliste del personaggio, l’episodio – per fortuna senza conseguenze – non può non suscitare unanime condanna.

Per quanto chi scrive è sicuramente preoccupato dalle condizioni disumane alle quali decine di migliaia di animali sono quotidianamente costretti negli allevamenti intensivi di tutto il mondo, è allo stesso tempo opportuno osservare che il passaggio da una dieta onnivora a una dieta vegana o vegetariana – se mai avverrà, come almeno uno di noi auspica – dovrà necessariamente avvenire in virtù della libera scelta delle persone. Sull’onda dell’episodio, il giornalista Sebastiano Barisoni ha affermato all’indirizzo degli aggressori: “C’è gente che mangia la carne, è legale. Non vi va bene? Fate un referendum”. Negli stessi giorni l’onorevole Michela Brambilla ha invece lanciato una raccolta firme per vietare “l’abbattimento, la macellazione, nonché l’importazione e l’esportazione di animali che non abbiano raggiunto l’età adulta”.

Ora, ferma restando l’ovvia considerazione che l’uso dello strumento politico è certamente da preferire all’aggressione, nemmeno la via referendaria o parlamentare paiono di per sé delle buone soluzioni. Anzitutto per ragioni di principio. Una legislazione che vieti la macellazione della carne, infatti, starebbe imponendo sulla maggioranza quella che è una convinzione morale di alcuni (né il problema sarebbe diverso se la popolazione vegana fosse la maggioranza). I vegani replicheranno che la loro non è una semplice preferenza etica, ma un comportamento doveroso che risponde a quelli che sono i diritti degli animali. Sennonché il punto etico e giuridico in questione, estremamente spinoso, è proprio stabilire se agli animali siano attribuibili dei diritti oppure no – e se sì, eventualmente, quali diritti e a quali animali.

Ma oltre alle ragioni di principio ci sono anche ragioni di efficienza. E sono le stesse ragioni che rendono controproducenti le misure proibizionistiche in generale. In nessun caso, quando c’è una domanda per un bene o un servizio, il divieto è sufficiente a farlo sparire. Gangster e speakeasy con alcol di pessima qualità negli anni ‘20, così come oggi il mercato della droga e quello della prostituzione, sono esempi fin troppo ovvi. Nel momento in cui questi mercati sono resi illegali, essi tenderanno a essere rilevati da soggetti disposti a erogarli sfidando la legge: saranno quindi gli imprenditori meno adatti, nella società, a rispettare anche le regole di decenza e di correttezza professionale. Verrà cioè a crearsi un mercato nero, con un conseguente peggioramento del servizio e costi altissimi in termini economici e, quel che è peggio, in termini di vite umane.

È verosimile che un eventuale divieto di consumare carne avrebbe anch’esso conseguenze negative di questo tipo. (In proposito, è da seguire il caso della città indiana di Palitana, il cui governo ha recentemente bandito il consumo di carne e uova e la macellazione di qualsiasi animale.) Persone oneste o preoccupate di pagare le pene si asterrebbero dal fornire quel prodotto. La domanda per il bene, però, resterebbe, ed esso finirebbe in mano a organizzazioni criminali, che saranno ancor meno interessate al benessere degli animali di quanto siano oggi i produttori di carne. In un futuro distopico, continueremo a mangiare carne, comprandola nelle sottovie in pessime condizioni sanitarie. Non solo: gli allevamenti e i macelli illegali, senza controlli, con il rischio di essere scoperti, si trasformerebbero luoghi di tortura ben peggiori degli attuali, orrendi macelli.

Ma se legiferare ha conseguenze inintenzionali negative, ciò non vuol dire che non si possa far nulla per migliorare le condizioni degli animali: oltre all’astensione, possiamo – e lo facciamo sempre più spesso – chiedere per gli animali un trattamento più etico. In un mercato concorrenziale, gli imprenditori guidati dal profitto non potranno sottrarsi alla pressione del pubblico nei confronti della sofferenza animale. Come ha fatto di recente McDonald’s, che ha scelto di rinunciare alle uova di galline cresciute in gabbia. La scelta dovrà però partire dal pubblico.

Nei paesi occidentali il numero di vegetariani, vegani, riduzionisti, onnivori selettivi, ecc. è in costante aumento, e le scelte di tale crescente gruppo di consumatori potranno eventualmente orientare il mercato verso una maggiore offerta di prodotti meat-free o di carne proveniente da allevamenti etici. È il caso ad esempio del Regno Unito, dove (come chi scrive può testimoniare) sia nei supermercati sia nei ristoranti i vegetariani hanno vita molto più facile che altrove. La scelta del consumatore, unita alle campagne di sensibilizzazione, può essere uno strumento potente; lo stesso – che ci piaccia o no – non può dirsi delle restrizioni impartite dall’alto al comportamento degli individui.