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La conferenza stampa di domenica sera del Presidente del Consiglio Conte sulle anticipazioni della fase due sembra abbia disvelato la sostanziale natura liberticida della gestione italiana dell’emergenza Covid-19, seppure con le migliori intenzioni.

In verità, già da tempo si discute molto animatamente in dottrina e nell’opinione pubblica sulla legittimità della compressione delle libertà costituzionali, soprattutto con riferimento ai profili attinenti al rispetto della riserva di legge rinforzata ex. art. 16 Cost. (libertà di circolazione e soggiorno), l’unica libertà che sarebbe stata direttamente incisa secondo molti, e quindi dei rapporti tra Esecutivo e Parlamento.

È indubbio che si tratta di un profilo fondamentale, ma che per quanto si vuole sostenere può essere in questa sede trascurato, poiché anche ammessa (e non concessa) la legittimità della c.d. catena normativa, cioè che comunque sia stata rispettata la forma di produzione giuridica prevista dalla Costituzione, ciò non escluderebbe la possibile sostanziale elusione della ratio garantistica della norma costituzionale e, soprattutto, la violazione indiretta delle altre libertà costituzionali. Infatti, occorre ricordare le bella pagine delle lezioni di diritto costituzionale di un grande maestro, Crisafulli, il quale con impareggiabile rigore mise in evidenza quello che può rappresentare un autentico paradosso, cioè che l’instaurazione del regime fascista avvenne nel pieno rispetto delle forme di produzione giuridica vigenti allora, mentre la costruzione dell’ordinamento repubblicano conobbe, soprattutto nella prima convulsa fase, molte rotture della legalità formale per l’ovvia necessità di superare gli impedimenti legali che il regime aveva creato per la sua perenne perpetuazione.

Beninteso, non si vuole certo in alcun modo alludere al rischio di comparsa di un regime dittatoriale, ipotesi francamente priva di qualsiasi fondamento, ma semplicemente osservare che anche nel rispetto formale della legalità costituzionale, ammesso che sia così, è possibile registrare delle sue inaccettabili forzature.

Tornando, appunto, alla conferenza stampa di domenica sera, viene in rilievo ai nostri fini la questione della asserita lesione della libertà di culto denunciata dalla CEI. Al riguardo, sembra opportuno evidenziare la dinamica della vicenda, a suo modo emblematica, come vedremo. Praticamente in tempo reale, dopo che il Presidente Conte aveva confermato il divieto di celebrare funzioni religiose, salvo, con determinate modalità, le esequie funebri (peraltro misura presentata come una personale concessione del Presidente contro il parere degli esperti), veniva emesso un duro comunicato stampa della CEI con il quale si richiamava la Presidenza del Consiglio e il Comitato tecnico-scientifico al “dovere di distinguere tra la loro responsabilità – dare indicazioni precise di carattere sanitario – e quella della Chiesa, chiamata a organizzare la vita della comunità cristiana, nel rispetto delle misure disposte, ma nella pienezza della propria autonomia”, denunciando di non potere (più) accettare di vedere compromesso l’esercizio della libertà di culto. Al comunicato, come noto, è seguita una tempestiva nota della Presidenza del Consiglio con la quale si prendeva atto del comunicato e si annunciava che nei prossimi giorni sarebbe stato messo a punto un protocollo per garantire lo svolgimento in sicurezza delle funzioni religiose.

Questa vicenda, come dicevamo, è emblematica perché evidenzia che il divieto, assunto senza nemmeno consultare le parti sociali coinvolte malgrado la pletora di esperti a disposizione del Governo, non ha una stretta connessione con le misure di sicurezza necessarie ad evitare il contagio e come ciò finisca per produrre degli effetti indiretti sulle altre libertà costituzionali, come, per l’appunto, quella di culto, che risultano assai dubbi.

In altri termini, si ritiene che, ai sensi dell’art. 16 Cost., il presupposto per la limitazione dell’esercizio della libertà di circolazione e soggiorno costituisce, al contempo, il limite ontologico per l’intervento legislativo, nel senso che le misure restrittive dell’esercizio della menzionata libertà devono essere funzionalmente connesse con le esigenze di protezione sottese, non giustificandosi quando finiscano per eccederle.

