Piante e clima: il 'ritorno al futuro' di Nazareno Strampelli
Strade del Cibo
La prima edizione del Food & Science Festival di Mantova (5-7 maggio) è stata l’occasione per ricordare il contributo dato al miglioramento genetico del frumento da Nazareno Strampelli (1866-1942), sicuramente il più grande genetista agrario italiano di sempre e tra i più importanti al mondo per l’impatto che i suoi lavori hanno avuto sulla granicoltura dell’intero pianeta.
Si deve a Strampelli, infatti, il primo tentativo riuscito di aumentare le rese del frumento abbassando la taglia dello stelo e anticipando l’epoca di maturazione della pianta, precedendo di almeno trent’anni il lavoro dell’agronomo Norman Borlaug (1914-2009), riconosciuto come il “padre” della Rivoluzione verde degli anni ’60 per aver promosso la modernizzazione dell’agricoltura su scala planetaria.
Una modernizzazione che passò anche - e soprattutto - attraverso la costituzione di varietà di frumento ad alta resa (le celebri HYV, acronimo di High Yielding Varieties) che però, ad un esame successivo, risultarono largamente condizionate dagli effetti dovuti all’uso di genotipi precoci strampelliani, in particolare la varietà “Mentana”, nel contesto dello shuttle breeding (“miglioramento spola”) ideato dall’agronomo americano per accelerare i tempi di selezione. Il metodo adottato da Borlaug, esponendo le piante in allevamento a continue variazioni del ciclo stagionale di luce e buio, ebbe l’effetto di selezionare - in modo del tutto inconsapevole, come ammetterà in seguito lo stesso Borlaug - i tipi insensibili al fotoperiodo derivati dal “Mentana”, che già possedeva questa capacità. La wide adaptability che ne risultò permise di coltivare le nuove varietà a tutte le latitudini, spianando al breeder americano la strada al premio Nobel per la pace (1970).
Fin qui la storia che vede Borlaug tagliare il massimo traguardo grazie al testimone passatogli dal suo collega staffettista, l’italiano Strampelli, al quale è toccato il ruolo - comunque suggestivo - di “precursore” della Rivoluzione verde. Ma la storia è tutt’altro che finita.
A distanza di tempo, Strampelli sta emergendo inaspettatamente dalle retrovie come una sorta di corridore di fondo, un maratoneta talmente tignoso da far impallidire il leggendario Filippide, il quale, giunto al traguardo, ebbe solo il tempo di sibilare il celebre “Vittoria!” prima di schiattare. Strampelli, invece, sembra avere ancora abbastanza fiato per sopravvivere fino ai nuovi traguardi che forse, ancora una volta, saranno tagliati grazie all’uso rinnovato che si sta facendo dei geni diffusi in tutto il mondo dai suoi leggendari frumenti.
Nel settembre 2016 il Department of Agriculture and Food of Western Australia ha diramato un comunicato nel quale si dava enfasi ai test in corso finalizzati ad ottenere nuove varietà di frumento dotate di una forma di nanismo adatto alla coltivazione in ambiente caldo-arido, che caratterizza diverse aree del paese deputate alla coltura del cereale. In questo tipo di ambiente è necessario che il frumento sia seminato in profondità, al fine di trovare le giuste condizioni di umidità per poter germinare. I genotipi a nanismo spinto coltivati finora in Australia ed eredi delle HYV di Borlaug, complice anche il peggioramento del clima, si sono rivelati sempre meno adatti a questo genere di semina. Tutta colpa del loro coleoptile - la guaina avvolgente la prima fogliolina emessa dal chicco germinato che l’aiuta a perforare il terreno fino alla superficie - che è troppo corto. È evidente che se si semina in profondità del grano a coleoptile corto, la pianta non arriverà mai a spuntare. Per fortuna, esiste la possibilità di selezionare altri geni di nanismo meno spinto i quali, essendo associati alla produzione di un coleoptile più lungo, permettono di seminare a maggiore profondità, risolvendo così il problema. E qui entra in gioco Strampelli: infatti, il gene “miracoloso” sul quale gli australiani puntano le loro speranze si chiama Rht8 ed è lo stesso che il genetista italiano, nel 1913, introdusse per primo nel grano migliorato per abbassarne la taglia.
