funerali murgia grande

Le baronie progressiste adunate nel saluto antifascista, antimafia e pro Hamas ai funerali politici di Michela Murgia rappresentavano in modo perfetto il degrado civile e politico della meglio Italia in spolvero democratico, lo svacco basso-imperiale della retorica da servizio pubblico “always take side” du côté de chez noantri.

Quelle orazioni funebri, così simili per violenza al comunicato jihadista, così affini per protervia e sostanziale blasfemia al comizio salviniano che impugna il rosario come la chioma di una testa mozzata, impedivano di pensare alla creatura tragicamente sottratta alla vita e piuttosto denunciavano la miseria morale del padronato repubblicano che precetta la nazione senza n maiuscola alla liturgia della conventicola da ddl Zan e da editoria contro l’odio, lo scemenzaio intollerante e ignorante abbestia che trionfa nel coraggioso ripudio del prendisole di destra e nell’intrepida resistenza contro la desinenza in A, naturalmente lungo il percorso partigiano delle orgette con i mazzieri a cinque stelle non graduidamende messi a disposizione dallo statista apulo-venezuelano.

Che quest’Italia si raggruppi e sfili per ritrovarsi il giorno dopo, anzi per una settimana, cantata e celebrata da sé stessa sui giornali e nelle televisioni di cui è proprietaria e officiante, va naturalmente benissimo. Va meno bene quando pretende di spacciare il dovere comunitario del rispetto e della pietà per l’obbligo di condivisione (pena chillo è ddossieraggio, chillo è squadrismo, chillo è il gioco della camorra, con la o a culo di faraona, chillo è ‘o caporalato, chillo è ‘o fascismo), per l’obbligo di condivisione, dicevo, degli amorosi sensi con chi festeggia il massacro dei bambini ebrei all’uscita della sinagoga e delle requisitorie pacifiste contro le armi mandate dall’Italia ai drogati e agli omosessuali di Kiev, non contro il coltello russo nel ventre delle gravide, non contro i droni iraniani che fanno strage negli asili e negli ospedali ucraini, non contro i missili a doppietta, uno sulle case e l’altro sui soccorsi.

Tra quel dovere di rispetto per la morte e quell’obbligo di condivisione di certi liberi e legittimi spropositi c’è un abisso. E tale utilmente sarebbe dovuto restare, anziché essere riempito dal chiasso osceno del sussiego castale che “si fa popolo” nel rendere omaggio al feretro del rappresentante di classe.

@iurimariaprado