Nel caso in argomento, nessuno mette in discussione la necessità di un intervento limitativo della libertà di circolazione e soggiorno per contenere la diffusione del contagio, ma tale intervento, da adottare con le forme previste dalla Costituzione (e abbiamo assunto per semplicità che così sia avvenuto), ha probabilmente ecceduto le condivisibili finalità di protezione, imponendo una omogena disciplina nazionale in presenza di una elevata differenziazione territoriale del contagio che oggi, nella prospettiva della c.d. fase due, appare manifestamente irrazionale e immotivato, tenuto anche conto della volontà di mantenere il divieto di spostamento tra Regioni che praticamente azzera il rischio di contagio per molte Regioni nelle quali già oggi è estremamente basso.

Inoltre, i contenuti della disciplina adottata sono stati connotati da un rigore restrittivo ben superiore alla necessità di distanziamento fisico (1 o 2 metri) necessario per evitare il contagio, soprattutto nel caso di uso di DPI, che finisce per incidere indirettamente sulla libertà:

a) personale, in quanto la disciplina ha stabilito un sostanziale regime di “confinamento domiciliare” ultroneo alle predette esigenze di tutela (difatti, un individuo non sarebbe potuto uscire legalmente da casa, se non nelle sole tassative circoscritte circostanze ammesse anche se, per assurdo, si fosse trovato in un’isola deserta), senza le garanzie tradizionalmente predisposte per la tutela di questa libertà negli ordinamenti costituzionali liberaldemocratici, cioè la necessaria adozione di provvedimenti individuali da parte dell’autorità giudiziaria;

b) libertà di culto, in quanto la disciplina ha stabilito il divieto di celebrazioni di funzioni religiose in pubblico, malgrado queste avrebbero potuto svolgersi nel rispetto delle misure di distanziamento fisico, tenuto conto che l’unico limite che norma costituzionale (art. 19) pone per l’esercizio di tale libertà è che non si tratti di riti contrari al buon costume;

c) alla libertà di riunione, nella misura in cui la disciplina impedisce l’esercizio anche nell’ipotesi di una riunione in un ampio spazio pubblico idoneo a consentire il rispetto delle misure di distanza, come ad esempio avvenuto in una recente manifestazione di protesta in Israele, ove tutti i manifestanti erano a debita distanza tra di loro;

d) la libertà di iniziativa economica, nella misura in cui la disciplina consente o meno lo svolgimento di un’attività economica, prescindendo dalla concreta possibilità dell’operatore economico di organizzarla, anche sostenendone i costi, in condizioni di sicurezza.
Peraltro, per concludere queste necessarie sintetiche riflessioni, sembra opportuno evidenziare che il travalicamento delle finalità garantistiche pare possa essere anche testimoniato da diversi passaggi della predetta conferenza stampa, nei quali il Presidente Conte ha usato formule linguistiche (“noi permettiamo”, “noi non consentiamo” ecc.) obiettivamente evocanti una concezione “ottriata” delle libertà tipiche di esperienze ordinamentali di un remoto passato, così come è singolare che in una nota trasmissione televisiva mattutina (“L’aria che tira”) l’esperto chiamato quotidianamente a spiegare gli aspetti tecnici dei vari provvedimenti adottati sia un autorevole funzionario di polizia, piuttosto che un avvocato o un magistrato.

In conclusione, pare si possa esprimere l’auspicio che la prossima fase di questa gestione emergenziale possa consentire il recupero di una dimensione più propriamente costituzionale della vicenda, non tanto, o meglio non solo, nel versante delle forme di produzione giuridica e dei rapporti tra Legislativo ed Esecutivo, quanto anche ad una concezione costituzionalmente orientata della limitazione della libertà di circolazione e soggiorno che preveda misure strettamente connesse con le esigenze di protezione e che dunque non ridondino in indirette lesioni dell’intero sistema delle libertà costituzionali.