Da quando le campagne anti-vaccini hanno cominciato ad andare di moda, si registrano, in Italia e nel mondo, aumenti nell’incidenza di malattie che sembravano praticamente scomparse. Colpa anche della comunicazione in tema di profilassi, non sempre immediata ed efficace.

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Un salto indietro nel tempo di ben 15 anni.

Ecco la conseguenza delle mancate vaccinazioni antinfluenzali: secondo l'ISS, l'Istituto Superiore di Sanità, saremmo addirittura tornati al livello di copertura della stagione 2000-2001, con una contrazione nel numero delle vaccinazioni intorno al 25-30%. Non solo. A ricorrere sempre meno alla profilassi anti-influenzale sarebbero proprio gli anziani, coloro che, invece, ne avrebbero più bisogno.

Inoltre, agli 8 mila morti che purtroppo si registrano in media ogni anno, si sarebbero aggiunte alcune centinaia di decessi in più: se è vero che resta difficile connettere quest'ultimo dato in maniera certa e univoca alle profilassi mancate, di sicuro la tendenza c'è. E può pesare in modo significativo.

Se in tanti, però, decidono ormai di evitare l'appuntamento stagionale con l'iniezione, è davvero tutta colpa del Fluad – il vaccino anti-influenzale di cui lo scorso anno era stata disposta dall'AIFA, l'agenzia italiana del farmaco, la sospensione della somministrazione di due lotti in seguito a morti considerate sospette? Non proprio.

Secondo Luca Pani, il direttore generale dell'Agenzia Italiana del Farmaco, infatti, il tema del “vaccino killer” è stato trattato con “allarmismo ingiustificato, che ha trovato terreno fertile nel circuito mediatico, coinvolgendo e influenzando negativamente i cittadini, alcuni operatori sanitari e alcuni amministratori locali che non hanno agito con la lucidità richiesta in determinate circostanze”. Ma le campagne anti-vaccinali “esistono da decenni – continua - e non riguardano solo la profilassi antinfluenzale”.

Qualche esempio? Il più noto riguarda la diffusa convinzione che esista un legame, peraltro scientificamente non dimostrato, tra autismo e vaccino esavalente – a proposito del quale The Globe and Mail, per esempio, restituisce i dati di una indagine realizzata in Canada negli scorsi mesi: secondo i ricercatori ben un genitore su 5 ritiene ancora valida la correlazione vaccini-autismo, e agisce di conseguenza.

Oppure i titoli che le maggiori testate italiane hanno dedicato proprio al Fluad – a cui, per esempio, Il Tempo riservò una prima pagina, “Iniezione letale”, con tanto di foto su sfondo bianco, e Il Giornale il titolo, inequivocabile, “Tre morti dopo il vaccino”.

La vicenda Fluad – spiega, quindi, il dottor Pani a Strade – ci insegna che occorre fare ancora molta strada sul piano culturale e dell'informazione per diffondere e far attecchire il concetto di prevenzione. Purtroppo ogni occasione di cronaca può essere sfruttata per rilanciare il pericoloso paradigma dell'inutilità e della pericolosità dei vaccini”. In realtà, numeri alla mano, è esattamente l'assenza di profilassi a mettere a rischio i più fragili, e non il contrario.

È dello scorso giugno, per esempio, il report “Prevenzione vaccinale”, pubblicato dall'Osservatorio Nazionale sulla Salute nelle Regioni Italiane e presentato al policlinico Gemelli, secondo cui nonostante l'efficacia delle profilassi – come quella anti-morbillo, diminuito dal 2000 al 2010 del 73,37%, o contro la rosolia, i cui casi sono scesi nello stesso decennio del 98,20% - l'offerta vaccinale in Italia risulta a macchia di leopardo, estremamente disomogenea, a partire dalle differenze riscontrate, per esempio, nei calendari vaccinali regionali. Eppure, secondo Walter Ricciardi, direttore dell'Osservatorio, i vaccini sono gli antibiotici del futuro, tanto che se ne prevedono trenta nuovi tipologie da qui a qualche anno.

