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Dopo la lettera aperta a Matteo Renzi di alcune settimane fa, voglio continuare nella mia analisi delle proposte dei nostri politici per affrontare il fenomeno migratorio. Ho quindi letto con attenzione anche il programma sull’immigrazione del M5S.

Noto con piacere due cose: almeno nelle parole degli esperti consultati per preparare le proposte, la vulgata dei migranti a cui vengono dati 35 euro al giorno per stare in comodi alberghi viene finalmente sbugiardata, così come quella giornalistica che presenta i flussi migratori come movimenti dalle dimensioni bibliche. Queste sono due novità importanti per fornire delle informazioni di base corrette, sulle quali poi elaborare delle analisi. Non so però quanti - sia tra i politici del M5S stesso che tra i suoi sostenitori - abbiano effettivamente letto e interiorizzato queste cose.

Ma veniamo alle proposte, che sono:

Vie legali di accesso
Ricolllocamento obbligatorio
Commissioni territoriali
Cooperazione internazionale

Non so se l’ordine di presentazione sia legato a una logica di priorità. Forse per la mia deformazione professionale di studioso delle migrazione e esperto della cooperazione, io avrei preferito partire dalla cooperazione internazionale per passare quindi alle vie legali d’accesso collegate alle commissioni territoriali per finire al ricollocamento obbligatorio. Dalla lettura delle proposte a me sembra che manchi proprio questa visione sistemica del fenomeno migratorio e del legame esistente tra migrazioni e sviluppo.

 

Cooperazione internazionale

L’esperta che ha elaborato la proposta sulla cooperazione internazionale si chiede: “in Europa si continuano a lanciare proclami di paura rispetto a una potenziale invasione del vecchio continente da parte dei migranti ma, troppo poco spesso, ci si chiede quali siano le condizioni dei migranti nei loro Paesi di provenienza. Per quali motivi i migranti scelgono di partire?” Quindi in seguito rileva che le politiche di cooperazione dei paesi Europei (e quindi dell’Italia) hanno influenzato le “condizioni socio-politiche dei Paesi di provenienza”. Forse quest’aspetto sarebbe dovuto essere il fulcro da cui partire per affrontare il fenomeno delle migrazioni. Invece, di tutte e quattro le proposte, questa sulla cooperazione internazionale mi sembra la più carente.

Non solo manca un’analisi più completa e articolata circa i motivi che spingono i migranti a lasciare il proprio paese, ma soprattutto manca una presentazione degli interventi da proporre in alternativa a quelli finora proposti dagli attori internazionali per modificare lo status quo dei paesi interessati e proporre uno sviluppo dal basso.

Non basta scrivere “La cooperazione dovrebbe puntare a microprogetti di sviluppo culturale per la democratizzazione di questi territori e, in seconda battuta, microprogetti per lo sviluppo delle risorse territoriali, come progetti rurali”, queste sono belle parole che nel concreto significano molto poco. Come si devono individuare i beneficiari di questi micro progetti nel momento in cui la cooperazione avviene attraverso il canale bilaterale (Stato-Stato) e il budget support? Quando si parla di microprogetti rurali, mi sembra che non si consideri che se si vogliono trasformare le aree rurali occorre in ogni caso risolvere i problemi legati all’elettrificazione, alla viabilità, all’erogazione di acqua potabile.

 

Vie legali d’accesso

Qui si propone di istituire una sorta di nuovo visto, il visto per l’asilo da richiedere nelle ambasciate dei paesi nei quali il rifugiato intende recarsi (siano queste nel suo paese di origine o nei paesi di transito). L’idea del “visto asilo” indica scarsa conoscenza di chi siano davvero i rifugiati e richiedenti asilo: immaginare che un richiedente asilo per motivi di persecuzione politica o religiosa possa liberamente andare, nel paese stesso che esercita la persecuzione, liberamente all’ambasciata e richiedere un visto e quindi attendere che questo venga concesso è molto fantasiosa. Occorrerebbe peraltro ottenere l’accordo di tutti e 27 paesi (escludendo le Gran Bretagna) dell’EU sulla modifica del sistema dei visti. E soprattutto, quali sarebbero i criteri da considerare per concedere il visto per motivi d’asilo?

