Camus big 

“Quasi tutta la vita e l'opera di Albert Camus sono state un tentativo di opporsi al male del mondo, incarnato prima nei totalitarismi nazifascisti e poi nello stalinismo. Camus uomo libero, sostanzialmente anarchico, uscito dal partito comunista algerino già in gioventù, non poteva chiudere gli occhi di fronte allo scandalo dello stalinismo e del gulag. La Peste è una metafora di tutte le forme di male che popolano il mondo, ma soprattutto del nazifascismo, che si era diffuso in Europa in modo subdolo e inavvertito”.
Così risponde Giovanni Catelli, scrittore e poeta cremonese, autore di Camus deve morire – libro di qualche anno fa che ancora oggi fa discutere – alla prima domanda di una conversazione che si rivelerà lunga e densa di spunti di riflessione.
Bloccati in casa per la pandemia da Covid-19, iniziamo la nostra intervista telefonica proprio parlando dell’eredità de La Peste, uno dei libri più noti dell’intellettuale francese.

Nelle ultime settimane in molti hanno sottolineato la straordinaria attualità di questo romanzo uscito nel 1948. L’Italia, una delle nazioni maggiormente colpite dal coronavirus, sta infatti sperimentando, analogamente a Orano, città dell'Algeria nordoccidentale in cui si svolgono le vicende raccontate nel libro, un mix contraddittorio di passioni ed emozioni che oscillano tra i poli opposti della solidarietà e della disgregazione sociale.
La pandemia sta inoltre mettendo a dura prova le capacità critiche di ognuno di noi e le persone meno attrezzate rischiano di subire gli effetti nefasti oltre che del contagio epidemiologico di quello delle fake news, virus altrettanto letale.
Catelli, dopo aver ricordato la dimensione etica di Camus, torna ancora sul celebre romanzo dello scrittore francese.
“Gli atteggiamenti degli uomini che hanno concorso alla diffusione del morbo sono stati l'indifferenza, l'indecisione, l’inerzia (sia nel riconoscere la malattia che nel reagire), lo spirito burocratico, l'egoismo, la grettezza. Il riaversi della popolazione dopo l'epidemia non potrà comunque cancellare gli errori e le tragedie passate; sarà una tregua momentanea basata sulla voglia di vivere di ogni individuo. Per Camus infatti il bacillo della peste non muore né scompare mai.”

Secondo l’autore lombardo “una forma contemporanea di peste potrebbe essere veicolata tramite la disinformazione, che manovrata professionalmente può diffondere in modo virale teorie destabilizzanti, manipolando gravemente l'opinione pubblica e intaccando la sua capacità di discernimento, sino a pilotare decisioni capitali”.
Prima di parlare della genesi di Camus deve morire, uscito nel 2013 per i tipi di Nutrimenti, poi pubblicato anche in Francia e recentemente in Argentina (con una nuova testimonianza, quella di Giuliano Spazzali), Catelli mi spiega che Camus è un autore che ha sempre amato fin da ragazzo per la nobiltà della sua figura in quanto “a differenza di Sartre, filosovietico e ideologicamente ottuso, si è sempre impegnato in difesa dell’Essere umano”.
“Approfondendo la sua biografia, mi sono presto convinto che il suo incidente non fosse stato casuale, e che una delle forze a cui si era opposto nelle sue dichiarazioni pubbliche fosse riuscita ad eliminarlo. Per molti anni questa convinzione rimase in me senza poter ottenere riscontro; poi, a Praga, nel diario intimo del poeta e traduttore dal russo Jan Zábrana trovai una pagina sconvolgente in cui si descrivevano in dettaglio i motivi per cui era stata decisa la sua morte e le modalità con cui era stato eliminato. A quel punto sentii il dovere morale di indagare. La mia ricerca durò vari anni, e inizialmente volevo solo verificare che i fatti si fossero svolti in quel modo. Quando mi resi conto che la realtà dei fatti combaciava perfettamente con la testimonianza di Zábrana, e mi sentii certo che in effetti l'incidente era stato provocato, decisi che era necessario proseguire nelle ricerche e raccontare l'intera storia in un libro”.
Camus, insignito del Premio Nobel per la letteratura nel 1957 a soli 44 anni, morì la mattina del 4 gennaio 1960 in un incidente stradale presso Villeblevin.
L’auto diretta a Parigi, guidata da Michel Gallimarde, su cui viaggiavano lo scrittore, e la moglie e la figlia dell’editore, giunta all’altezza della minuscola frazione di Petit-Villeblevin (Borgogna-Franca Contea), sterzò improvvisamente facendo perdere il controllo al conducente e mandandolo a sbattere contro uno dei platani che costeggiavano la strada.

