La sentenza della Consulta che ha decretato l'incostituzionalità del cosiddetto "Porcellum" ha accelerato notevolmente il dibattito sulla riforma delle legge elettorale ed adesso è abbastanza probabile che le forze politiche addivengano ad un accordo entro la primavera. Molte delle proposte attualmente sul tavolo prevedono un modello elettorale in due turni, o nella forma del doppio turno di collegio o nella forma del doppio turno di coalizione – il cosiddetto sistema dei sindaci. C'è, tuttavia, da chiedersi se una legge elettorale a doppio turno sia davvero auspicabile, sia per le dinamiche che essa in generale innesca, che per lo specifico del caso italiano.

urna elettorale

I sistemi a doppio turno presentano infatti pesanti limiti. Innanzitutto in tali modelli non esiste incentivo al voto utile, anzi al contrario la limitata utilità del primo turno fa sì che esso sia utilizzato da molti elettori come sfogatoio. Tanti vanno ben oltre il concetto di votare "liberamente" al primo turno per il partito che sentono programmaticamente più vicino; al contrario utilizzano il voto per "mandare un segnale" e questo segnale più forte è meglio è. Non stupisce, da questo punto di vista, che il sistema francese produca un perenne boom delle estreme, che siano il Front National od i vari partiti marxisti-leninisti. 

Uno scenario del genere non si verifica, invece, in un modello uninominale maggioritario a turno unico che impone una maggiore disciplina all'elettore orientandolo alla scelta tra le opzioni che effettivamente si candidano al governo del paese. Al tempo stesso nei modelli a doppio turno non esistono veri incentivi per le forze politiche maggiori a sviluppare dinamiche interne di apertura ed inclusività. Per vincere le elezioni, infatti, non serve organizzare, come nei paesi anglosassoni, un "partito-paese", plurale e rappresentativo, che aspiri al 40-45% dei voti. Basta presidiare con efficacia un 20-25% con un partito "blindato" per arrivare al ballottaggio e lì giocarsela per il successo finale. Non è un caso che in Francia tutti i partiti storici siano in gran parte partiti "identitari" (socialisti, comunisti, centristi, gollisti, nazionalisti, etc.) e raramente sentano la necessità di evolversi ed ibridarsi per parlare ad una platea più vasta. Il Partito Socialista in Francia resta il Partito Socialista, con tutte le sue rigidità ideologiche – non ha bisogno di trovare i suoi Clinton, i suoi Blair o i suoi Renzi - eppure questo, grazie al meccanismo del ballottaggio, basta per portare Hollande all'Eliseo. Nel caso italiano questo aspetto si tradurrebbe a destra in un sostanziale congelamento di un partito berlusconiano puro, autosufficiente e dinastico, senza alcun interesse a mettersi in gioco in contesto più ampio, ma invece in grado da solo di assicurare l'alternativa alla sinistra.

Alla fine, gli esiti disfunzionali dell'applicazione di un sistema francese sarebbero da un lato delle forze anti-sistema massimizzate in termini di voti elettorali, ma escluse da una rappresentanza istituzionale e dall'altro una maggioranza parlamentare per un partito che nella migliore delle ipotesi rappresenta un quarto degli elettori. Specie nell'attuale contesto italiano, questa condizione sarebbe molto pericolosa per la tenuta del paese e per l'effettiva legittimazione delle istituzioni politiche. In un simile scenario, poi,se un partito populista ed estremista, gonfiato dal voto di protesta del primo turno, riuscisse a pervenire al ballottaggio, potrebbe persino aggiudicarsi il governo del paese, sfruttando a suo favore la contrapposizione "etnica" tra destra e sinistra. In un ipotetico ballottaggio tra Forza Italia e Movimento 5 Stelle è credibile che gli elettori di sinistra convergano sul secondo; ma al tempo stesso in un eventuale ballottaggio tra PD e Movimento 5 Stelle potrebbero essere stavolta gli elettori di centro-destra a dirottare i propri voti su Grillo pur di far perdere la sinistra tradizionale, come del resto mostra il precedente del successo a Parma di Federico Pizzarotti.

Rispetto a quanto avviene in Francia, andrebbe anche preso in considerazione il fatto che il doppio turno è sempre risultato, nei fatti, sgradito ai nostri elettori. Mentre oltralpe il ballottaggio tende a registrare di norma un sensibile aumento dell'affluenza rispetto al primo turno, in Italia – laddove è stato sperimentato – si è rivelato un flop in termini di effettiva partecipazione. Quello che è interessante è che l'emorragia di votanti tra il primo ed il secondo turno non riguarda solamente coloro che al primo turno avevano votato per un candidato eliminato; c'è persino un buon numero di elettori dei due candidati "passati" che poi rinuncia a votare al secondo turno. Accade così non di rado che il vincitore del ballottaggio si affermi con meno voti di quanto lui stesso avesse conseguito in occasione della prima tornata; stando così le cose è davvero difficile affermare che il secondo turno rafforzi la legittimazione dell'eletto.

Per tutte queste ragioni, il modello uninominale alla Westminster appare superiore e sarebbe davvero il momento che ci si decidesse a rivolgersi verso un sistema "puro", come quello in vigore in Gran Bretagna e negli Stati Uniti, anziché verso complesse alchimie che, attraverso premi e scorpori, recuperi e diritti di tribuna, mirano a salvaguardare complessi equilibri tra classi dirigenti, piuttosto che ad assicurare ai cittadini una scelta netta tra due-tre proposte politico-programmatiche e, successivamente, un governo stabile di legislatura.