Da 'V per Vendetta' a 'The Last of Us'. Il populismo e post-populismo nella narrazione videoludica
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“I popoli non dovrebbero avere paura dei propri governi, sono i governi che dovrebbero aver paura dei popoli”: questa citazione di Thomas Jefferson viene pronunciata dal protagonista del celebre film “V per Vendetta”, che si concludeva con una folla che assisteva all’esplosione della sede del Parlamento, simbolo della distruzione di un regime autoritario per restituire il potere al popolo. “V per Vendetta” incarna perfettamente l’archetipo dell’opera d’arte populista e antisistema, tanto che in seguito la maschera di Guy Fawkes indossata da V venne utilizzata dagli hacker di Anonymous e da altri movimenti di protesta.
A differenza di certi film autoconclusivi, che finiscono con la caduta di un certo ordine senza mostrare cosa viene dopo, un'altra forma culturale ha dimostrato negli ultimi anni di saper raccontare bene anche società “post-populiste”, dove rivoluzioni nate con l’idea di creare la società ideale finiscono per degenerare nell’anarchia o in una nuova tirannia: i videogiochi.
Partiamo da uno dei successi più recenti, “The Last of Us parte II”, uscito nel 2020: è ambientato in un America post-apocalittica dove un parassita ha trasformato gran parte della popolazione in creature simili a zombi, costringendo i superstiti a rifugiarsi in città-roccaforti dove vige la legge marziale o a riunirsi in bande di predoni. Per vendicare la morte del suo caro amico Joel, la protagonista Ellie insegue gli assassini fino a Seattle, dove le truppe del governo sono state rovesciate da un gruppo rivoluzionario noto come WLF. Tuttavia, una volta al potere non riescono a portare un vero miglioramento nella vita dei civili, e si scontrano per il controllo di Seattle con i Serafiti, una setta religiosa che predica un ritorno alla natura in maniera radicale.
Attraverso delle lettere che il giocatore può trovare in giro per la città, si può ricostruire tutta la storia di come la rivoluzione abbia solo sostituito un governo autoritario con un altro, creando una certa disillusione. Interessante notare come durante la prima fase quelli del WLF definivano “fascisti” i militari, salvo venire definiti a loro volta con lo stesso termine una volta al potere.
L’autore del gioco, Neil Druckmann, aveva già sperimentato una modalità simile nel 2016 con “Uncharted 4: Fine di un ladro”, capitolo conclusivo di un'altra serie d’avventura che aveva contribuito a creare. Il protagonista, il cercatore di tesori Nathan Drake, giunge con il fratello su un’isola vicino al Madagascar alla ricerca delle rovine di Libertalia, leggendaria città fondata dai pirati nel XVII secolo all’insegna dell’assenza di regole, dove sperano di trovare un enorme tesoro. Esplorando il luogo, e trovando anch’essi varie corrispondenze come Ellie in “The Last of Us”, capiscono come l’utopia piratesca finì per degenerare sia per le difficoltà nell’amministrare la giustizia sia perché i vari capitani iniziarono a farsi la guerra per il bottino. Interessante notare come, per ironia della sorte, dei pirati dovettero allestire delle prigioni per punire chi trasgrediva le loro regole.
Un'altra repubblica piratesca apparsa nel mondo dei videogiochi che fece una fine ingloriosa fu quella di Nassau, oggi capitale delle Bahamas, abitata perlopiù da pirati che si nascondevano dalle marine inglese e spagnola, la cui storia viene narrata in chiave romanzata nel titolo del 2013 “Assassin’s Creed IV: Black Flag”. Dopo l’entusiasmo iniziale del protagonista Edward Kenway all’idea di una repubblica pirata libera dal dominio dei grandi imperi dell’epoca, si verificano vari problemi: dapprima gli abitanti vengono colpiti da una pestilenza, per cui Kenway e il pirata realmente esistito Edward Thatch, passato alla storia con il soprannome di Barbanera, devono affrontare numerosi nemici e insidie per procurarsi delle scorte di medicine; in seguito, Nassau viene occupata dalle truppe inglesi, che costringono i pirati ad abbandonare il territorio.
Un altro gioco di successo dove traspare una certa disillusione nei confronti di slogan populisti e antisistema è il western del 2010 “Red Dead Redemption”: dovendo dare la caccia a un suo vecchio compare, l’ex-bandito John Marston si reca in Messico, dove rimane invischiato nella lotta tra le truppe governative e i rivoluzionari guidati da Abraham Reyes, finendo per combattere da entrambe le parti per raggiungere il suo obiettivo.
È interessante notare come Reyes incarni perfettamente l’immagine del leader populista: nato da una nobile famiglia, usa il suo carisma per convincere il popolo a rovesciare l’oppressore, anche se alla fine il suo interesse sembra essere più legato al tornaconto personale che alla reale empatia nei confronti degli oppressi. Lo prova il fatto che nonostante avesse fatto innamorare di sé la giovane ribelle Luisa convincendola di volerla sposare, al punto che questa arriva a sacrificare la propria vita nel tentativo di salvarlo, lui in realtà la considerava una popolana di cui approfittare per il piacere fisico. Inoltre, dopo la rivoluzione si verrà a sapere leggendo i giornali che nonostante le promesse di portare uguaglianza e democrazia è diventato un dittatore non meno autoritario di quello precedente.
A fronte di tutti questi esempi, non mancano altri videogiochi che al contrario inneggiano a rivolte contro il sistema analogamente a “V per Vendetta”, spesso conditi da teorie cospirazioniste: in “DMC: Devil May Cry”, uscito anch’esso nel 2013, si immagina la società intera governata dietro le quinte da demoni che si mascherano da umani controllando le banche, i media e in generale tutto ciò che è legato al capitalismo. Come in “V per Vendetta”, anche qui la lotta al terrorismo post-11 settembre viene presentata come un pretesto dei poteri forti per limitare la libertà, mentre l’idea di demoni travestiti da umani ricorda le teorie del complotto sui rettiliani. E non mancano esaltazioni degli hacker come ribelli e riferimenti all’idea che gli uomini vengono “tenuti addormentati in un sonno artificiale” come nel film “Matrix”, che non a caso è diretto dai Fratelli Wachowski, gli stessi registi di “V per Vendetta”.
In conclusione, quello dei videogiochi è un mondo che, con il progressivo miglioramento delle tecnologie e l’aumento delle risorse investite, riesce a raccontare temi politici di grande importanza con un approccio tutt’altro che banale, anche con uno sguardo meno ideologizzato rispetto a quello che si trova in altre forme di espressione culturale.