Non sorridono più i comici né i conduttori quando si chiede loro di portare alla ribalta in televisione non se stessi, ma il proprio compenso. Oppure mostrano ironia mentre inviano frecce acuminate al politico di turno che, richiamando il denaro, vile per definizione, rovinano la festa della prima serata con una sorta di “il re è nudo”.

fazio brunetta

La miccia è stata accesa da Brunetta nel programma di Fazio. E’ bastato un cenno perché il conduttore i cui inviti nessuno rifiuta – miracoli reputazionali del programma o di chi vi prende parte? - perdesse l’aplomb tradizionale e quella reverenza che artificiosamente usa e che con evidenza accentua se chi sta intervistando è personalità importante, specie se politicamente seduta dalla parte giusta. Rito di buona ospitalità, forse.
 
Dapprima si è trincerato dietro una riservatezza - prevista da una non meglio precisata clausola contrattuale - che un soggetto pubblico non dovrebbe mai neanche menzionare nell’epoca in cui alla trasparenza vengono intitolate leggi per renderla strumento di credibilità personale, oltre che di responsabilità istituzionale: ciò specialmente quando trattasi di compenso somministrato da un’azienda che, per obbligo di legge o anche solo per opportunità comportamentale derivante dal canone percepito, dovrebbe rendere conto al pubblico del proprio operato e, prima di tutto, dei risultati di bilancio. Si è poi quasi giustificato, facendo presente gli introiti che il proprio contributo professionale apporta alla RAI nonché la percentuale delle tasse corrisposte allo Stato.
 
Qualche giorno dopo è stata la volta di Crozza, che per un soffio ha visto sfumare il contratto con la società di viale Mazzini e, quindi, l'elargizione di compensi altrettanto lauti. Le argomentazioni a favore dell’ammontare previsto sono state le stesse di Fazio, nel corso del solito sketch ove settimanalmente, come dicevano i latini, i costumi vengono castigati ridendo, purché siano quelli altrui.
 
Il libero mercato e il suo funzionamento, di cui parlano i soliti “quattro gatti” spesso citati da Ostellino, sono così saliti agli onori della cronaca a opera di personaggi che dal denaro e dal capitalismo che ne è espressione, alla stregua del demonio, hanno sempre preso le distanze. Perché se la difesa della concorrenza  e del suo funzionamento - che rende legittimo premiare con guadagni adeguati ai risultati ottenuti, merito e valore personale di chi dimostri di saper ben usare le proprie risorse – fosse stata fatta da chiunque altro, il tutto sarebbe risultato più coerente. Nessuno osi mettere in discussione la libertà di guadagnare quanto è commisurato alla propria bravura, sembrano invece ritenere oggi, tra le righe delle battute avvelenate che in questi giorni stanno dispensando, coloro i quali sono soliti demonizzavare il liberismo, definendolo “selvaggio” quando vogliono usare un eufemismo, altrimenti molto peggio.
 
Gli ultimi vent’anni possono essere criticati per molti versi, innanzi tutto proprio per quelle promesse liber-qualcosa non mantenute, ancorché continuamente vagheggiate, da chi per più tempo ha governato: ma di certo non per il fatto che del pubblico denaro e dell’uso che ne viene fatto si è finalmente cominciato a parlare (anche del denaro privato di personaggi pubblici, purtroppo, ma questa è storia che non c'entra e che confonde ruoli e soprattutto piani diversi). Ciò anche in forza e al fine della richiamata trasparenza. E’ inutile esaltare il ruolo di pubblico controllore (watch-dog, in modo più colorito) che ciascuno, da cittadino informato, oltre che da contribuente, deve poter esercitare, se poi in televisione nel programma che si conduce non si dice ciò che, per altre vie, tutti sanno, cioè il proprio compenso. E’ inutile continuare, in maniera esplicita o meno, a guardare con sospetto chi sostiene la libertà di farsi valere in una competizione professionale aperta a tutti, rivendicando per sé lo stesso principio quando più conviene. La trasparenza, richiamata nella trasmissione di Fazio, prima ancora che fine o mezzo o addirittura obbligo di legge, è "metodo" di porsi e di operare: chi svolge attività di pubblica rilevanza non vi si può più sottrarre.

Ma non si cada nell'equivoco di ritenere che essa trovi espressione nelle dirette streaming ove si comprova il niente, nelle consultazioni in rete con le quali si dà ai partecipanti l’illusione di contare o nell'esibizione di scontrini irrilevanti. Trasparenza è quel principio in forza del quale ciascuno, se chiamato a renderne conto, può dimostrare di aver operato nel rispetto delle regole che alla propria attività sono poste. Non solo, può riuscire a rendere credibile se stesso, con la coerenza del proprio comportamento rispetto alle idee esposte, di fronte alla gente. Lo rammentino conduttori, comici così come chiunque altro. E se si merita, perché si dimostra di produrre valore, non è necessario vergognarsi del compenso che al proprio merito viene attribuito. Altrimenti, per apparire migliori, si corre il rischio di apparire tutt'altro.