ilaria salis grande

C'è da chiedersi quale sarebbe stata la mobilitazione della sinistra italiana se Ilaria Salis non fosse un’antifà da manuale – tra centri sociali e scorribande internazionali – e quale sarebbe stata la reazione della destra italo-orbaniana se, anziché una “zecca”, la maestra lombarda detenuta a Budapest fosse stata una post-camerata, una nostalgica dedita al culto necrofilo del presente e del saluto romano.

In Italia, infatti, sembra che i diritti delle persone – e massimamente degli indagati, degli imputati, dei carcerati – riflettano il giudizio degli accusatori e dei carcerieri sulla loro persona, sulle loro idee e sui loro comportamenti. Che i diritti insomma non siano dei limiti opportunamente opposti all’arbitrio del potere, ma il credito sociale riconosciuto dal potere pro tempore agli individui.

Così Salvini può ironizzare sulla professione delicata della maestra scalmanata e indiziata tra l’altro, ma prosciolta, per un assalto ai banchetti della Lega, parecchi anni fa: lo stesso Salvini che nel suo invidiabile cursus honorum combattente ha anche la medaglia di essere stato condannato per avere tirato le uova ai carabinieri e agli avversari politici durante una manifestazione di protesta.

Però, a contrario, possiamo anche vedere lo stracciamento di vesti della sinistra anti-fascista che ai nemici delle destre (rigorosamente al plurale) tributerebbe un trattamento uguale a quello che Orban e la giustizia addomesticata ungherese riserva ai disturbatori del suo potere e che non esiterebbero a benedire i reati di opinione, laddove l’opinione fosse direttamente o indirettamente fascista (e si sa che a sinistra gli indizi di fascismo vanno dalle camicie nere al gradualismo riformista).

Questo bipolarismo manettaro-garantista reversibile, a seconda della posizione degli amici o dei nemici, dei compagni o dei camerati, degli amici e dei compari, è l’immagine perfetta e più somigliante della tempra morale del bipolarismo italiano.

Che la geometria dei diritti debba adattarsi alla geometria degli uomini e allargarsi o restringersi a seconda della loro supposta “virtù”, cioè nei fatti della loro appartenenza, è l’idea più stupidamente totalitaria che si possa immaginare ed è anche la più trasversalmente condivisa in Italia, dove lo stesso termine diritto ormai designa, anche nel linguaggio comune, lo spirito o l’interesse di fazione e l’immunità corporativa di una legge piegata alla regola del particolare.

La legge è, a destra come a sinistra, la legge “dei nostri”. Che orrore.