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Aumentano il costo degli indennizzi per i licenziamenti illegittimi da 24 a 36 mesi, rendendo così più rischioso per un imprenditore assumere a tempo indeterminato. Contemporaneamente, aumentano costi e vincoli delle assunzioni a tempo determinato, in nome della lotta alla precarietà.

Il cosiddetto "decreto dignità" rappresenta plasticamente la traduzione in atti di governo della tara ideologica grillina. Si illudono, Di Maio e compagni, di poter imporre per legge le assunzioni a tempo indeterminato e insieme il divieto di licenziare, promettendo il fantomatico "posto fisso" a un Paese che, anche nei momenti peggiori della crisi economica, ha tenuto livello occupazionali accettabili (e oggi record) grazie alla flessibilità delle formule contrattuali.

L'indegno decreto legge in arrivo in Parlamento è un aggravio netto per tutti, per le imprese e per i lavoratori, i cui rinnovi contrattuali sono messi pesantemente a rischio: anziché favorire le aziende che decidono di rinnovare il rapporto di lavoro con un proprio dipendente, le si punisce perché non assumono tale lavoratore a tempo indeterminato. A queste condizioni, molte imprese preferiranno non procedere a un rinnovo contrattuale di un lavoratore, ma si limiteranno sostituire un lavoratore a fine contratto con un altro. E dunque addio formazione e valorizzazione di quel lavoratore, addio prospettive di crescita in azienda, addio investimenti delle aziende in capitale umano e soprattutto addio alla trasformazione dei contratti a termine un contratto a tempo indeterminato.

C'è una strana tentazione, nelle fila del PD, a sostenere da sinistra questa evoluzione (o deriva) vetero-sinistrista del M5S e della sua politica economica. L'illusione è sostituirsi alla Lega nel dialogo e magari nel sostegno a un governo a trazione 5S. In nome di questo obiettivo, c'è chi pensa (tipo Boccia o Damiano) di abiurare rispetto al mai troppo amato Jobs Act e alle sue norme sui licenziamenti economici. Anzi, che liberazione per molti democratici poter finalmente parlar male del Jobs Act!

Il paradosso è che a difendere il modello di flexsecurity del mercato del lavoro è oggi Forza Italia, che spera di incunearsi tra la Lega e la base elettorale degli imprenditori del Nord, molto contrari a questo decreto, e di allontanare il Carroccio dai grillini fin dal primo vero provvedimento di politica economica del governo Conte. Nessuno però parla espressamente di Jobs Act, un termine che era brutto e abusato quando l'ha creato Renzi, ma che oggi dovremmo santificare e trasformare in icona della resistenza positiva e razionale al governo dello sfascismo pratico e teoretico dei nuovi governanti.

Credo che sia il caso, politicamente e culturalmente, di sederci dalla parte del Jobs Act: tutti gli altri posti sono occupati.