Non solo psicosi Fluad, quindi. La “psicologia” anti-vaccinale è più complessa. Se tanti anziani scelgono di non sottoporsi alla profilassi e altrettanti genitori preferiscono evitare le vaccinazioni esistono, infatti, ragioni più profonde. Le ha analizzate Tania Lombrozo, docente di psicologia presso l'Università di Berkeley, la quale, in un lungo articolo pubblicato lo scorso febbraio dalla testata online della propria accademia, ha passato in rassegna gli studi sul tema e ha descritto le dinamiche intime che porterebbero ad evitare le profilassi, di ogni tipo.

Se tante mamme e papà preferiscono l'inazione – il non-vaccinare – all'azione, scrive, ciò dipende anche dall'omission bias, il bias dell'omissione, ossia la tendenza sistematica a favorire scelte che prediligono l'omissione al posto dell'azione concreta anche quando la non-azione espone a rischi maggiori. E se il comportamento, in termini generali, vale in ogni esperienza di vita, dall'atto di acquisto alla decisione di sposarsi, secondo Lombrozo il meccanismo si innesca anche di fronte alla possibilità di decidere se vaccinare o meno i propri figli. A dimostrarlo ci sarebbero una serie di report, primo e noto tra tutti uno studio del 1994 condotto presso l'Università della Pennsylvania dal ricercatore David A. Asch – Omission Bias and Pertussis vaccination - e citato in seguito in ulteriori indagini accademiche.

Ma c'è un modo per correre ai ripari e motivare gli individui a ricorre alla profilassi, quando necessario? Secondo Luca Pani sì. Anzi, la vicenda Fluad dimostra anche l'esistenza di una rete di farmacovigilanza capillare e rappresenta uno stimolo a comunicare di più e meglio il valore delle profilassi. “A queste manipolazioni – spiega Pani riferendosi all'allarmato resoconto giornalistico – dobbiamo contrapporre un'informazione seria e autorevole e investire nell'educazione alla salute. L'AIFA fa la sua parte con iniziative di sensibilizzazione e informazione ed è impegnata a garantire che i medicinali utilizzati in Italia siano sicuri e efficaci”. Ma non sempre la comunicazione istituzionale basta.

C'è chi, infatti, ha deciso di affrontare con leggerezza il tema della vaccinazione, trasformandolo da argomento fonte di ansia e preoccupazione – e quindi da evitare il più possibile - in contenuto divertente, adatto ai più piccoli, facile da ricordare. È il caso delle immagini realizzate da più di 30 artisti per la Bill and Melinda Gates Foundation e raccolte nel progetto The Art of Saving a Life.

Christoph Niemann, noto per le proprie cover del The New Yorker, ha, per esempio, realizzato una serie di gif animate per spiegare visivamente ai bambini come funziona la profilassi e in che modo i vaccini vengono conservati e preservati da contaminazioni. L'arte, ha dichiarato in una intervista a Mashable, può servire a raccontare una storia ma può anche avere un ruolo educativo come un vero e proprio driver scientifico. Da accompagnare, magari, a uno storytelling dei non vaccinati, come ha provato a fare il magazine online Slate, pubblicando la storia, scritta in prima persona, di Amy Parker: figlia degli anni Settanta – come si dichiara - cresciuta in una famiglia di fissati con il salutismo, non vaccinata. E spesso, anche gravemente, malata – e costretta, ha scritto, a perdere salute, peso e giorni di scuola.

Un esempio concreto, il suo articolo online – tradotto in Italia da Il Post - che ben si sposa con le indicazioni del paper Opportunities for Utilizing New Technologies to Increase the Vaccine Confidence. Lo studio, realizzato da un gruppo di ricercatori dell'ospedale di Ottawa, sottolinea infatti il potenziale dei social media e delle applicazioni smartphone per colmare il gap di comunicazione tra istituzioni, spesso fredde e distanti nella narrazione medica, e i gruppi anti-vaccino, attivi online con forum, profili, testate proprie. E capaci, spesso, di narrazioni dal grande impatto emotivo.

Ecco, in sostanza, l'eredità della “psicosi Fluad”: numeri preoccupanti, resi noti dall'ISS, una mappa del Paese disomogenea, ma anche un’opportunità, sottolineata dallo stesso Pani. Comunicare di più. Per trasformare la prevenzione da obbligo in responsabilità morale, da prendersi nei confronti dei propri figli, anziani genitori, persone più deboli in famiglia. Perché tutto può diventare più pop – e funzionare meglio. Persino la medicina.