Ma non è finita qui. Alla fine del 2014, sulla prestigiosa rivista Nature è stato pubblicato un lavoro, ancora una volta compiuto da ricercatori australiani, relativo alla caratterizzazione molecolare dei due principali geni di tolleranza al boro presenti nel frumento. Il boro è un elemento chimico fondamentale per la vita delle piante, ma quando è in eccesso - come avviene in molti siti a clima caldo-arido, dove l’elevata evapotraspirazione ha l’effetto di concentrarlo nel suolo - la pianta subisce uno stress chimico che può essere tollerato solo se essa è munita di specifici geni che le permettano di tenerlo sotto controllo.
Ed ecco che di nuovo c’è di mezzo Strampelli. I ricercatori, infatti, hanno mostrato come uno di questi geni di tolleranza al boro - che per semplicità chiameremo col suo vecchio nome, Bo4 - si trova solo nelle cultivars derivate dalle varietà di Strampelli, nelle quali la sua origine è stata tracciata in modo univoco.
Come si spiega questo collegamento tra il lavoro di Strampelli e la presenza, nelle sue varietà, di geni legati alla tolleranza agli stress riconducibili al clima?
La risposta sta nel fatto che Strampelli, nell’assolvere l’incarico di occuparsi dello studio del dry farming nel Meridione d’Italia ricevuto dal Ministero di Agricoltura nel 1912, puntò a costituire varietà di frumento adatte all’aridocoltura, ma anche varietà di altre specie (come mais, orzo, pomodoro, lenticchia e fagiolo) da impiegare nella rotazione col cereale. Qui, forse, entrano in gioco anche meccanismi di selezione inconsapevole, soprattutto per il gene Bo4, dal momento che non risulta che Strampelli abbia condotto sperimentazioni finalizzate a selezionare tipi resistenti agli stress chimici. È un mistero ancora da risolvere, ma per il momento rimane il fatto che un link significativo tra le creazioni di Strampelli e lo studio dell’aridocoltura è sicuramente documentato in alcune sue pubblicazioni dove, tra le parole d’ordine che guidarono il suo lavoro, campeggia anche la ricerca della resistenza alla siccità.
Strampelli, pertanto, va considerato anche come un antesignano degli studi sui rapporti tra le piante e il clima, che rappresentano uno degli obiettivi della ricerca attuale e futura nell’ottica dei cambiamenti climatici in corso.
Anche altri geni strampelliani stanno attraversando un’intensa fase di studio e ricerca, in particolare il principale gene di resistenza alle ruggini del frumento, Lr34, presente nella selezione della varietà locale “Rieti” sulla quale il genetista imperniò la quasi totalità dei suoi incroci. Da un decennio è noto che questo gene non si limita a conferire resistenza durevole alle ruggini (infezioni dovute a funghi microscopici del genere Puccinia) ma anche ad altre malattie dei cereali, con effetti che promettono di essere strabilianti, nel prossimo futuro, grazie alla transgenesi. Studi preliminari condotti facendo esprimere Lr34 in orzo, mais, riso e sorgo mostrano, infatti, come il gene sia efficace nel contrastare numerose malattie, alcune delle quali - come il brusone del riso - nel frumento nemmeno esistono!
Non mancano i collegamenti suggestivi tra Strampelli e la ricerca moderna anche quando si tratta di allelopatia, ossia dei rapporti di natura chimica che le specie vegetali intrattengono quando si trovano ad occupare lo stesso ambiente, il più delle volte finalizzati ad eliminare la concorrenza grazie all’arsenale di sostanze chimiche di cui le piante dispongono allo scopo. Strampelli le chiamava semplicemente “tossine”, mentre oggi sono note come molecole ad azione allelopatica (allelochemicals, in inglese), e furono oggetto di alcuni studi compiuti in un breve arco di tempo in cui egli si occupò di osservarne gli effetti sulle specie impegnate nelle rotazioni e nelle consociazioni. Oggi si cerca di sfruttare questo fenomeno nella costituzione di varietà allelopatiche, ossia in grado di produrre da sé “erbicida naturale” diretto contro le specie infestanti: in Cina, già da qualche anno, sono disponibili sul mercato alcune varietà allelopatiche di riso, capaci di contrastare parzialmente lo sviluppo di alcune specie infestanti delle risaie, consentendo di ridurre l’uso di erbicidi chimici di sintesi.
Strampelli non lavorò mai alla costituzione di varietà allelopatiche, ma se domani dovessimo scoprire che l’idea di un’agricoltura a basso impatto ambientale non gli fu estranea, la cosa non ci sorprenderebbe affatto.