L'articolo su Report, l'agricoltura e i brevetti ha avuto una larga diffusione. Mi sono state segnalate alcune imprecisioni, delle quali credo che sia giusto dar conto. In particolare mi scrive Andrea Capocci, autore di un saggio sui brevetti:

Come dice Strade (e lo Zingarelli) "brevettato" e "Ogm" non sono sinonimi. Ed è vero che le piante si "brevettano" dagli anni 30. Però, i "brevetti" sulle piante degli anni '30 e quelli sugli Ogm non sono la stessa cosa, e la differenza è decisiva. Negli USA (e non solo) una pianta può essere brevettata come "nuova varietà vegetale". In questo caso, i semi ricavati dalla pianta possono essere ripiantanti senza violare il brevetto, cancellando i profitti di Monsanto. Ma gli Ogm sono brevettati come "invenzioni" (cioè secondo un'altra legislazione), cosa che impedisce di ripiantare i semi. Quest'anno la Corte Suprema ha ribadito questo divieto nella sentenza Monsanto vs Vernon Bowman. Infatti, le associazioni che difendono i contadini contro Monsanto chiedono che le piante Ogm vengano brevettate come "piante" e non come "invenzioni". La possibilità di brevettare un Ogm come "invenzione" è più recente, risale all'inizio degli anni '80 ed è proprio per un Ogm che la Corte Suprema (Diamond vs Chakrabarty, 1980) ha per la prima volta autorizzato la brevettabilità di un essere vivente come "invenzione". Perciò, nonostante "brevettato" e "Ogm" rimangano cose diverse, l'associazione tra brevetto d'invenzione e Ogm è molto stretta e decisiva per il business agroalimentare.

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Quanto scrive Capocci è senz'altro corretto, e lo aggiungo volentieri come integrazione al mio precedente post, anche se questa distinzione non è stata nemmeno accidentalmente menzionata dalla trasmissione, che anzi ha fatto confusione proprio tra varietà brevettate secondo le due diverse tipologie. Sono state infatti prese direttamente in considerazione quattro specifiche varietà: la colza Roundup-Ready di Monsanto, una varietà di mela del Trentino, il riso Clearfield® di BASF e il grano Kamut® di Kamut International. Le prime tre sono state usate come esempio negativo della degenerazione del rapporto tra agricoltori e produttori di sementi per l'uso strumentale della legislazione sui brevetti, mentre l'ultimo, il Kamut®, come esempio alternativo e virtuoso. Questa distinzione mi pare scorretta e arbitraria, ed è alla radice della confusione alla quale accennavo nel primo punto del post dell'altra sera.

Mentre la colza Roundup-Ready di Monsanto è stata brevettata come un invenzione, il riso Clearfield® e il Kamut® e la mela di cui parlava il servizio sono dei semplici marchi registrati legati a varietà brevettate come piante, con lo stesso sistema usato fin dagli anni '30. Se andiamo sul sito di BASF leggiamo:

La soluzione Clearfield® prevede l’impiego di Libero, una varietà di riso frutto di un progetto di ricerca avviato negli anni ’90 da BASF in collaborazione con la Louisiana State University  e selezionata in laboratorio attraverso tecniche di mutagenesi tradizionale. Il riso Libero possiede una qualità che lo rende vincente: è naturalmente tollerante agli erbicidi della famiglia degli imidazolinoni a cui appartiene il formulato Beyond commercializzato, in Italia, dalla Divisione Agro dell’azienda. L’impiego di riso Libero permette, perciò, l’utilizzo in campo dell’erbicida Beyond la cui prerogativa è proprio quella di colpire in modo selettivo il “riso rosso”, senza danneggiare minimamente la coltura. Il tutto senza inserire nella pianta DNA proveniente da altre specie evitando, quindi, di produrre organismi geneticamente modificati.

Come si può vedere, BASF pubblicizza Clearfield® come "sistema", non come varietà. Il sistema prevede che l'agricoltore che vuole acquistare la varietà Libero lo faccia sottoscrivendo un contratto che lo vincola all'uso dell'agrofarmaco Beyond (e non ad un altro della famiglia degli imidazolinoni), commercializzato sempre da BASF e che prevede anche assistenza tecnica in campo e garanzia di commercializzazione del prodotto a condizioni vantaggiose. Un pacchetto completo, insomma. Cosa succede invece con il Kamut®? Lo racconta Dario Bressanini nel suo ultimo libro:

Nel 1990 Bob Quinn ha chiesto e ottenuto la protezione di quella varietà vegetale registrandola all’USDA (il ministero dell’Agricoltura statunitense) con il nome ufficiale di QK-77. A tutti gli effetti ne è diventato il «proprietario», perché un «certificato di protezione» è una specie di brevetto e conferisce a chi lo detiene quasi gli stessi diritti di proprietà intellettuale. In particolare, una volta diventata «proprietaria» della varietà QK-77, la Kamut International era l’unica titolata a commercializzarla. Se un agricoltore avesse voluto seminare quei semi e vendere il prodotto, non avrebbe potuto farlo senza l’autorizzazione della società e il relativo pagamento delle royalties.

