ilsindaco

La Sicilia non è l'ultimo avamposto di valori "pre-capitalistici" come una certa retorica passatista, meridionalista e antimodernista (tutti sinonimi) continua a raccontare, ma, al contrario, la patria di quell'anarchismo etico per cui politicamente - e non solo - "vale tutto": autonomia o unità, monarchia o repubblica, ancien régime o controrivoluzione fascista, destra o sinistra, meridionalismo o salvinismo.

La transizione a volte è lenta – i notabili primo-novecenteschi e la piccola e media borghesia meridionale si convertirono al verbo fascista solo dopo il 1923 e al referendum del '46 in Sicilia stravinse la monarchia – ma, ultimatasi, ecco che il "cambiamento" (parola ormai fortemente politicizzata) è stato neutralizzato proprio in quanto accolto a braccia aperte e la conservazione a-valoriale, a-ideologica e "gattopardesca" del potere è salva.

Stasera andrà in onda su Italia 1, in prima visione, "Il Sindaco – Italian politics 4 dummies", il docu-film di Ismaele La Vardera prodotto da Le Iene: si tratta dell'ennesima testimonianza del vuoto etico e dunque politico-ideologico (se non ci sono i valori men che meno può esserci una qualunque fede politica e le parole d'ordine connesse a entrambe le sfere – Famiglia! Onestà! Giovani! – sono, come si diceva, un mero strumento retorico per il raggiungimento e la conservazione del potere) cui si accennava e che nella fattispecie caratterizza l'offerta politico-partitica di Palermo e, per estensione, della Sicilia tutta, del meridione e di tutto il "meridione" inteso come mentalità più che elemento geografico, quella "Sicilia come metafora" di cui parlò Sciascia nel '79.

Più che un film, è un reportage di ottima fattura giornalistica, oltreché la prova del talento e del coraggio del suo autore – al quale va la più ferma solidarietà per le minacce ricevute e per la vita blindata cui lui e la sua famiglia sono costretti dopo la denuncia ai danni boss mafioso Abbate in seguito a una vicenda documentata nel film. La "iena", com'è noto, ha architettato una messinscena memorabile: ha finto di candidarsi alle amministrative di Palermo col fine di raccogliere materiale sul dietro le quinte della campagna elettorale per il docu-film in questione.

In un'ottica ormai inevitabilmente disincantata e senza la benché minima intenzione di sminuire il lavoro di La Vardera o di assumere la posa antipatica di chi "la sa lunga", si potrebbe anche dire che si tratta della documentazione audio-visiva dell'ovvio, le riprese clandestine di retroscena arcinoti che, proprio in quanto clandestine, potrebbero paradossalmente finire per legittimare qualche ras delle preferenze e qualche vecchio gattopardo (al termine della messa in onda si è tentati di commentare: tutte qui le trame dei retrobottega della politica locale? Solo un po' di mercato delle vacche pre-elettorale e un boss che offre un pacchetto di voti in cambio di qualche spicciolo con parole di profondo disprezzo per gli elettori indigenti che sta vendendo?).

In fin dei conti è un prodotto in perfetto stile Le Iene, cioè – lo si ribadisce – un prodotto di ottima fattura giornalistica che però non trascende nemmeno di quel minimo indispensabile la strettissima dimensione della cronaca per adagiarsi su un sottotesto ovvio, come si diceva: durante una puntata de Le Iene, in genere, si apprende semplicemente che i truffatori truffano, i pedofili adescano minorenni, i ladri rubano ecc (al netto di scoop non proprio sporadici ma che comunque non rappresentano la "sostanza" della trasmissione). È chiaro che l'ordinarietà degli illeciti e dell'immoralità non ne deve determinare lo sdoganamento o precluderne la messa in onda per il timore che lo spettatore liquidi la cosa facendo spallucce, ma non si può non notare che la cifra delle Iene consista più che altro nella mera spettacolarizzazione della disonestà.

Ed è questa, per l'appunto, la pecca del docu-film di La Vardera: è tutto sceneggiato e confezionato con riflessioni che non trascendono l'ormai inflazionatissima retorica da Pro Loco della terra meravigliosa rovinata da mafia & collusione, con un po' di grillismo subliminale (e molto probabilmente inconsapevole) nella solita – per quanto, beninteso, sacrosanta – demonizzazione di una classe politica tanto ingorda e ipocrita quanto incapace e nell'assoluzione per "omessa citazione" della società civile cosiddetta, cioè la radice del problema. Clienti, questuanti, moralisti dediti all'abusivismo edilizio, elettori pronti a consacrare gentaglia in cambio di favori personali – il più alto e ambito dei quali è, com'è noto, l'ormai mitologico posto fisso –, ultra-cinquantenni babypensionati cooptati in qualche municipalizzata improduttiva dall'ex notabile socialista o democristiano che oggi si lamentano perché la prole è dovuta emigrare a Milano per avere una qualche realizzazione professionale e quindi si astengono.

E anche quel che ribolle politicamente fra gli aspiranti homines novi della società civile in questione è parecchio demotivante. Estremisti egualitaristi molto timidi con la mafia che pure istituzionalizza e congela militarmente la disuguaglianza (ma iper-attivi se c'è da metter su un corteo contro il Muos di Niscemi o la bonifica di un'area piena di sterpaglie per l'edificazione di un centro commerciale perché, dicono pasolineggiando, si deve preservare il bello); estremisti di destra che hanno fatto della legalità il loro totem ideologico – e di Falcone, Borsellino e a maggior ragione di Cesare Mori, la cui vicenda in seguito a un equivoco storiografico è stata elevata a prova inequivocabile dell'ostilità alla mafia del regime, ma non andò così – hanno fatto di tutti questi eroi dei santini da parabrezza per poi investire a loro volta la quasi totalità delle loro energie nei soliti boicottaggi antiamericani e nell'alimentazione oggi mainstream di sentimenti xenofobi.

Poi ci sono i neo-democristiani, nell'accezione "post-degasperiana" e cioè peggiore della qualifica, quelli che "fanno sul serio", e avviano il cursus honorum con la politica universitaria (spesso collaterale al business delle "serate") e fanno gavetta affiliandosi… al notabile locale; spesso, giungendo allo step successivo e cioè alle elezioni amministrative, si rivelano i peggiori, perché i più voraci, i più energici e i più ipocriti nelle vesti di foglia di fico e vassalli dei loro signori (impresentabili e pingui, inteso in senso "extra-estetico"), muniti di volti nuovi e di abbondante retorica nuovista e giovanilista – sono i peggiori anche perché si lasciano strumentalizzare da chi ha rubato loro il futuro con politiche economiche completamente indifferenti al principio di solidarietà intergenerazionale, così tradendo i loro coetanei e perpetuando la filosofia delle segreterie dei partiti intese come uffici di collocamento. (Scrivendolo si rischia di essere additati quali sfascisti… ed è in quest'ottica necessario puntualizzare che la Sicilia non è solo questa: non per nulla ci sono ragazzi come Ismaele).

Agli estremi e al centro, dunque, anche i new comers sposano l'ideologia unica, quella dello status quo, antimodernista e regressista: il candidato La Vardera era comunque un outsider assai insolito… 

Naturalmente non si può pretendere esaustività da un docu-film specificamente incentrato sulle elezioni amministrative del capoluogo di regione, ma un po' di originalità sì, così come una "confezione" e una sceneggiatura che bilanciassero gli effetti distorsivi di una storia che rischia, per quanto in buona fede, di perpetuare la narrazione "anticasta" che da più di dieci anni illude noi tutti di essere innocenti.