social network grande

Il tragico incidente stradale avvenuto a Roma lo scorso 14 giugno, che ha visto coinvolti il gruppo di youtuber “The Borderline”, e in cui è morto un bambino di 5 anni, ha riacceso il dibattito sulle colpe dei social network, nell’alimentare comportamenti estremi e pericolosi.

È facile, in questi casi, scadere nella retorica del “dove andremo a finire”, e addossare genericamente a determinate tecnologie gli effetti di comportamenti individuali irresponsabili, come se la volontà e la consapevolezza personale rispetto alle conseguenze delle proprie scelte fossero irrilevanti a fronte dell’inesorabile azione “del sistema”. Di certo, è insensato e perfino ridicolo stabilire un nesso causale diretto, nel caso di cronaca specifico, tra l’attività di influencer digitale e la tragedia.

Nondimeno, anche le posizioni a difesa delle piattaforme digitali, non sembrano prive di ingenuità e fragilità argomentative. Il succo del discorso è: i social media sono meri strumenti, che servono per comunicare, e come tutti gli strumenti, il pericolo deriva dall’uso che se ne fa. È un’asserzione condivisibile – senz’altro anche l’oggetto apparentemente più innocuo può diventare mezzo per arrecare danno ad altri – ma nel caso delle piattaforme digitali, non è detto sia così scontata.

I social – Facebook, Twitter, Instagram, Tik Tok ecc. – non sono mere piattaforme neutre per comunicare e condividere contenuti. Si tratta di tecnologie che funzionano sugli incentivi cognitivi, e per questo favoriscono attivamente polarizzazioni e comportamenti sociopatici ed estremi. Il gioco di ottenere like, cuoricini, retweet, followers e altre ricompense del genere (che funzionano per noi scimmie intelligenti un po' come i premietti per i cani) di cui fregiarsi pubblicamente e su cui si può monetizzare, può diventare altamente tossico e pericoloso, per chi lo fa e per chi gli sta intorno. È più probabile che i contenuti diventino virali e quindi più profittevoli, se fortemente divisivi o capaci di suscitare reazioni psicologiche violente negli spettatori.

Favorire non significa causare, e le piattaforme non sollevano certo gli individui dalle loro responsabilità. Ma se il pericolo non dipende dallo strumento ma dall’uso che se ne fa, non è vero che tutti gli strumenti sono uguali. Il pericolo dipende senz’altro, nel caso di queste tecnologie, anche dalla consapevolezza del potere che esercitano su di noi.