Grillo Joker grande

Nel 2005 uscì "V per Vendetta", film tratto dall'omonima (e abbastanza naif) graphic novel della DC Comics, uscita a sua volta nel triennio '83-'85, quando il brodo di coltura dei consumi culturali di successo era l'anti-thatcherismo. La maschera di Guy Fawkes – la rappresentazione del volto del noto "cospiratore delle polveri" inglese indossata da "V", il protagonista – non poté che diventare nella seconda metà degli anni '00 il totem dei proto-grillini, rimanendo tutt'oggi quello di antagonisti assortiti e, ufficialmente, dei cyber-anarchici di Anonymous, il collettivo internazionale di hacker noto per avere un orizzonte politico-culturale che assai raramente eccede gli slogan tipici della ribellione pre-adolescenziale.

La settimana scorsa è stato distribuito nelle sale italiane "Joker", capolavoro annunciato e riconosciuto pressoché unanimemente come tale, probabilmente un instant classic (il personaggio, anch'esso targato DC Comics, si presta a massimizzare il talento degli attori che di reboot in reboot lo interpretano – e solitamente non viene scritturato proprio "il primo che passa"). Il make up dell'ormai arcinoto pagliaccio, nella sua versione drammatico-noir proposta dal regista Todd Phillips, sembra essersi aggiunto alla maschera di "V" nell'iconografia "antisistema".

La follia di questo Joker "scorsesiano" è l'innesco psico-politico di sommosse urbane che, per usare la terminologia da insurrezione online che va per la maggiore, potremmo definire "anticasta": nonostante si tratti del dramma privatissimo (e dunque di per sé apolitico, se non persino asociale o, meglio, antisociale) di chi tutto ha maturato fuorché una qualche coscienza di classe o anche più generalmente politica o simil-politica, i gesti estremi cui quella follia ha condotto il protagonista-antagonista vengono a posteriori politicizzati dai diseredati di Gotham.

La massa, secolarizzata e de-ideologizzata e priva di qualunque idolo, ne individua uno in un clown resosi colpevole di un omicidio (interpretato come) "di classe": armato da un suo collega e soprattutto privato dei suoi psicofarmaci, Arthur Fleck si "jokerizza" assassinando tre arroganti yuppies. (Nel film la folla è folla manzoniana, non c'è nessuna nobilitazione romantico-grillina della massa, ma i ricchi sono cattivi e ipocriti in-quanto-ricchi: uno stereotipo dickensiano un po' troppo terra-terra e ruffiano per una pellicola così pretenziosa). 

È evidente che questa dinamica esclude qualunque "semplicismo marxiano-positivista" ("è stato l'ambiente socio-economico – e dunque, più generalmente, la società, 'la struttura' – a fare di lui un criminale"), ma stranamente è questa la chiave di lettura che va per la maggiore in pubblico e critica: come se si trattasse della "estetizzazione" e di conseguenza della pericolosa legittimazione socio-politica dei gesti estremi dei ventenni esclusi e frustrati che, convertitisi a un credo oltranzista (islamista, neo-nazi ecc) e radicalizzatisi, pianificano una strage per trovare una qualche macabra forma di riscatto esistenziale.

Ma banalizzare Joker facendone un "incel" – neologismo orrendo – o "l'emarginato urbano tipo" vessato dalle élite (il film è dunque il solito manifesto anti-neoliberista?) è davvero deleterio. Joker è uno psicopatico: in ciò, e non nel suo essere un aspirante agit-prop, risiede il suo fascino; la follia lo esenta dall'obbedienza a quelle convenzioni borghesi cui tutti sottostiamo per essere inclusi nel consorzio sociale, così facendone un campione di antiperbenismo – ciò che Joker già era ben prima che Todd Phillips lo umanizzasse e dunque sdoganasse. 

È stata una congiunzione astrale a far di lui la Rosa Luxemburg di Gotham: il collega cinico che, si diceva, lo arma quasi obtorto collo, i tagli al welfare che per l'appunto lo privano dell'assistenza psichiatrica di cui ha bisogno (soprattutto: prima di allora Arthur Fleck gestiva bene la situazione difficile nella quale si trovava), la posizione socio-economica occupata dalle sue primissime vittime, l'uscita infelice e "legittimante" del tycoon candidato alla guida della città che squalifica come clown chiunque avesse parteggiato per l'assassino.

Perciò, lo si ribadisce, rappresenterebbe – rappresenta già – una strumentalizzazione indebita vendere questo Joker come il nuovo "V" nell'iconografia popolare: Arthur Fleck diventa il volto della ribellione solo incidentalmente e perfino inconsapevolmente. Più che il solito manifesto anti-neoliberista o anticasta, come si diceva, "Joker" potrebbe al più diventare un efficacissimo sponsor dell'Obamacare: se la "mutua" smette di passare gli psicofarmaci saranno guai individuali quando non addirittura "collettivi" (cioè politici).

Ma c'è un altro motivo per il quale la maschera di Joker non può sostituire quella di Guy Fawkes nel pantheon del movimentismo antisistema: fatte le dovute eccezioni, quello che ieri era il proletariato e oggi è la piccola borghesia proletarizzata ha già eletto i suoi "clown anticasta": sono neo-nazionalisti anziché neo-marxisti come le parole d'ordine del movimentismo post-2008 (Occupy Wall Street, sansepolcrismo grillino ecc) lasciavano intuire, ma sono l'offerta appunto anti-elitista alla domanda "robespierriana" proveniente dal basso e, va detto, colpevolmente sottovalutata dagli establishment occidentali.

Se non ancora a Gotham, nella realtà la psico-politica "jokeriana" è stata già istituzionalizzata: Trump, Boris Johnson… E, per restare dalle nostre parti, Salvini e Grillo (l'altro ieri apparso truccato da Joker) hanno già umiliato più volte e ormai quasi irreversibilmente quel Palazzo di Giustizia (e cioè in questo caso il Congresso, il Parlamento inglese, quello italiano ecc) che "V" buttò giù sulle note di Čajkovskij, in una scena contro-distopica che sarebbe distopica e inquietante a sua volta se non fosse così demenziale. In Italia, come se non bastasse, si sono "populistizzati" anche i partiti moderati: siamo di fronte una vera e propria egemonia culturale.

Joker, insomma, non è di per sé né un leader antisistema né l'emarginato-tipo che ne legittimerebbe l'ascesa elettorale; e anche se nella realtà – o, meglio, nel web e nel panorama mediatico-politico – come nel film lo diventasse suo malgrado, sarebbe fuori tempo massimo.
Oggi, istituzionalizzati gli idoli "disadattati" del popolo cosiddetto, la follia e la ribellione sono diventate l'ultima spiaggia degli antipopulisti.  

@AlexMinissale