I limiti e le strumentalizzazioni dell'inchiesta sull'olio extravergine
Strade del Cibo
Davvero mai, come nell’ultimo quinquennio, abbiamo assistito a una operazione di demonizzazione del comparto oleario italiano così brillantemente efficace. Il tiro al bersaglio riguarda ovviamente le grandi marche, per lo più quelle che sono in mano a società estere che gestiscono marchi riconducili all’Italia, ma si colpiscono tuttavia, e senza avere alcun riguardo, anche le grandi aziende di proprietà italiana, perché il concetto che passa è che ciò che è grande è il male, e che il piccolo invece è bello e sano.
Si sta demolendo la buona immagine degli oli da olive, con la pessima idea di sostenere che solo l’olio italiano è quello che fa bene alla salute, perché buono. Occorre essere idioti nel sostenere tale tesi. Eppure c’è chi le sostiene, nel nome della difesa dell’italianità a oltranza, ma è solo paura della concorrenza estera e manifesta incapacità di essere competitivi. Da una parte l’innovazione del comparto è stata un fallimento, nonostante vi sia stata per decenni una pioggia di denari pubblici portentosa, dall’altra oggi assistiamo a un attacco frontale al mondo dell’olio, con l’obiettivo di scardinarlo, forse per ricostruirlo ex novo a partire dalle proprie ceneri, facendo tabula rasa. Ma come si potrà mai ripartire se non si percepisce l’atteggiamento giusto in chi dovrebbe risollevare il comparto, se mancano i contenuti e vi è un’assenza di idee senza precedenti nella storia olivicola e olearia del Paese?
Nel frattempo l’Italia sta dimostrando una capacità unica al mondo: sapersi sputtanare egregiamente, dando grande enfasi mediatica a simili inchieste. Tanto che i media stranieri ne stanno già scrivendo e parlando, e l’ultimo titolo tra quelli letti di recente è del Guardian: “Extra virgin on the ridiculous: Italian olive oil producers accused of fraud”. Non è un caso che una trasmissione televisiva, alla quale sono stato invitato, condotta da Paola Saluzzi su SkyTG24 abbia intitolato la puntata di giovedi “Olio e le storie tese” perché effettivamente, sì, c’è una tensione nell’aria mai avvertita prima così intensa e funesta. Io sembravo un ufo, così totalmente fuori dal mondo nel cercare di portare argomenti razionali alla discussione. Ospiti della trasmissione con me erano Rosario Trefiletti, di una associazione di consumatori, e il presidente di Coldiretti Roberto Moncalvo, entrambi così ansiosi di creare allarme, impressionando il pubblico e mettendo costantemente in stato di allerta il telespettatore. Ecco, dunque, siamo qui a parlarne perché ci si è costretti. Perché a partire da simili scenari, si profila la progressiva scomparsa del settore oleario italiano, segnando così un declino inarrestabile.
Il modo per scatenare il panico, visto che con le analisi di laboratorio non si riesce - se un extra vergine ha parametri conformi a quanto dispone la legge non può che essere extra vergine - è l’analisi sensoriale. Attraverso la valutazione sensoriale effettuata da un gruppo di assaggiatori si può decidere il bello e il cattivo tempo, e siccome il metodo non garantisce certezza di risultati, in fatto di ripetibilità e riproducibilità, allora si è trovato il punto debole (o, se si preferisce, il punto di forza, dipende da come si intende utilizzare lo strumento dell’assaggio). La grande leva che ha consentito di gettare il panico nel comparto sta proprio qui. Ecco allora che è facilissimo, se proprio se ne ha voglia, bocciare un olio extra vergine di oliva e declassarlo a olio di oliva vergine o, addirittura, a olio di oliva vergine lampante.
Sia ben chiaro, non sono qui a mettere in dubbio la buona fede di chi assaggia e fa parte di un panel, ma tutte le grandi contestazioni fanno perno sulla valutazione sensoriale. Su alcuni campioni di olio i panel esprimono anche posizioni differenti, il che lascia ben intuire l’incertezza dei riscontri sull’analisi sensoriale.
Bisognerebbe lavorare al fine di ottenere dei marcatori chimici che individuino i difetti sensoriali di un olio, così da giungere a un metodo chimico-strumentale e dare più certezze agli operatori. L’olio è un corpo vivo ed è destinato a subire modificazioni, tanto più quando si ha a che fare con oli della fascia “primo prezzo”, volti a soddisfare un bisogno di massa. Sono dunque gli oli extra vergini borderline, quelli che la Grande Distribuzione Organizzata impone per le continue promozioni, evocando la leva del sottocosto per attrarre clienti nel punto vendita, a essere continuamente a rischio.
E non ci si è concentrati sulle logiche della grande distribuzione, indagando per esempio su come vengono conservati i bancali d’olio nei loro magazzini. Gli esperti sanno bene che l’olio va conservato a una temperatura intorno ai dieci, quindici gradi, altrimenti gli oli sono a rischio ossidazione, soprattutto quelli da "primo prezzo”. Può dunque succedere che gli oli da primo prezzo possano evolvere in maniera imperfetta, ma è un rischio, questo, che vale anche con tutti i prodotti alimentari da primo prezzo in commercio.
Qualsiasi cibo o bevanda valutata sensorialmente può dar luogo a imperfezioni, ma da qui a parlare di truffa ce ne vuole. Per il consumatore la via d’uscita c’è: è sufficiente che paghi di più per poter aspirare al meglio, ma se non lo fa vuol dire che non è disposto a spendere cifre ritenute a torto o a ragione alte, soprattutto in tempi di crisi. Succede con tutti gli alimenti, non solo con gli oli extra vergini di oliva, solo che per quest’ultimi la valutazione sensoriale è imposta dalla legge. Se si vuole essere onesti intellettualmente, si sa bene che il punto debole, mai preso nella dovuta considerazione, è soprattutto il modo di conservare e stoccare gli oli nei magazzini dei punti vendita. Occorrerebbe dunque rivoluzionare la gestione degli oli, non dimenticando che si tratta di un corpo vivo, fragile, e pertanto soggetto a modificarsi nella stua struttura. Se non si ha consapevolezza di ciò, allora è legittimo sospettare che dietro tali campagne ci sia malafede. Continuiamo a farci del male, da masochisti incalliti quali siamo, e alla fine prima o poi, vedrete, distruggeremo l’onorabilità di tutto, ma proprio tutto (piccole, medie e grandi imprese) il comparto oleario. Non ci credete? Aspettate, date tempo al tempo.