winterkorn

“Il governo tedesco sapeva” titolano oggi con malcelato compiacimento i giornali di un paese in cui distruggere valore aziendale è diventato un titolo di merito per passare da un cda all’altro - stampa compresa - e dai cda alla politica, e in cui gli illeciti e i fallimenti delle grandi aziende vengono regolarmente coperti dalla politica e dai soldi dei contribuenti. Ma si possono fare alcune considerazioni generali prima ancora di comprendere, e ci vorrà tempo, dimensioni e contorni dello scandalo che ha travolto la Volkswagen, prima di riuscire a definire la misura del coinvolgimento della politica e di un governo che ha fatto della salvaguardia ambientale uno dei suoi caratteri distintivi - Klimakanzlerin, era uno dei nomignoli affettuosamente attributi alla Merkel in patria.

Le proporzioni della truffa, la sua quasi infantile “banalità” - un software che dalla centralina elettronica riconosce il test in corso e attiva i dispositivi di riduzione delle emissioni inquinanti altrimenti disattivati - sembra indicare che la prassi di usare trucchi, più o meno innocenti, per bypassare indenni i test ambientali sia piuttosto diffusa, e anche più o meno universalmente tollerata. Cosa che in sé non costituisce un’attenuante per Volkswagen, nel caso venissero confermate le accuse che vengono mosse alla casa automobilistica di Wolfsburg, quanto semmai un segnale di una pericolosa assuefazione all’ipertrofia normativa che finisce per diventare criminogena.

Gli operatori del settore considerano le norme a tutela dell’ambiente tendenzialmente esagerate e sostanzialmente inapplicabili, le vedono come un ostacolo alla produttività e alla competitività del prodotto e necessarie solo al consenso politico di chi le promulga, ma al tempo stesso non vogliono rinunciare al vantaggio di immagine, e spesso agli incentivi pubblici, che deriva loro dall’adeguarsi, almeno formalmente, a quel modello produttivo e alle sue regole. D’altronde, da un'eccessiva regolamentazione possono derivare vantaggi, anche sostanziali.

E’ un po’ quello che si vede ormai da molto tempo nel mondo del cibo, con le norme sulla sicurezza alimentare che vengono tollerate come un male necessario, non tanto per la loro efficacia quanto perché possono rappresentare uno scudo protezionistico contro la concorrenza di prodotti stranieri, e perché ci si può “far belli” anche a livello pubblicitario: noi che le macchine le conosciamo solo perché ogni tanto ne compriamo una, abbiamo familiarità con le normative euro 4, 5 o 6 perché sono le stesse case automobilistiche ad usarle come slogan pubblicitario. 

Il tutto regge fino a che qualcuno non fa un passo troppo lungo, magari per eccessiva confidenza. Ma in un caso del genere, non è la credibilità di una DOP locale a essere minacciata, quanto un settore nel quale operano, a livello globale, solo pochi grandissimi gruppi industriali e che impiega nell’Unione Europea alcuni milioni di addetti. Se le policy ambientali non fossero trattate alla stregua di un feticcio, si potrebbe almeno cogliere l'occasione per testarne l'efficacia e il rapporto tra costi e benefici. Ma sarà un'occasione persa, probabilmente.