prostituzione

La prostituzione può essere sinteticamente definita come lo scambio tra sesso e denaro; consiste nel rapporto tra due soggetti di cui la parte che costituisce l’offerta di prostituzione fornisce soddisfazione sessuale alla parte che ne fa domanda, in cambio di denaro oppure di altri benefici materiali(1). La difesa della prostituzione non implica l’induzione alla prostituzione da parte di terzi, in quanto la libertà di scelta dei propri costumi è all’opposto con il traffico di meretricio.

Ogni essere umano è libero di essere ciò che vuole, come ha ben illustrato Berlin(2), anche di usufruire di una libertà negativa: nessuno ha il diritto di imporre a una persona di essere ciò che non è, né di non essere ciò che è. Una difesa conservatrice dell’attuale sistema sociale ritiene che, se la prostituta fosse libera di esercitare il proprio mestiere, ella procurerebbe danni incalcolabili alla società attraverso la manifestazione e il contagio di malattie sessualmente trasmissibili, e che questa libertà danneggerebbe la salvaguardia altrui, il che è il principio supremo su cui la morale come tale si basa. È immorale. Questa è la critica più viva alla prostituzione.

Il fantasma che più spaventa la prostituta proviene in primo luogo dalla società in cui ella è situata(3). È possibile replicare che l’obiezione proviene dalla stessa società. Nel momento in cui una prostituta agisce, ella risponde al vicino di casa, al parente pettegolo, in una parola: alla comunità. Inevitabilmente il dibattito ricade sul significato e il significante della moralità e del costume. “Costume”, in latino, significa “consuetudine”, “modo consueto di agire, pensare e comportarsi”.

Definiamo immorale una persona che agisce in modo contrario alla consuetudine di agire, una persona che pensa in modo differente dall’abitudine, un’individualità che rompe con l’abitudine. Da qui l’origine dell’ostracismo nei confronti di un individuo concepito come immorale. Tale comportamento è motivato dalla paura dell’imprevedibile, poiché siamo abituati al consueto. La suprema comodità e tranquillità dell’abitudine ci consente di non compiere alcuno sforzo nel pensare, nell’agire. Rompere il vezzo significa altresì cambiare e siamo geneticamente programmati per resistere al cambiamento.

La nostra società si erge su gerarchie sociali in cui vige la parola di figure carismatiche, il cui carisma, tuttavia, spesso deriva non dalla personalità carismatica, ma dal ruolo carismatico. Emblema ed esempio, nel contesto italiano, è costituito dalla figura del prete che confonde il proprio mestiere con la diffusione di una presunta condotta morale universale. Tale approccio riqualifica il concetto di morale che assume il significato di corretto, esatto, perbene. In questo tipo di società, la morale è d’obbligo, in quanto consente di mantenere e dunque esercitare una forma di controllo. Le cattive abitudini sono il frutto dell’immoralità se come premessa poniamo una sorta di condotta morale universale.

L’arrivismo di ragazze alle prime armi pronte a vendere i propri corpi a uomini carismatici, e la manipolazione attuata da questi ultimi per celare scambi sessuali alla base di carriere folgoranti, suggeriscono che la tematica del sesso senza amore sia ben lontana dal cessare di destare scandalo. I difensori della prostituzione sostengono che essa rappresenti una forma di sesso senza amore. Ma, in una società in cui il sesso senza amore non desta più scandalo, come sostenuto da Pateman(4), la prostituzione non può essere soggetta ad alcuna condanna morale.

Il dibattito tra femministe ha prodotto innumerevole materiale ed analisi interessanti. L’assunto per una critica patriarcale e maschilista all’esercizio della prostituzione ha le sue radici in postulazioni sia linguistiche che sociali. Nel contratto sessuale, la pratica della prostituzione, il solo soggetto a manifestare il proprio desiderio è il cliente. La prostituta, si ritiene, deve soltanto soggiacere alla bramosia del cliente subendo l’incontinenza di quest’ultimo. Il termine puttana, infatti, deriva dal latino medioevale, puta, che significa fanciulla.

