Di elogi della lentezza e di critiche alla velocità della vita moderna sono pieni i libri, i giornali e le TV: oggi si parla correntemente, oltre che di "slow food", anche di "slow cities", "slow living", "slow democracy", e così via. E da tutte le parti politiche: sinistra, destra, centro. Ma da dove viene questa contrapposizione slow/fast?

fastslowfood

L'origine immediata è facile da individuare: è il "manifesto" di Slow Food (redatto nel 1987 da Folco Portinari), che tra le altre cose così recitava:

questo secolo è nato [...] sotto il segno del dinamismo e dell'accelerazione: mimeticamente l'uomo inventa la macchina che deve sollevarlo dalla fatica, ma al tempo stesso adotta ed eleva la macchina a modello ideale e comportamento di vita [...]. È accaduto così che, all'alba del secolo e giù giù, si siano declamati e urlati manifesti scritti in stile sintetico, "veloce", all'insegna della velocità come ideologia dominante. La fast life come qualità proposta ed estesa a ogni forma e a ogni atteggiamento, sistematicamente [...]. Bisogna prevenire il virus del fast con tutti i suoi effetti collaterali. Perciò contro la vita dinamica proponiamo la vita comoda. Contro coloro, e sono i più, che confondono l'efficienza con la frenesia, proponiamo il vaccino di un'adeguata porzione di piaceri sensuali assicurati, da praticarsi in lento e prolungato godimento.

Ma se volete conoscere la fonte remota di questa contrapposizione, dovete risalire almeno al "manifesto" del Futurismo, scritto com'è noto da Marinetti nel 1909. Vi si legge:

La letteratura esaltò fino ad oggi l'immobilità pensosa, l'estasi ed il sonno. Noi vogliamo esaltare il movimento aggressivo, l'insonnia febbrile, il passo di corsa, il salto mortale, lo schiaffo ed il pugno. Noi affermiamo che la magnificenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova; la bellezza della velocità. Un automobile da corsa col suo cofano adorno di grossi tubi simili a serpenti dall'alito esplosivo... un automobile ruggente, che sembra correre sulla mitraglia, è più bello della Vittoria di Samotracia.

Naturalmente la simpatia di Marinetti e dei futuristi andava alla velocità, mentre oggi accade piuttosto il contrario, ma la struttura del discorso è la stessa: da una parte la velocità, dall'altra la lentezza; da una parte il bene, dall'altro il male. Nessun compromesso, nessuna sfumatura: o di qua o di là. E con le fonti, fermiamoci qui: potremmo risalire ancora più indietro, visto che l'identificazione della velocità come tratto fondamentale della vita moderna è un ben noto topos della critica alla modernità, risalente alle primissime reazioni alla Rivoluzione industriale, da Gasparo Gozzi a Blake fino a Morris e oltre.

Purtroppo un manicheismo siffatto è errato: il contrasto lento-veloce è una costante dell'agire umano e a seconda dei diversi ambiti di attività la preferenza, in ogni epoca, viene attribuita ora all'una ora all'altra istanza. Nessun individuo vive esclusivamente nella velocità o esclusivamente nella lentezza, né tantomeno una cultura o una società può caratterizzarsi esclusivamente perché "lenta" o "veloce". Semplificazioni del genere non aiutano a capire. Anche perché sono false pure da un punto di vista storico: non è affatto vero che la "lentezza" fosse appannaggio delle sole società arcaiche o preindustriali e la "velocità" della sola civiltà industriale moderna, da un lato perché la velocità è sempre stata ricercata e ambita – si pensi al "piè veloce" Achille ed alle "veloci navi" degli achei in Omero -, e d'altro lato perché le lamentele sulle tragiche conseguenze della velocità risalgono già agli antichi (pensate alla critica che Platone muoveva alla navigazione, il grande mezzo di comunicazione "veloce" dell'antichità).

Fatta questa premessa, veniamo alla polemica slow/fast più fastidiosa e corrente, che è quella relativa al cibo. La contrapposizione fra fast food e slow food è vero e proprio un mito contemporaneo. Il fast food è visto come un tempio del consumismo: un luogo standardizzato e uguale dappertutto, da Toronto a Mumbai, dove, senza quasi scambiare parola con i commensali, si consuma in tutta fretta un cibo mediocre, anch'esso uguale in tutto il mondo. Lo slow food sarebbe invece cibo di ottima qualità, diverso da un luogo all'altro e da una stagione all'altra, mangiato con calma, in locali caratteristici e in lieti conversari. Ma com'è evidente (se appena ci pensiamo un attimo) si tratta in realtà di una distinzione priva di senso. La qualità del cibo, per cominciare, non dipende affatto dalla rapidità del suo consumo, e spesso e volentieri non ha molto a che fare nemmeno con la rapidità della preparazione: si può mangiare bene in venti minuti e male in tre ore. Né d'altronde la tipologia del cibo ci dice nulla sulla sua qualità: un panino con hamburger può essere ottimo o immangiabile, così come ci sono faraone ripiene fantastiche e altre orrende.