La perizia tecnica condotta dopo l’incidente sostenne che il guidatore avesse perso il controllo a causa del blocco di una ruota o della rottura di un'asse. Camus venne estratto dalle lamiere contorte già agonizzante, Gallimard morì 5 giorni più tardi.
Catelli non crede alla tesi dell’incidente stradale come tragica fatalità e sottolinea come la storia del Novecento sia piena di “incidenti stradali propizi” in cui sono stati fatti fuori personaggi scomodi e inizia a sciorinare nomi e vicende a suo avviso dubbie come l’incidente in Bulgaria del 1973, in cui fu coinvolto il segretario del PCI Berlinguer, fino alla morte sospetta in Ucraina del candidato presidenziale Chornovol nel 1999.
Gli chiedo allora chi, a suo avviso, avesse interesse ad eliminare Camus e per quale ragione.
“Camus si era fatto nemici da ogni parte per i suoi interventi pubblici. All'epoca la parola di un Sartre o di un Camus erano molto più potenti di quelle di un Primo Ministro. Inizialmente pensavo al Fronte di Liberazione Algerino, che aveva minacciato Camus di morte per le sue posizioni moderate e favorevoli a una federazione con la Francia sull'indipendenza algerina; anche l'OAS (N.d.R. Organisation de l'armée secrète) si diceva volesse eliminarlo, per opposte ragioni. Il Partito Comunista Francese e il Cremlino erano infuriati per la sua condanna dell'invasione in Ungheria e per l'aiuto a Pasternak ad ottenere il Nobel. Era circondato da nemici pericolosi”.

Nel suo libro Catelli sostiene che fu però il KGB a condannare a morte Camus.
“Dopo la testimonianza di Jacques Vergès appare però chiaro che il piano per eliminare Camus, concepito dal KGB dopo i suoi attacchi al ministro Shepilov e la condanna dell'invasione in Ungheria, viene portato a realizzazione in vista della visita di Khrushchev a Parigi del marzo 1960”.
“Il 14 maggio 2014 – prosegue Catelli – nel corso della presentazione di Camus deve morire, tenutasi presso la libreria Centofiori di Milano si è presentato tra il pubblico l'avvocato Giuliano Spazzali, principe del Foro italiano e protagonista del processo cardine dell'inchiesta Mani Pulite”.
Catelli ricorda che Spazzali, dopo aver assistito alla presentazione, portò la sua preziosa testimonianza relativa alla propria frequentazione dell’avvocato francese Jacques Vergès che, verso la fine degli Anni Settanta, divenne suo amico.
Nei loro colloqui privati, frutto di una lunga frequentazione, Spazzali ebbe ad ascoltare da Vergès la sua versione riguardo alla morte di Camus.
Secondo Vergès, che si esprimeva con grande sicurezza, sottolineando che la sua versione dei fatti fosse frutto di precise informazioni ricevute, e non di una sua opinione personale, l'incidente in cui aveva perso la vita Camus era stato provocato ad arte da una sezione del KGB, con il tacito assenso dei servizi segreti francesi.

Fu proprio la visita del leader sovietico in Francia – a detta di Catelli – il movente definitivo dell’attentato.
“La Francia e l'Unione Sovietica tenevano tantissimo a questo riavvicinamento, la posta in gioco era l'uscita della Francia dalla NATO, che l'influenza sovietica riuscì a conseguire. La visita era stata preparata per mesi da entrambi i governi e dal PCF in ogni dettaglio, per mostrare all'opinione pubblica un’immagine positiva del leader del Cremlino. Camus lo avrebbe certamente attaccato per il sangue versato a Budapest e per la repressione dei dissidenti, rovinando presso l'opinione pubblica l'immagine dell'Unione Sovietica. Entrambi i governi non potevano permetterlo. Da qui, probabilmente, il patto scellerato che consentì ai sovietici di eliminare Camus con il tacito consenso dei servizi francesi, come sosteneva Vergès”.
Catelli ricorda come la visita di Khrushchev in Francia durò quasi due settimane.
“Fu un vero Tour de France, con folle festanti organizzate in ogni tappa; la preparazione fu maniacale, con la collaborazione dell'ambasciata sovietica e del PCF. Addirittura, con una misura degna di anni più bui, furono deportati in Corsica centinaia di fuorusciti dei paesi dell'Est conosciuti per attività anticomuniste, per impedire qualsiasi rischio di opposizioni o manifestazioni contrarie a Khrushchev. Il governo Francese e i servizi segreti erano profondamente infiltrati dai sovietici, tanto da esserne costantemente manipolati”.

