ogm big 

Diciassette milioni di utenti soddisfatti in 26 Paesi. 191 milioni di ettari ospitanti. Un beneficio economico per i Paesi che l’hanno utilizzata pari a 186 miliardi di dollari. 670 milioni di kg di agrofarmaci utilizzati in meno, eppure un aumento della produzione di 657 milioni di tonnellate. Potremmo conteggiare anche i benefici ambientali (27 miliardi di kg di emissioni di CO2 annue in meno; più di 180 milioni di ettari di ambiente naturale risparmiato), quelli in termini di salubrità di alimenti e di mangimi ottenuti e quelli di miglioramento delle condizioni di vita di tante famiglie di agricoltori. 

È forse questo il ritratto di una tecnologia fallimentare?
Le colture transgeniche (impropriamente e tendenziosamente chiamate OGM) hanno rivoluzionato il modo di fare miglioramento genetico, contrariamente a quanto sostiene qualcuno, perché hanno permesso di approfondire la conoscenza del funzionamento dei meccanismi di espressione e regolazione del genoma e la conoscenza di nuove tecniche per migliorarli, conoscenza che ha contribuito anche a mettere a punto le attuali tecnologie di evoluzione assistita.

Non hanno soddisfatto le aspettative che avevano solleticato? In parte è vero: si era promesso troppo, accesi da facili entusiasmi e si sa, non si dovrebbe mai dire gatto se non lo si ha nel sacco. Ma d’altra parte, come investire e ottenere il meglio da una tecnologia così avversata dall’opinione pubblica mondiale, spaventata da associazioni pseudo-ambientaliste che hanno una potenza di fuoco mediatico e una capacità comunicativa da fare scuola? La pesante, ridondante regolamentazione messa in atto per contenere questa tecnica l’ha frenata, non ha permesso alla ricerca – pubblica in particolare – di metterla al servizio delle peculiari esigenze dei territori, di specifiche produzioni locali. Questo almeno è quel che è successo in Italia, mentre invece in alcuni Paesi asiatici e africani è stata applicata a coltivazioni locali per ridurne la dipendenza dalla difesa con agrochimica. Questo deve farci riflettere: come arginare un messaggio che parla alle paure e alla pancia delle persone? Come smontare una narrazione che si serve delle più capaci menti del marketing e può spendere molto per farlo? Con un solo potentissimo strumento: i dati scientifici, che su questo argomento parlano molto chiaramente di benefici per produttori, ambiente e consumatori.

Leggere frasi che parlano del “sostanziale fallimento degli OGM in agricoltura. Perché di fallimento si tratta, nonostante i milioni di ettari coltivati nel mondo con OGM” è un’offesa nei confronti dei tanti scienziati italiani che hanno dovuto abbandonare promettenti ricerche, magari vederle andare letteralmente in fumo e cenere. Ed è un affronto agli agricoltori italiani, che ancora oggi sono beffati da un mercato che acquista e utilizza merce che essi non sono autorizzati a produrre. Il comparto del mais italiano, filiera alla base del Made in Italy agroalimentare, ha subito perdite dell’ordine di 200 milioni di € all’anno, vedendo dimezzata (dimezzata!) la produzione nazionale per l’incapacità di competere con la qualità e il prezzo del prodotto estero. Altrettanto ha perso il comparto della zootecnia. Sono affermazioni che ricordano i proclami coldirettiani “gli OGM hanno fallito in Europa” perché scarsamente coltivati, ignorando volutamente che nemmeno il miglior maratoneta può avere performance interessanti se lo si fa correre con mani e piedi legati, con un pubblico a bordo strada che lo insulta e giudici di gara che lo boicottano per soddisfare la sete di sangue degli astanti.

Non è rinnegando i dati che usciremo da questa trappola mediatica, ma restando coerenti con essi. Abbiamo per vent’anni, dati alla mano, difeso l’utilità delle tecnologia della transgenesi e la sicurezza dei prodotti messi in commercio e da essa derivati. Dovremmo oggi dire che è stata un fallimento? Quando invece il fallimento è stato quello di un’intera società incapace di trovare al proprio interno gli anticorpi per espellere dal consenso mediatico narrazioni fraudolente. Mai mettere il bavaglio alle opinioni, ma mostrare all’opinione pubblica dove si trovano informazioni verificate e dove invece si vende se stessi per avere visibilità, soldi e comprarsi falsa autorevolezza con denari altrui. Vorrei vedere un rapporto responsabile con la società, che sia in grado di coinvolgerla nelle problematiche da risolvere e nella conoscenza delle soluzioni a disposizione per farlo.
Dovremmo chiedere un impegno politico a favorire il processo di approvazione all’uso di piante e prodotti derivanti da qualsiasi tecnica biotecnologica, anche nel rispetto delle attuali normative.

Le tecnologie di evoluzione assistita sono promettenti, sicure, efficaci, dispiace vederle lanciate usando messaggi che hanno il sapore di un immeritato tradimento ai danni di chi, agricoltori per primi, ha sempre difeso il lavoro dei ricercatori e ha fatto della propria fiducia nel metodo scientifico una bandiera, una guida nel proprio lavoro di imprenditori, uno strumento – l’unico! – per conoscere il mondo e discernere fra sirene e maestri, fra tritoni e maestre.

Deborah Piovan, Tommaso Maggiore, Giovanni Molteni Tagliabue, Marco Aurelio Pasti, Alberto Guidorzi, Bruno Mezzetti, Giuseppe Sarasso, Enrico Bucci, Pellegrino Conte