Anche l'omologazione è una leggenda: a parte la sostanziale identità delle cucine 'alte' (la francese, l'italiana...) in tutto il mondo, o la somiglianza tra loro dei 'ristoranti di lusso', è ben noto che persino l'eponimo dei fast food, cioè McDonald's, sa adattarsi ai vari contesti culturali modificando sia i piatti, sia i locali, sia i servizi. Per non parlare del fatto che, se l'hamburger è ormai diventato un cibo globale, lo stesso è successo anche con il pollo tandoori, la pizza o il riso cantonese: anche questo sarà un frutto maledetto dell'imperialismo americano? D'altronde, le ibridazioni ci sono sempre state, e ben lungi dall'impoverire le varie culture, le hanno sempre arricchite. Né, infine, si deve dimenticare che le presunte 'tradizioni', anche in gastronomia, sono tutte piuttosto recenti, e che quasi nessuna delle ricette c.d. 'tipiche', vanto delle nostre cucine locali, risale a prima dell'Ottocento.

L'equazione fast food=assenza di convivialità è poi quasi ridicola: nei fast food vanno quotidianamente a mangiare famiglie, coppie, gruppi di amici, che nel frattempo parlano, ridono, piangono, litigano e si rappacificano esattamente come farebbero in qualunque altro posto. Anche perché dover aspettare poco per poter mangiare non vuol dire necessariamente passare poco tempo in compagnia: speriamo che nessuno creda davvero che la convivialità sia possibile solo quando si deve attendere un'ora tra una portata e l'altra... La realtà è che i fast food rispondono a un'esigenza del tutto oggettiva e razionale, cioè quella di mangiare spendendo poco e senza dover aspettare un'eternità: è proprio questa la ragione per cui i fast food – l'hamburger, la pizza, il kebab, la piadina – attirano ancora oggi così tanta gente, da coloro che hanno poco tempo a quelli che hanno pochi soldi.

E qui veniamo a un altro mito da sfatare: quello della nascita recente del fast food. A sentire i Petrini e i Farinetti, sembrerebbe che il fast food sia apparso per la prima volta nello scorso dopoguerra, con i primi ristoranti McDonald's. La verità però è tutta diversa: il cibo preparato rapidamente e a poco prezzo è esistito da sempre e in tutto il mondo, dagli antichi romani ai cinesi, agli indiani, agli aztechi. A Napoli, nel 1787, Goethe vide e raccontò uno spettacolo che era già antico, quello cioè dei maccheroni venduti e mangiati (con le mani) per la strada, come quelli ritratti nella foto d'epoca in apertura di questo articolo. Sono, al contrario, proprio i pasti consumati con agio al desco familiare ad essere – salvo che per ristrette cerchie di privilegiati – assai recenti e caratteristici della civiltà borghese moderna. Quindi, considerare il fast food un fenomeno moderno, non è solamente sbagliato: è addirittura un capovolgimento della realtà storica,.

L'alternativa tra lento e veloce, dunque, non è così netta come taluni vorrebbero farci credere. Le stesse persone possono scegliere l'uno o l'altro in situazioni diverse; esistono molte soluzioni intermedie; e nessuna scelta è irreversibile. Posso mangiare un hamburger a pranzo e una finanziera a cena; né il fatto di amare la Coca-Cola mi impedisce di apprezzare anche un Barolo.

A ben vedere, l'insistenza sulla dicotomia slow/fast è il sintomo, neanche troppo dissimulato, di un atteggiamento di imperialismo o addirittura razzismo culturale. Alla sua base c'è infatti la sfiducia per la capacità della gente di scegliere autonomamente ciò che è meglio per sé: di qui deriva la volontà di imporre un modello alimentare 'superiore'. Ma come abbiamo visto, in realtà, la scelta di mangiare fast anziché slow ha dalla sua delle ottime ragioni, e non ha quindi senso attribuirla (come troppo spesso si tende a fare) all'istupidimento provocato dalla pubblicità, dai mass media e dal conformismo sociale.

Né d'altronde si capisce perché, se le persone davvero non fossero capaci di scegliere da sé cosa mangiare, dovrebbero poi essere in grado di decidere su cose molto più complicate, come quale partito dovrebbe governare o se votare sì o no a un referendum. Non è un caso, quindi, che i sostenitori dello slow abbiano spesso anche delle posizioni politicamente reazionarie e antiprogressiste.