Come si sa la procedura per la domanda di asilo è una procedura prevista dalle leggi internazionali che prevede, obbligatoriamente, un’audizione della persona alla presenza di un interprete che serve a valutare la fondatezza o l’infondatezza della domanda. Anche nel caso del visto per asilo si dovrebbe quindi seguire una modalità simile, ma questo necessariamente comporterebbe che le ambasciate (o là dove queste non ci sono, i consolati) debbano dotarsi di nuovo personale altamente qualificato che sia in grado di valutare se il richiedente abbia i requisiti previsti per ottenere l’asilo.

Indicare in alternativa che siano le delegazioni della Commissione Europea nei paesi a rilasciare il nuovo visto denota poi la non conoscenza delle funzioni delle delegazioni. Nella sostanza quindi questa proposta mi sembra difficile, se non impossibile da applicare. Dei meriti tuttavia questa proposta li ha: in primo luogo sottolinea come la modifica del trattato di Dublino potrebbe aiutare ad affrontare il problema delle richieste d’asilo, in secondo luogo introduce indirettamente l’idea che occorre aumentare le vie legali per i migranti.

 

Commissioni territoriali

È indubbio che il problema dei tempi impiegati dalle commissioni per accertare lo status di rifugiato/richiedente asilo siano fondamentali e che non si possano aspettare 18 mesi per avere un verdetto. Individuare i meccanismi che impediscono alle commissioni di svolgere il loro lavoro in tempi simili a quelli svolti dalle stesse commissioni negli altri paesi europei (che sono di 6 mesi) e quindi porvi rimedio è di fondamentale importanza. Tuttavia la proposta indicata presenta alcuni punti non chiari e contraddittori.

Si dice che per velocizzare i tempi delle procedure si potrebbe procedere con “l’assunzione di 15.000 giovani laureati in materie sociali, giuridiche e umanistiche, formati adeguatamente e gratuitamente”. Non è chiaro allora perché si dica poi che “per formare 15.000 nuovi commissari, servono 540 milioni di euro annui”, ma forse questo è lo stipendio previsto per i 15,000 adetti (in questo caso parliamo allora di uno stipendio di 3,000 euro lordi al mese).

Tuttavia il vero punto critico è un altro: per poter svolgere correttamente il proprio lavoro nelle commissioni occorre che gli addetti abbiano “specifiche competenze giuridiche specialistiche, sul diritto dell’Unione Europea, sul diritto nazionale, sull’evoluzione giurisprudenziale delle corti europee. Servono competenze sociologiche, geopolitiche aggiornate, storiche dei Paesi di terzi, antropologiche e geografiche”. Competenze queste che difficilmente giovani laureati posseggono e che difficilmente si potrebbero maturare in un corso di formazione di breve durata. Quindi proporre questo vuol dire sapere già che gli effetti di un intervento di questo tipo non si vedranno nel breve periodo ma nel medio e lungo e quindi in sostanza non si da una risposta al problema contingente.

 

Ricollocamento obbligatorio

Si tratta della redistribuzione obbligatoria delle quote dei richiedenti asilo tra tutti i paesi dell’Unione. Questa proposta mi sembra la più centrata, non solo pone l’accento sul fatto che una comunità di 500 milioni di abitanti non avrebbe nessun problema ad accogliere i richiedenti asilo, ma anche sottolinea la necessità di avere un Europa più unita che si faccia carico delle proprie responsabilità e impegni presi tra gli Stati membri senza scaricare su i paesi di primo approdo il problema degli sbarchi e trasferire sui paesi di origine e di transito l’onere e la responsabilità del controllo dei migranti in cambio di aiuti economici (spesso a quegli stesi governi che con le loro politiche economiche e sociali sono all’origine dei fenomeni migratori). Il corollario di questa proposta è chiaramente la revisione degli accordi di Dublino che probabilmente nell’immediato potrebbe essere una risposta alla crisi degli sbarchi.

Concludendo questa breve analisi devo ammettere che ho letto le proposte sull’immigrazione del M5S con la speranza che facessero parte di un’analisi complessiva del fenomeno migratorio e fornire degli strumenti concreti ed effettivi per affrontare quello che sembra essere nell’immaginario dei cittadini il più grave dei problemi che affliggono il paese. Tuttavia, anche se le proposte indicate sono un passo in più dello slogan “aiutiamoli a casa loro”, il modo con il quale sono state elaborate lascia molti dubbi sia sulla comprensione del fenomeno, sia sull’attuabilità delle proposte stesse, anche perché in alcuni casi sono tra di loro contraddittorie. La speranza comunque è che da queste proposte possa scaturire un dibattito serio e costruttivo con l’obbiettivo di raggiungere delle soluzioni condivise.