Solo le aziende autorizzate possono acquistare, commercializzare e macinare questo cereale. La produzione del Kamut è regolata in modo molto rigoroso e sotto lo stretto controllo dalla Kamut International: deve avvenire in modo biologico certificato e rispettare una serie di norme. È coltivato quasi esclusivamente nel Montana e negli stati canadesi dell’Alberta e del Saskatchewan. La Kamut International afferma che sono stati fatti tentativi sperimentali di coltivazione del grano orientale in Europa (e anche in Italia), ma con poco successo sino a ora.

Gli agricoltori che coltivano il Kamut sono scelti in base alle esigenze del mercato dalla Kamut International, che vende loro i semi e rileva il raccolto a un prezzo prestabilito, solitamente superiore a quello del grano duro, in modo da garantire sicurezza e stabilità di prezzi ai produttori.

Le differenze con il metodo usato da BASF, come si può vedere, sono poche: esiste una varietà brevettata come pianta e non come invenzione (Libero in un caso e QK-77 nell'altro) della quale la compagnia è proprietaria, un marchio registrato (Clearfield® in un caso e Kamut® nell'altro) e un contratto che vincola gli agricoltori che scelgono di sottoscriverlo a rispettarne le clausole in cambio di know-how e di prezzi vantaggiosi e prefissati. Esattamente quel che succede anche con le mele del Trentino. Nel servizio di Report Bob Quinn, proprietario tanto della Kamut International quanto della varietà brevettata, dopo essere stato presentato in modo forse un po' riduttivo come semplice "agricoltore del Montana" sostiene che i semi sono "un dono del Signore". Il "Signore", in questo caso, è proprio lui, anche se la fornitura non pare affatto gratuita.

Qual'è quindi la differenza con gli Ogm? Ancora Capocci mi scrive:

Si tratta di piani diversi: un'azienda può semplicemente sviluppare una tecnologia e venderla (anche senza brevettarla, anche non Ogm) a un certo prezzo. Un cliente può ritenerlo vantaggioso e sottoscrivere il contratto. Se lo viola, può subire una causa civile. Un Ogm Monsanto brevettato è coperto due volte: dal contratto Monsanto-agricoltore e dal brevetto. Per cui anche chi non ha un contratto con la Monsanto ma usa un suo Ogm può subire una denuncia, in quanto viola una legge dello stato (la Patent Law). In effetti, pur abolendo tutte le leggi sui brevetti, un contratto della Monsanto (o Basf o Bayer) può contenere qualunque clausola, anche quella più pazza. Ma deve rispettarla solo chi lo firma.

Per quale ragione quindi Report mette nello stesso calderone BASF e Monsanto, e in uno differente Kamut International? La ragione più verosimile, ma forse gli autori di Report potrebbero rispondere diversamente - noi siamo naturalmente disponibili a ospitare le loro argomentazioni - è di natura etica, e risiede probabilmente nel rifiuto aprioristico dell'innovazione scientifica e tecnologica nel mondo agricolo.

Un'altra annotazione, questa volta positiva, è per il fatto che Report mette a disposizione sul suo sito lo sbobinato della trasmissione consentendo di verificarne i contenuti che possono essere sfuggiti all'ascolto. Non sono in molti a farlo, e di questo siamo grati alla redazione. Proprio lo sbobinato mi ha permesso di verificare un punto sul quale mi era rimasto qualche dubbio, ovvero se Report avesse consigliato l'uso di Kamut® per le persone intolleranti al glutine, secondo una pericolosa leggenda metropolitana assai diffusa. Anche se aver fatto seguire il servizio sul Kamut® a quello sul glutine mi pare una scelta un po', diciamo, al limite, questo accostamento non è stato fatto in maniera esplicita.

Ringrazio il biotecnologo Andrea Beltrami per l'aiuto nel reperire i link e le informazioni sul riso Clearfield®

@LaValleDelSiele