Per favore, basta con le difese d'ufficio del liceo classico
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Il Sole24ORE sistematicamente propone articoli enfatici nei confronti del liceo classico, sintomatici del rapporto “perverso” tra le élite italiane e questo indirizzo scolastico. La premessa personale è che ho fatto il classico, vengo da una famiglia dove tutti hanno fatto il classico, ho una nonna e una madre antichiste, un bisnonno e un prozio professori di diritto romano (non parenti fra loro), sono uscito da un liceo del centro pochi anni fa... insomma penso di conoscere il portato della “cultura classica” fin da quando sono in fasce. E mi pare che la celebrazione (più che la difesa) del liceo classico si basi su alcuni presupposti errati.
In primo luogo c’è una tesi di fondo: studiare una lingua morta comporterebbe un quid logico ulteriore rispetto allo studio di una lingua viva (complessa). Questa tesi non mi convince affatto e credo non ci sia alcuna letteratura scientifica a suo sostegno, nel caso sarei curioso. Io credo che il cervello si affini sempre, in un modo o nell’altro, cimentandosi su materie complesse con dedizione. E credo sia impossibile negare che lingue brutalmente logiche, come il tedesco, o straordinariamente lontane da noi, come quelle orientali, diano una forma mentis e “aprano la mente” come lo studio delle lingue classiche. Per non parlare poi del linguaggio di programmazione, che nei licei non sappiamo neanche cosa sia. Dando però, in più, strumenti fondamentali di interazione e comunicazione nel mondo del 21esimo secolo.
Un secondo errore, a mio avviso, è pensare che il liceo classico per come è strutturato oggi o da sempre dia davvero “la cultura classica”. Non sono d’accordo per diversi motivi: il primo, più basilare, è che non mi pare che gli studenti che escono dal classico oggi sappiano davvero tradurre il greco. Ricordo bene la mia esperienza di pochi anni fa e ho frequentato licei del centro di Milano, diplomandomi nel pubblico in una classe composta da persone sicuramente “sveglie” rispetto alla media anche dei licei classici nazionali. Non c’è più la padronanza che avevano le generazioni precedenti, che per esempio traducevano abitualmente dall’italiano al latino. Anche perché i nuovi studenti, per fortuna, sono più sollecitati sul fronte di altre materie come inglese e matematica.
Altro errore, proprio "programmatico", è pensare che la “cultura classica” venga trasmessa da un liceo che è ancora radicalmente imperniato sullo studio della lingua. Gli studenti escono massacrandosi su traduzioni zoppicanti e avendo letto davvero pochissimi classici, o nessuno. Difficilmente conoscono la concezione storica di Polibio, la modernità nell'analisi delle relazioni internazionali della “Guerra del Peloponneso” di Tucidide: molto spesso non hanno neppure gli strumenti per contestualizzare correttamente il concetto di democrazia ateniese. Escono, ed è assurdo, senza affrontare neanche di striscio il vero, enorme, lascito che la cultura romana ha dato al mondo intero: il diritto. Questo sì, che non trova pari nel mondo non occidentale e che, come diceva il mio professore di diritto romano, sta alla cultura romana quanto la filosofia alla cultura greca.
Persone molto più brave di me potrebbero farla ancora più lunga su come il liceo classico sia stato formato dalla cultura dei Benedetto Croce e dei Giovanni Gentile, con un atteggiamento culturale antiscientifico e autoreferenziale. In proposito rimando a un interessantissimo libricino di Cadelo e Pellicani: “Contro la modernità”. Dovremmo riflettere sul fatto che nelle élite italiane più che la cultura dell’aneddoto, della retorica (in senso proprio) e della tradizione, manchino la cultura del dato fattuale, del metodo rigoroso, dell’innovazione.
La cultura consiste nel possedere gli strumenti per interpretare e interagire con il mondo che ci circonda. La scuola di Gentile fu concepita in un altro mondo, anzi molti mondi fa, in cui la scolarizzazione era molto bassa e in cui, in seguito, si sarebbe prodotta una ottima rete di “scuole professionali” di cui troppo poco si parla e che tanto hanno giovato al Paese. Se proprio vogliamo “salvare l’Europa dai populismi”, come spesso si dice, - e questo sarebbe solo ovviamente l’effetto indiretto - occorrono più logica, più filosofia della scienza, più economia, più programmazione e più lingue e linguaggi che ci mettano in condizione di interagire e comunicare nel mondo in cui viviamo per interpretarlo più correttamente. Non per dipingerlo meglio a modo nostro.