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C’era una volta lo Iarc, ovvero l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro. C’era, perché l’affair glifosate rischia di lanciare ombre dense e maleodoranti perfino sulla credibilità stessa di uno dei referenti più accreditati per valutare la cancerogenicità delle sostanze chimiche.

La costola dell’Organizzazione mondiale della Sanità è infatti al centro di imbarazzi e accuse che non paiono inferiori a quelle che affliggono glifosate, il diserbante alla base di prodotti come Roundup di Monsanto e di molti altri formulati generici, visto che il brevetto è scaduto da tempo. Mentre la stampa era infatti morbosamente attratta dai cosiddetti “Monsanto Papers”, ovvero delle opacità emerse circa la reale indipendenza dell’operato di alcuni scienziati che si erano espressi positivamente su glifosate, ben altri scandali stavano scoppiando in mano ai detrattori di glifosate, Iarc incluso.

Circa i “Monsanto Papers”, però, i lavori degli scienziati sotto accusa dovrebbero essere valutati solo in base ai numeri oggettivi. Perché o si accerta che questi sono stati materialmente taroccati – e in tali attività pare che brillino anche diversi ricercatori cosiddetti “indipendenti – oppure quegli studi vanno accettati per quello che dicono, chiunque li abbia prodotti. La scienza non va infatti per amicizie o antipatie, bensì opera solo su evidenze verificabili ed eventualmente falsificabili. Ove con tale termine s’intende la possibilità di dimostrare che quei numeri non sono corretti. O addirittura sono artefatti. E a parte qualche mail imbarazzante, pare che nei cosiddetti “Monsanto Papers” di sbugiardamenti concreti delle ricerche prodotte non ve ne siano affatto. Quei numeri possono magari non piacere, ma fra non piacere ed essere respingibili ci dovrebbe passare un discreto margine. Per lo meno se la discussione resta sul piano scientifico.

Sostanzialmente molto diversa invece la seconda ondata maleodorante di comportamenti ove di trasparenza se ne ravvisa decisamente poca. Aaron Blair, epidemiologo del Cancer Research Center americano, avrebbe tenuto per sé degli studi che dimostravano la non correlazione di glifosate con il linfoma non-Hodgkin. Cioè quello che ha decretato invece quella classificazione nel Gruppo Iarc 2A, probabili cancerogeni, che ha dato la stura a tutto lo scandalo legato all’erbicida.

Blair, pur avendone tutto il tempo, quegli studi non li ha mai pubblicati. Come membro dello Iarc sa infatti bene che l’Agenzia di norma non considera studi che non siano stati già pubblicati da riviste scientifiche. Quindi era perfettamente consapevole che la loro non pubblicazione avrebbe causato anche la mancata presa in carico da parte dello Iarc stesso. Un comportamento che potrebbe essere definito “insabbiamento”, perché nessun ricercatore tiene non pubblicati dei lavori solidi e ben fatti, anziché aggiungere un’altra ricerca nel proprio curriculum. In pratica, quello di Blair è un comportamento che cozza contro la natura stessa di uno scienziato. Non è però dato sapere perché tale omissione scientifica sia stata compiuta.

Qualcosa di molto peggio è stato invece ravvisato nel comportamento di Chirstopher Portier. L’inchiesta di David Zaruk, alias Risk Monger, ne ha infatti messo a nudo comportamenti che si spingono molto oltre il limite della deontologia che dovrebbe animare gli scienziati. Sebbene lavorasse in un’associazione ecologista anti pesticidi – l’Environmental Defence Fund, organizzazione americana che esegue campagne contro gli antiparassitari dagli anni '60 – è stato nominato Presidente della Commissione dello Iarc che ha poi deciso di mettere in agenda l’indagine su glifosate. In seguito, come unico consulente esterno, ha potuto anche influenzare il lavoro stesso del gruppo di lavoro dell’Agenzia. E se già questo pare un inammissibile conflitto d’interessi causa palesi pregiudizi, il peggio deve ancora venire.