Ciò è frutto di una concezione medioevale in cui la donna era concepita come la tentatrice: Eva. Per logica, tutte le donne sono puttane, poiché tutte sono o sono state fanciulle. La prostituta è l’esaltazione dell’attività sessuale e passionale. Ogni donna è prostituta e ogni essere umano è prostituto. La “minaccia” della prostituta è il falso perbenismo della morale comune, ma soprattutto, la sostituzione del prodotto: perché pagare per avere sesso con una donna quando l’uomo può avere sesso gratis dalla moglie e da donne senza personalità(5)?

La prostituta è un commerciante il cui prodotto è una prestazione sessuale, offre prestazioni in cambio delle quali esige una ricompensa. Il suo agire si conforma alla logica sottostante a tutte le attività commerciali.

Una delle ragioni per cui la morale comune biasima la prostituta è data dall’assenza del pudore in donne che vendono prestazioni a clienti in cambio di denaro. Tuttavia, il pudore è un costrutto inventato dalla società. Anche dall’analisi del lavoro di Cesare Lombroso(6), in cui egli descrive e analizza la prostituta, si osserva che l’indignazione della Chiesa e del suo prodotto morale è smentita dal rispetto che la prostituta in origine esibiva nei confronti di terzi. Il pudore implica la conoscenza del male, ossia di quanto offende il pudore medesimo.

Il filosofo olandese Bernard de Mandeville(7), rimasto a lungo il punto di riferimento e il modello fondamentale della letteratura sulla prostituzione di tutto il XIX secolo, descrive della vergine che arrossisce mentre origlia un discorso che non dovrebbe ascoltare, in cui gli interlocutori uomini utilizzano un linguaggio poco consono a una ragazza pura. Il colore delle guance si prefigura come segno della propria innocenza e pudore. Tuttavia, se la ragazza fosse davvero innocente, ingenua e pudica, non comprenderebbe il significato e l’impudicizia delle parole udite e quindi non arrossirebbe. Ciò che “tradisce” è il desiderio sessuale o la sua percezione.

La prostituzione pone delle domande sulla sessualità e sull’approccio alla sessualità che è possibile comprendere analizzando il dibattito femminista contemporaneo sulla visione sociale della sessualità e della prostituzione. Una visione oggetto di dibattito è quella “liberale” che applica il principio “un corpo, un diritto”, producendo così una difesa della sessualità vissuta come si vuole, lungo la linea del “non approvo, ma ognuno ha il diritto di consumare come preferisce”. Le femministe antiprostituzione, invece, trattano le donne in disaccordo con loro come vittime raggirate dal patriarcato.

Un’altra visione va ricercata nell’ideologia del femminismo radicale che Christiana Hoff chiama “femminismo di genere”. Il femminismo di genere guarda la storia e osserva un’ininterrotta oppressione delle donne per mano degli uomini, che attraversa le barriere culturali. Per il femminismo di genere, l’unica spiegazione plausibile è che donne e uomini siano da considerarsi come separati e antagonisti, i cui interessi confliggono. Gli interessi maschili sono espressi e mantenuti attraverso la struttura capitalistica conosciuta come “patriarcato”(8).

Il dibattito attuale sulla sessualità, che aiuta a comprendere le varie visioni in campo, è quello attorno alla pornografia, che, considerata la vastità, possiamo solo accennare. La pornografia attraverso la rete internet è stata analizzata anche come forma contemporanea di prostituzione. Le femministe radicali respingono quello che chiamano “essenzialismo sessuale”, l’idea che il sesso sia una forza naturale basata sulla biologia che fa propendere le donne verso tendenze naturali come la maternità; anche le preferenze sessuali, come l’eterosessualità, non sarebbero biologiche, ma derivano dall’ideologia. Gli uomini costruiscono la sessualità delle donne attraverso parole e immagini della società. In altre parole, l’uomo definisce la sessualità della donna attraverso il porno. Per mettere fine al patriarcato, le sue narrazioni devono essere distrutte(9).

