logo editorialeIn tutte le trasmissioni radiotelevisive diverse da quelle di comunicazione politica, dai messaggi politici autogestiti e dai programmi di informazione ricondotti sotto la responsabilità di specifiche testate giornalistiche, non è ammessa, ad alcun titolo, la presenza di candidati o di esponenti politici o di persone chiaramente riconducibili a soggetti politici, a partiti e alle liste concorrenti e non possono essere trattati temi di evidente rilevanza politica ed elettorale, né che riguardino vicende o fatti personali di personaggi politici.

Così recita testualmente l'articolo 4, comma 7 del Provvedimento 1 aprile 2014 Disposizioni di attuazione della disciplina in materia di comunicazione politica e di parità di accesso ai mezzi di informazione relative alla campagna per l'elezione dei membri del Parlamento europeo spettanti all'Italia, fissata per il 25 maggio 2014, approvato dalla Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi che disciplina la cosiddetta par condicio sulle reti Rai. Un'identica norma è contenuta (art. 7, comma 6) nell'analogo provvedimento adottato il giorno successivo dall'Agcom, che disciplina la par condicio sulle concessionarie private nazionali e locali.

In campagna elettorale - non da oggi, ma da quasi tre lustri, in base alla legge 28/2000 - nel periodo compreso tra il deposito delle candidature e il voto, per qualunque elezione, la presenza in TV di esponenti politici, candidati o no, è consentita solo nelle trasmissioni di comunicazione politica (le tribune elettorali, comunque congegnate) e di informazione (i notiziari e le trasmissioni di approfondimento affidate alla responsabilità di una testata giornalistica) ovvero all'interno degli spazi pubblicitari gratuiti (i cosiddetti messaggi politici autogestiti). Nelle altre trasmissioni la presenza non è ammessa, anche se silenziosa, in calzoncini da calcio o smoking, per beneficienza o per cause umanitarie...

La legge sulla par condicio e i conseguenti regolamenti di Vigilanza e Agcom avevano un obiettivo politico dissimulato da esigenza di diritto: imbrigliare la potenza mediatica televisiva e pubblicitaria del Cav. e tappare le bocche di fuoco di Mediaset che, dal '94 al 2000, avevano arruolato direttamente e indirettamente molti dei volti televisivi del Biscione nelle truppe di complemento di Forza Italia e della Casa delle Libertà. Venne però fuori un provvedimento poliziesco, che anziché ampliare l'informazione la commissariò dentro una griglia fitta di criteri numerici (l'equiredistribuzione dei tempi di comunicazione) e politici (la ponderazione equa degli spazi di informazione) di discutibile concetto e di quasi impossibile applicazione. Ovviamente tutto questo non impedì al Cav. di trionfare nel 2001 e di sbancare nel 2008, né di "berlusconizzare" in forma meno canonica, ma efficientissima, l'informazione Rai oltre a quella Mediaset per oltre un decennio.

Si potrebbe discutere a lungo dei paradossi della par condicio - che è stata in fondo il surrogato della legge sul conflitto di interesse - ma non è questo oggi il punto. Il punto è che la legge funziona così, perchè così è stata pensata e voluta da sinistra e così è stata prima subita e poi in fondo accettata da destra. D'altra parte la sinistra erede del PCI contrario alla TV a colori pensava, sbagliando, di poter "commissariare" burocraticamente l'informazione, mentre Berlusconi, da uomo di comunicazione, ha capito presto che i divieti di presenza e di parola si aggirano, con strategie neppure troppo complesse, e non c'è neppure bisogno di violarli per trarne il desiderato vantaggio. Il Cav. dal 2000 a oggi ha vittimisticamente lamentato il bavaglio della par condicio e l'ha usato per farsi pubblicità. È esattamente quello che ha fatto anche Renzi, lasciando ai grillini e ai berlusconiani il ruolo che storicamente toccava ai "comunisti", sempre all'inseguimento delle infrazioni del Cav. A Renzi non è neppure servito giocare una partita di beneficienza in diretta Tv per farsi bello dell'impegno morale e dell'ardore agonistico "proibiti" dalla Commissione di vigilanza. Gli è bastato lamentarsene su Facebook, denunciare la "strumentalizzazione" e offendersi con l'universo mondo così insensibile ai suoi sentimenti, per arruolare pure Gino Strada nella causa renziana. Un vero filotto.

Da un certo punto di vista, Renzi ha pure fatto meglio - cioè peggio - del Cav. Quest'ultimo infatti si lamentava dei divieti, ma non giungeva a fingere di ignorarne l'esistenza. Invece Renzi ha fatto anche questo: ha messo il broncio contro una interpretazione pacifica del regolamento della Commissione di Vigilanza, ha denunciato un abuso che non c'è, ma che alla maggioranza degli italiani orfani del premier-calciatore sarà apparso clamoroso, oltre che ingiustificato e odioso. Insomma, la legge sulla par condicio è cretina, ma è una legge, mentre Renzi è furbo, ma ancora più insensibile del suo predecessore all'idea che le leggi o si cambiano o si rispettano, e tertium non datur.

@carmelopalma

Renzi partita cuore