Non ha destato molto scalpore la notizia che Mediobanca abbia firmato un accordo di collaborazione con Sberbank, una delle maggiori banche russe. A dir la verità, è quasi impossibile trovarne notizia sulla stampa italiana: un trafiletto sul Sole 24 Ore, un articolo di Italia Oggi che sostanzialmente traduce il comunicato di Bloomberg in merito e nulla più.

Sberbank grande
Non si comprende in cosa consisterà, concretamente, la collaborazione fra le due banche e ben poco se ne riesce a intuire dalle scarse notizie che sono filtrate in rete. Forse l'aspetto più interessante di questo accordo è proprio che nessuno ne abbia parlato, che sia stato passato sotto silenzio, considerato come un normale evento che può interessare giusto a pochi addetti ai lavori.

Non abbiamo elementi per capire se esso rispetti o infranga i termini delle sanzioni imposte alle banche russe dall'Unione Europea a seguito della crisi in Ucraina, né, peraltro, sembra che questo interessi a qualcuno.

Al contrario, diamo per scontato che l'accordo Mediobanca-Sberbank rientri pienamente all'interno della legalità internazionale
e delle operazioni non sanzionate. Il punto, tuttavia, è un altro: perché una prestigiosa banca di affari italiana ritiene opportuno legare oggi (e sottolineo: oggi) il proprio nome alla maggior banca russa, controllata dallo Stato?

Era davvero utile un accordo del genere, proprio mentre la tensione in Ucraina torna a salire e la Russia è considerata dalla comunità internazionale con sempre maggiore sospetto? Mentre il presidente russo Putin abbandona il G20 in anticipo, con una scusa risibile, senza ascoltare niente e nessuno, contribuendo a irrigidire le relazioni con gli altri leader?

Se qualcuno gliel'avesse chiesto - ma nessuno è stato così scortese da chiederglielo - Mediobanca avrebbe probabilmente risposto che il suo mestiere è fare quattrini, non politica, e sarebbe stata, già di per sè, una risposta elusiva, perchè in Russia i quattrini del business finanziario passano tutti, senza eccezione, dalla politica. Mediobanca, in effetti, non ha scelto di entrare nel mercato russo o di attivare una partnership russa, ma di fare un accordo con un pezzo dello Stato russo, cioè, nei fatti, un accordo politico.

In questo caso, non si tratta di contrapporre (moralisticamente, qualcuno direbbe) l'interesse degli azionisti e questioni di opportunità politica generale, anche perché in Italia l'establishment politico e quello economico-finanziario mostrano un atteggiamento analogo, se non identico, di comprensione - potremmo definirlo trattativista a oltranza - verso la Russia putiniana. Per dire: mentre al G20 i leader occidentali lo mettevano sul banco degli imputati, Renzi invitava calorosamente Putin all'Expo.

Si tratterebbe quindi di discutere quanto giovi all'Italia e alle sue aziende (e quindi anche alle sue istituzioni finanziarie) legarsi sempre più profondamente, anche in termini reputazionali, a un Paese di cui la comunità internazionale tende invece ad accentuare l'isolamento. Ma è una discussione politica che esigerebbe trasparenza, non discrezione.

È il professor Panebianco, sul Corriere della Sera, a dare l'allarme: "L'Italia si scopre troppo filorussa". Sebbene nel breve termine un certo tipo di realpolitik, sulla scia di quella berlusconiana, possa sembrare una strategia vincente, ci troveremo presto o tardi a fare i conti con le le conseguenze politiche e economiche di scelte miopi e di breve periodo.

Non è pensabile continuare a ragionare, nei rapporti col resto del mondo, come l'avido e ipocrita oste dei Promessi Sposi, che "faceva professione d'esser molto amico de' galantuomini in generale, ma, in atto pratico, usava molto maggior compiacenza con quelli che avessero riputazione o sembianza di birboni", e per il quale i "galantuomini" erano poi "quelli che bevono il vino senza criticarlo, che pagano senza tirare (...) e se hanno una coltellata da consegnare a uno lo vanno ad aspettar fuori, e lontano dall'osteria".

È come se in realtà fosse Salvini a dire ciò che tutti pensano e, se possono, tutti fanno.
 Business as usual, si parla e si tratta con la Russia di Putin come se niente fosse. Se i russi pagano, potremmo riassumere, chi se ne importa dell'Ucraina: con il diritto, si potrebbe dire parafrasando Tremonti, non si mangia. Noi dobbiamo vendere il vino e il parmigiano (e le scarpe, e le borse, e i servizi bancari); se i russi, poi, continueranno a fornirci il gas, possiamo anche dire di sì a tutte le varie mafiette del NIMBY e risparmiarci il costo elettorale di una strategia energetica meno dipendente da Mosca e quindi meno esposta ai fattori di rischio politico che ruotano tutti, sia in Europa, sia in Medio Oriente, dalle mosse di Mosca.

La politica dell'osteria e delle pacche sulle spalle, tuttavia, se pure nel breve termine può portare qualche vantaggio, ci condurrà tutti, galantuomini e no, dritti verso un mondo sempre più instabile. Dove, peraltro, vendere il vino e il parmigiano sarà l'ultimo dei nostri problemi. E anche Mediobanca potrebbe trovarsi (suo malgrado?) a coltivare la propria partnership strategica con Sberbank mentre la Russia proseguirà nella strategica destabilizzazione degli equilibri europei.