Le critiche alla pornografia come alla prostituzione non sembrano fondate. Nonostante le donne che prendono parte alla pornografia sembrino consenzienti, le femministe anti-pornografia sostengono che nessuna donna psicologicamente sana acconsentirebbe alla degradazione derivante dal porno. Sembrano le stesse argomentazioni utilizzate dalle femministe contro la regolamentazione della prostituzione. Di conseguenza, sostengono alcune femministe, se sembra essere presente un accordo è perché le donne “si sono innamorate dei loro oppressori” e devono essere salvate da se stesse.

Molte donne che come professione esercitano la vendita di “sesso”, però, dichiarano il divertimento che provano nello sfoggiare il proprio corpo. A questa realtà alcune femministe rispondono che si tratta di donne psicologicamente danneggiate e non più responsabili delle proprie azioni. Le femministe pro-sex, in risposta alle prime, sostengono al contrario che esse neghino il diritto della donna di scegliere qualsiasi cosa al di fuori del ristretto corridoio delle scelte politicamente e sessualmente corrette. Il diritto di scelta dipende dal diritto di fare scelte “errate”, esattamente come la libertà di culto religioso sottintende la libertà di essere atei. Dopotutto, nessuno può vietare ad una donna di fare quello che ritiene di fare.

La dottoressa Leonor Tiefer, psicologa, ha sostenuto: “le lavoratrici del sesso, come tutte le donne, stanno combattendo per la sopravvivenza economica e per una vita decente e se il femminismo significa qualcosa, questo qualcosa è sorellanza e solidarietà con queste donne”. Bisogna riflettere su tali premesse nell’affrontare il dibattito sulla prostituzione. I movimenti delle prostitute ne sono un sintomo evidente.

A ciò va aggiunto che non è possibile considerare la prostituzione come un’istituzione monolitica. Essa è infatti a tutti gli effetti un fenomeno pervasivo articolato al suo interno e intrecciato con altri tipi di servizi forniti dall’industria sessuale. Sono cambiate le prostitute anche perché non ci sono solo loro sulla scena del sesso a pagamento. È riduttivo parlare, oggi come ieri, solo di donne prostitute e maschi clienti, visto che nel mercato sessuale sono diffusi ed evidenti mescolamenti sia nella domanda che nell’offerta: ci sono omosessuali, travestiti e transessuali per clienti sia omo che eterosessuali, ci sono prostituti per donne e persino prostitute donne per clienti donne(10) .

In questa complessa situazione, le femministe degli Anni Settanta e Ottanta del Novecento sono andate all’incontro con le prostitute molto più guardinghe delle femministe di fine secolo: allora non vi era solidarietà manifesta né in nome di una comune condizione di oppressione, né in nome di un comune interesse a intervenire in merito alle azioni legislative. “Il sesso commerciale resta argomento caldo e pericoloso per le femministe” (Walkowitz Judith, 1980).


Note al testo:

(1) Daniela Danna, Cattivi Costumi. Le politiche sulla prostituzione nell'Unione Europea negli anni Novanta, Quaderni del Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale, Università degli Studi di Trento, N. 25, 2001;
(2) Isaiah Berlin, Quattro saggi sulla libertà, Feltrinelli, 1989;
(3) Evelina Marchetta, Elogio della Prostituzione, Edizioni Albo Versorio, 2014;
(4) Carole Pateman, What’s wrong with prostitution? In “Women’s Studies Quarterly”, Vol 27, Num. 1/2, 1999;
(5) Evelina Marchetta, Elogio della Prostituzione, Edizioni Albo Versorio, 2014;
(6) Guglielmo Ferrero, Cesare Lombroso, La donna delinquente, la prostituta e la donna normale, Editori Fratelli Bocca, 1927;
(7) Bernard de Mandeville, Modesta difesa delle pubbliche case di piacere, Flaccovio, 1989;
(8) Susan Brownmiller, Contro la nostra volontà, Bompiani, 1976;
(9) Wendy McElroy, Il porno fa bene, “A” Rivista Anarchica, Ottobre 2015;
(10) Roberta Tatafiore, Le prostitute e le altre, Memoria. Rivista di storia delle donne, N.17, 1986.