Il centrodestra di Stracquadanio
Terza pagina
La morte prematura di Giorgio Stracquadanio ci toglie una personalità interessante nel dibattito politico e culturale dell'area liberalconservatrice.
Radicale, liberale, forzista, pidiellino. Stracquadanio è stato molte cose, in veste di politico e di giornalista. Sua è stata la rivista "Il Predellino", che deriva il nome dal famoso discorso con cui Berlusconi annunciò la nascita del Popolo della Libertà; suo è il webmagazine "La Cosa Blu" che negli ultimi mesi ha provato a raccontare un nuovo possibile centro-destra. Il grosso pubblico lo ha conosciuto soprattutto come convinto argomentatore della "posizione berlusconiana" in tanti dibattiti televisivi. Ed è proprio l'immagine del "pasdaran berlusconiano" quellache gli è rimasta più "attaccata" equella che un po' tutti i giornali hanno ricordato con un'inevitabile implicita connotazione negativa.
Eppure questa "reductio ad berluscones" non rende giustizia al profilo politico di Giorgio Stracquadanio che è stato sempre uomo di idee ed intenti liberali, oltre che analista fine delle dinamiche del centro-destra italiano. A Stracquadanio si può senz'altro rimproverare, e non a vanvera, il fatto di essere stato troppo a lungo acritico rispetto alle scelte di Berlusconi, di non aver visto o voluto vedere alcune evidenti falle che poi nel tempo hanno condotto allo sfaldamento del PDL. Eppure la decisione di andare per un certo periodo "all in" su Berlusconi – per dirla con un gergo da poker texano - non può essere liquidata in termini sommari o puramente sminuenti.
La scelta di Giorgio Stracquadanio di scommettere sul Cavaliere e sullo "spirito del predellino" aveva una logica politica e non personalistica o carrieristica - ed è avvenuta in una fase della Seconda Repubblica in cui non era totalmente priva di senso e di visione. Il superamento dei partiti politici della Casa della Libertà all'interno di un nuovo soggetto unitario era, di per sé, una prospettiva valida; come lo era il superamento in chiave fusionista dei veti e della negoziazione continua che avevano appesantito i primi governi Berlusconi.
La nascita del PDL poteva essere l'occasione per "riaprire il centro-destra", mettendo in discussione le rendite di posizione consolidate e creando spazi di agibilità politica anche per coloro, come i liberali, che erano sottorappresentati nel precedente assetto. Sul piano dei contenuti attorno a Berlusconi, molto più che attorno a Fini o a Casini, ruotavano le aspettative di chi chiedeva meno Stato e meno tasse e quindi nel 2008 il primato di Berlusconi, rispetto ad altri attori politici del centro-destra, poteva ancora essere funzionale a garantire un possibile ancoraggio ideologico ad una prospettiva di tipo "thatcheriano". D'altronde la speranza era anche che il passaggio da Forza Italia al campo da gioco più ampio del PDL conducesse in modo naturale e non traumatico al superamento del partito carismatico a favore di un modello di "partito paese", necessariamente plurale e competitivo – quindi che in definitiva Berlusconi avesse da leader la "forza tranquilla" di gestire la progressiva "normalizzazione" del proprio partito. E' evidente che le speranze e le aspettative che si potevano legittimamente coltivare attorno al PDL sono state rapidamente deluse e che già all'indomani del congresso fondativo, il partito evidenziava l'assoluta carenza di processi adeguati a gestire il dissenso e la pluralità interna.
Nel 2010 Giorgio Stracquadanio non fu parte dello strappo finiano ed anzi fu molto severo nei confronti dell'allora presidente della Camera. Dell'operazione di Fini non condivideva né i contenuti di merito, né i metodi, né l'ultimativa finalità. Al tempo stesso, però, l'incapacità del PDL di "gestire" la sfida finiana, se non nel senso dell'espunzione del dissenso, evidenziava quell'arroccamento difensivo ed anticompetitivo che poi sarebbe stato all'origine della disaffezione e successivamente dell'uscita anche di Stracquadanio.
Giorgio Stracquadanio aveva puntato su Berlusconi come unico leader che fosse in grado di interpretare almeno alcuni fondamentali concetti liberali. Si è ritrovato invece con un leader disposto ad inseguire qualsiasi scorciatoia in grado di assicurare il consenso – dall'invocazione di politiche inflazioniste, allo scaricamento sulla Merkel della responsabilità dei mali italici. E, va da sé, si è ritrovato con un partito all'interno del quale non c'era altro spazio praticabile che non fosse la ripetizione enfatica delle posizioni del capo.
Quello non era e non poteva essere il centrodestra di Giorgio. Rispetto ad altri politici abituati ad essere uomini per tutte le stagioni, lui ha accettato con dignità di aver perso la sua scommessa e che ciò comportava inevitabilmente un prezzo da pagare in termini personali. Stracquadanio la sua faccia ormai l'aveva messa su Berlusconi e difficilmente l'avrebbe potuta mettere in futuro in altre operazioni partitiche. Fuori dal parlamento, tuttavia, non voleva dire fuori dalla politica – ed allora ha continuato a lavorare da giornalista alla prospettiva politica e culturale nella quale credeva. Fino all'ultimo.