Si è infatti scoperto che Portier, nella medesima settimana in cui lo Iarc ha pubblicato la propria monografia, ha firmato un contratto con due studi legali in veste di consulente di parte nella class action contro Monsanto. Una class action alquanto sospetta per prontezza di riflessi. A organizzarsi per la class action sono state infatti la Weitz & Luxenberg e la Lundy, Lundy, Soleau & South, con la quale Portier pare aver avuto peraltro contatti addirittura due mesi prima di aderire alla riunione del gruppo di lavoro sul glifosate. Fatto che se confermato sarebbe di una gravità inaudita.

Per la cronaca, la cifra pattuita a favore di Portier è decisamente importante: 160 mila dollari. Più spese. È infatti Portier ad aver girovagato per l’Europa fomentando le posizioni contrarie a glifosate dei decisori pubblici, come pure gettando ombre sull’operato di Efsa, Echa e Bfr tedesco.

In ambiente borsistico tali comportamenti potrebbero finire sul tavolo delle commissioni d’inchiesta per insider trading. Ovvero quella pratica illegale di lucrare sulle quotazioni di un’azienda sfruttando informazioni riservate oppure influendo addirittura sull’andamento del titolo stesso. Di certo, non aiuta la posizione di Portier nemmeno la clausola di riservatezza che egli avrebbe firmato nel contratto di consulenza, la quale lo obbligava a tenere segreti gli accordi e le collaborazioni con i suddetti studi legali. Studi il cui comportamento ben si può misurare con l’inserzione pubblicitaria della Weitz & Luxemberg:

Vi hanno diagnosticato un cancro, dopo che siete stati esposti all'erbicida Roundup®? Se sì, lo studio legale Weitz & Luxemberg P.C. è interessata a parlare con voi immediatamente, perché potreste beneficiare di una compensazione finanziaria.

L'Organizzazione Mondiale della Sanità ha recentemente riconosciuto che glifosate, l'ingrediente attivo dell'erbicida Roundup®, ha il potenziale di causare il cancro negli umani. Altri erbicidi che contengono glifosate sono Rodeo®, Aquanet® e Aquastar®.

Glifosate è stato usato nella coltivazione di mais, soia, barbabietola da zucchero, erba medica, cotone, grano, sorgo, colza e molte altre colture.

In circa tre decadi Weitz & Luxemberg P.C. ha rappresentato migliaia di individui danneggiati dall'esposizione a prodotti tossici e siamo desiderosi di parlare con voi circa il vostro possibile caso. Per un consulto confidenziale e gratuito chiamate al numero [omissis], o visitate il nostro sito [omissis]

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Che dire, soddisfatti o rimborsati. Una conferma che spesso le tanto popolari class action sono ormai divenute uno squallido killeraggio ai danni di multinazionali cui spillare milioni di dollari, fregandosene bellamente di dove stia la verità e sfruttando il clima da stadio sapientemente fomentato tramite media e associazioni compiacenti.

Stando quindi a quanto sopra, fra “Monsanto Papers”, “Aaron Blair Papers” e oggi i peggiori di tutti, ovvero i “Portier Papers”, un’unica azione parrebbe consigliabile, almeno se l’Oms desidera preservare quel poco di credibilità che resta allo Iarc dopo simili scandalose manipolazioni dell’iter di valutazione di glifosate. Ovvero annullare d’ufficio la monografia dello Iarc e obbligare l’Agenzia a riscriverla da capo, magari cambiando membri coinvolti e prendendo in esame i lavori tenuti nel cassetto da Aaron Blair, anziché usare ancora quelli oggettivamente ridicoli come lo studio epidemiologico di Hardell & Eriksson (1999), in cui vennero valutate solo sette persone. Sì, avete letto bene: uno studio epidemiologico basato su sole sette persone, quattro esposte a glifosate e tre no.

Perché, ogni tanto, fare cherry picking dei lavori funzionali alla tesi che si vuole dimostrare, può anche far cadere nell’errore imbarazzante di spacciare per seri degli studi che non valgono di più della carta su cui sono stati stampati.