Khrushchev – fa notare lo scrittore di Cremona – considerava la Francia l'anello da controllare per attirare verso l’URSS il resto della catena europea.
“De Gaulle era deciso ad uscire dalla NATO e la sua svolta ad Est gli permetteva di sentirsi l'ago della bilancia europea, anche in funzione antitedesca. Camus avrebbe potuto mandare in fumo i progetti di entrambi i governi. Non gli fu permesso”.
Il libro di Catelli aiuta anche a riflettere sul periodo khrushcheviano, troppo spesso considerato in ottica positiva in Occidente nonostante proprio in quegli anni come scritto anche da Christopher Andrew e Oleg Gordievsky ne La Storia segreta del KGB, il KGB sotto la guida di Shelepin considerasse l’assassinio selettivo parte integrante delle sue operazioni estere.
Pochi inoltre sanno che le liquidazioni di Lev Rebet nell’ottobre 1957 e di Stepan Bandera nell’ottobre 1959, due leader nazionalisti ucraini, furono autorizzate personalmente proprio da Nikita Sergeyevich.

“Il periodo khrushcheviano si distingue dallo stalinismo vero e proprio per il documento che condanna i crimini di Stalin e per un rilassamento interno dei metodi repressivi, ma all'estero i comportamenti del KGB non si distaccarono in nulla dai metodi precedenti; negli anni di Camus l'accoppiata Shelepin - Serov alla guida di KGB e GRU rappresenta una delle conduzioni più sanguinarie in termini di attività aggressive all'estero. Ricordiamo i delitti dell'agente Stashinsky, che a Monaco di Baviera tra l'ottobre '57 (con a capo del KGB Serov) e l'ottobre 59 (con a capo del KGB Shelepin) uccise con uno spray al cianuro i fuorusciti ucraini Rebet e Bandera, facendo credere che si trattasse di cause naturali. Questo conferma come le decisioni di eliminare personaggi scomodi (vedasi il caso di Camus) permanessero anche con il variare degli uomini nelle cariche direttive politiche e dei servizi. Inoltre una direttiva rigorosa per gli omicidi all'estero, era che dovessero sembrare ad ogni costo frutto di incidenti o di cause naturali. Siamo venuti a conoscenza della verità solo grazie alla defezione di Stashinsky, che nel '61 fuggì all'ovest a Berlino, e quasi unicamente di queste operazioni segrete, come in molti altri casi, quale ad esempio Khokhlov, si giunge a conoscenza solo grazie a testimonianze dirette. È chiaro che gli scettici e i nostalgici pretendono che si producano documenti scritti in cui sono decise queste operazioni in modo trasparente, e che assassinii e operazioni sanguinarie vengano documentate ad uso dei posteri come normali decisioni amministrative”.

A chi lo accusa di dietrologia e di portare avanti tesi cospirazioniste – è successo anche qualche mese fa via Facebook che un accademico attaccasse veemente il suo libro – lo scrittore cremonese risponde che scettici e nostalgici si incontrano ad ogni passo.
“Si sente spesso una resistenza a parlare di certi temi, come se la storiografia non avesse aperto gli occhi di tutti sui comportamenti oggettivi tenuti in quell'epoca. L'onestà della ricerca e l'assenza di secondi fini politici spesso non vengono comprese, si pensa sempre a chissà quali fini. In realtà c'è una resistenza dello stalinismo in molti a livello inconscio, perché Camus e altri condannati dallo stalinismo erano più autenticamente libertari e genuinamente di sinistra degli sgherri di Stalin, dei regimi dell'epoca e di quanti tuttora credono alle menzogne di quei governi. La verità su un uomo limpido e grande come Camus è l'unico fine da me perseguito”.
L’onestà intellettuale di Catelli non è sfuggita né a Dario Fertilio che sulle pagine del Corriere della Sera gli dedicò un ampio articolo poi ripreso dal Guardian, che precedette di due anni l’uscita del libro né, in tempi più recenti, allo scrittore statunitense Paul Auster che ha definito convincenti le argomentazioni dell’autore di Camus deve morire.