Si potrebbe cogliere l'occasione per intavolare l'argomento dell'abolizione del canone RAI o, allo stesso modo, per scagliarsi contro i privilegi dei parlamentari. Per completare il quadro, poi, basterebbe riportare la cronaca minuto per minuto della bagarre televisiva di una domenica di ordinaria follia, evitando con cura di tralasciare i dettagli più succulenti.

Tuttavia, come direbbe l'intellettuale di 8 ½ a Marcello Mastroianni, "ci sono già troppe cose superflue al mondo, non è il caso di aggiungere altro disordine al disordine".

Giletti Capanna

L'unica ragione per cui valga la pena menzionare nuovamente quanto accaduto domenica pomeriggio sulla prima rete del servizio pubblico televisivo è operare una riflessione sullo stato di salute mentale di un paese che, se dall'esterno risulta avere (o simulare) ancora una parvenza di integrità psichica, ci riesce soltanto grazie al fatto che frammenti di vergogna nazionale come la lite in diretta tra Mario Capanna e Massimo Giletti non varcano le Alpi.

Il diavolo si nasconde nei dettagli, ancor di più nelle ragioni di due contendenti che somigliano a orologi rotti: anche loro, due volte al giorno, segnano l'ora giusta. Per questo, le specifiche dello spettacolo raccapricciante inscenato da un ex deputato che combatte affinché non gli venga decurtato il vitalizio e da un presentatore RAI che ama fingersi un cassintegrato, che si accusano l'un l'altro di parassitismo, è bene lasciarle al voyeurismo e al giornalismo da retweet.

Quel che veramente interessa in questa sede, ben al di là di ogni luogo comune da disco rotto sulla legittimità del canone RAI, sui costi della politica e sul principio morale a cui dovrebbero informarsi le retribuzioni dei rappresentanti dei cittadini, è la tendenza ormai consolidata allo sciacallaggio mediatico come tecnica conduttiva scientemente messa in atto e finalizzata all'impennata negli ascolti.

La responsabilità, è bene specificare, non ricade sulle spalle del solo Giletti, che della raccapricciante nouvelle vague del sensazionalismo giornalistico è soltanto uno dei mille volti. L'Arena, La Gabbia, Piazza Pulita: tribunali mediatici che, nomen omen, inneggiano da copione alla trasformazione dei luoghi del dibattito politico in ring per combattimenti sanguinolenti.

Neanche questa, si dirà, è una novità, e di critiche alla società dello spettacolo il dibattito pubblico è saturo. È estremamente raro, tuttavia, che ci si avventuri nel tentativo di ribaltare la prospettiva e fare oggetto della critica non tanto l'offerta mediatica, quanto la domanda di certi contenuti da parte di spettatori che vanno in visibilio per le urla dei contendenti e in fibrillazione per l'odore del sangue.

Bisognerebbe interrogarsi su cosa spinga i telespettatori di un talk show ad applaudire Massimo Giletti, fino a poco tempo fa ricordato dal grande pubblico per il suo ruolo di amante di Megan Gale in "Paparazzi", quando sostiene di lavorare al servizio dei cittadini in difficoltà, strumentalizzando senza pudore la memoria di Isabella Viola, madre di quattro figli stroncata da un infarto nel 2012 per colpa di ritmi di lavoro forsennati.

Potremmo discutere della necessità che da viale Mazzini si adottino provvedimenti disciplinari nei confronti di presentatori che scaraventano libri a terra prima di lanciare la pubblicità, che dal servizio pubblico vengano banditi i toni incendiari, ma il coro di chi aggiunge disordine al disordine è già fin troppo nutrito.

È solo e soltanto del ricorso strumentale alla morte, inscenato nello squallido siparietto cortesemente offertoci da Capanna e Giletti, che vale la pena discutere: dell'ignoranza, della cecità, della semi-infermità mentale di un paese in cui milioni di persone individuano l'opinion leader delle masse in un uomo e nel suo modo di fare TV che si colloca ben oltre il regno della demagogia. Domenica pomeriggio, a l'Arena, si è sconfinato in territori ben più sinistri, ove è lecito servirsi della tragedia altrui per trarre vantaggio in un dibattito e strappare l'applauso della claque.

La malattia di un paese che ha sempre più un piede nella fossa passa per queste manifestazioni di acclamazione popolare a certi spettacoli impietosi. Quando una massa forma le proprie preferenze elettorali sulla base di fenomeni di necrofilia da piccolo schermo, tutto il resto diventa rumore di fondo, effetti – e non cause – di un male inguaribile. Le minacce di querela, le accuse di derubare "legalmente" (sic.) i cittadini, l'eterna querelle su vitalizi, pensioni, contratti RAI: tutto perde senso, la follia vince.