centrale nucleare grande

Compriamo energia nucleare prodotta a pochi chilometri dal confine nazionale, anziché produrla noi. Confondiamo tossicità con radioattività ed i rischi di una centrale atomica con quelli di una bomba atomica. Tutto ciò ha storicamente alterato il dibattito e le percezioni dell’opinione pubblica. La pessima informazione ha creato e ampliato paure, spesso poi sfruttate dai peggiori demagoghi per raccogliere personali successi elettorali e referendari, colpendo gli interessi del paese e la sua crescita futura.


Oggi l’impennata a cui assistiamo dei prezzi dell’energia ed il tragico conflitto russo in Ucraina, con le conseguenze per i costi e la sicurezza degli approvvigionamenti dell’Unione Europea, hanno chiaramente riportato in primo piano il possibile contributo del nucleare al nostro mix energetico.
In Europa tredici Paesi hanno reattori nucleari mentre gli altri hanno scelto, sino ad ora, di non ospitare centrali nel proprio territorio.

La Commissione Ue si è recentemente espressa a favore dell'inserimento di gas e nucleare (a determinate condizioni, come l’adozione delle migliori tecnologie disponibili) all'interno della tassonomia europea. Il nucleare ha quindi ottenuto la “cittadinanza” fra le tecnologie sostenibili che possono contribuire alla transizione energetica e alla riduzione delle emissioni di gas a effetto serra.

È una riflessione che condividiamo con Umberto Minopoli, Presidente dell'Associazione Italiana Nucleare.

Perché l’Italia deve scommettere, con coraggio, pragmatismo e razionalità, sui reattori del futuro?

Noi generiamo con il gas (che poi importiamo quasi totalmente) il 48% della nostra energia elettrica. Indipendentemente dall’affrancamento dal gas russo, è una percentuale troppo alta, che nessun Paese industrializzato ha e che mantiene l’Italia in una condizione di insicurezza e instabilità energetica. Tutti i paesi industrializzati hanno un mix di generazione energetica più equilibrato. In esso le fonti fossili e il gas sono bilanciate, nella generazione energetica, dal peso crescente delle fonti di generazione no carbon. Che sono, fondamentalmente: idroelettrico, solare fotovoltaico, biomasse, eolico, nucleare, geotermia. Si tratta di fonti diverse, alcune intermittenti e altre continuative, che hanno due caratteristiche in comune: non emettono CO2 e non sono dipendenti dall’importazione dei combustibili fossili. E dalla stabilità delle aree da cui oggi importiamo tali combustibili.
Il nostro mix di generazione elettrica deve evolvere dalla dipendenza eccessiva dal gas ad una condizione di maggiore equilibrio tra le fonti. E dobbiamo evitare, anche, che in ogni caso si riproduca una dipendenza da una sola fonte: anche il passaggio dal “tutto gas” a “tutto rinnovabili” come dice qualcuno, sarebbe sbagliato. Perché manterrebbe il nostro portafoglio elettrico in una condizione di insicurezza e instabilità. La via che il mondo persegue è quella del mix elettrico composto da un contributo di tutte le fonti low carbon. Il nucleare in questo mix equilibrato ha un ruolo significativo. In Europa, si genera con il nucleare, il 25% dell’energia elettrica del continente. Ed è questa la strada che seguono tutti gli altri paesi industrializzati, a cominciare da Usa e Cina. L’Italia non può continuare ad essere un’anomalia.

Investire sul nucleare di ultima generazione è la strada che abbiamo da percorrere se vogliamo tendere ad una certa autosufficienza energetica. Ora siamo gradualmente meno dipendenti da Mosca, dopo le scelte del governo Draghi, ma lo siamo da altri Paesi, non tutte esattamente democrazie occidentali. La storia ci insegna che ci troveremo ad affrontare in futuro anche altre crisi e quindi occorrono investimenti altrimenti ci troveremo ad avere sempre il problema del costo dell’energia. Nel suo libro, “Nucleare. Ritorno al futuro. L'energia a cui l'Italia non può rinunciare”, si offrono spunti preziosi per superare fuorvianti luoghi comuni.

Il nucleare non emette Co2 né alcun altro tipo di inquinante in aria (ossidi, particolati ecc.). I rifiuti del processo nucleare (scorie), di cui si parla, spesso a sproposito, non sono, a differenza dei rifiuti, anche pericolosi, di altri processi chimici, industriali o energetici, rifiuti liberi che vanno in atmosfera (fumi) o in discariche ordinarie. Sono, inoltre, rispetto agli altri rifiuti industriali o di processo, speciali e pericolosi, di quantità esigua (le scorie veramente pericolose del processo nucleare sono appena il 3% del totale. Inoltre, le scorie prodotte in un impianto nucleare (centrali elettriche, ma anche ospedali, industrie e altro) sono sempre contenute e sigillate in contenitori impermeabili, progettati per tenere le scorie separate dall’ambiente e dalle persone per centinaia di anni. In nessun senso e modalità concreta, il processo nucleare impatta l’ambiente o va a scapito di esso. Al contrario, semmai, la gestione dei rifiuti nucleari dovrebbe fungere da esempio per il ciclo di altri rifiuti.

Il fabbisogno di energia del pianeta non va soddisfatto a scapito dell'ambiente, né della ricchezza energetica. Quanto è stretta la strada del nucleare? E quanto l’illusione del ‘tutto elettrico’ è rischiosa?

Andiamo, inevitabilmente, verso l’elettrificazione crescente dei nostri usi energetici. La digitalizzazione comporterà il ricorso crescente alla microelettronica. La decarbonizzazione. Il trasporto elettrico, il passaggio all’idrogeno comportano un aumento dei consumi elettrici. E non possiamo impedire a quella parte di umanità, i paesi poveri del mondo, di aspirare ad una evoluzione dei loro consumi elettrici, ancora così distanti dai nostri livelli. E, ancora, la soluzione di grandi problemi epocali - l’acqua, i consumi alimentari, la siccità … - richiederanno il ricorso all’elettricità per essere risolti. 
I consumi energetici, forse, diminuiranno con l’abbandono dei combustibili fossili, ma il consumo di elettricità, certamente, aumenterà. Le centrali elettronucleari sono quelle che danno energia elettrica in modo più abbondante e continuativo. Hanno, come si dice, il più alto fattore di capacità tra tutti gli impianti, compresi quelli rinnovabili, che producono elettricità. E c’è un nuovo nucleare che si approssima - quello dei piccoli reattori o della quarta generazione - che, oltre che ancora più efficiente e sostenibile, sarà una risposta anche a tanti fabbisogni non elettrici (produzione di idrogeno, usi termici, desalinizzazione ecc.) che saranno importantissimi nei decenni a venire. E, infine, alla metà del secolo avremo a disposizione l’energia nucleare da fusione: quella più pulita, abbondante e sicura di tutte, una specie di sacro graal per l’umanità. Ecco perché dico che il nucleare è l’energia del futuro.

Nel dibattito pubblico alcuni si interrogano sull’opportunità di costruire centrali nucleari in un territorio ad alto rischio sismico come la nostra penisola.

Se volessimo limitarci al rapporto tra centrali nucleari e rischio sismico, gli impianti nucleari sono il caso di maggior successo tra tutti i manufatti industriali, di ogni tipo e finalità. Bisogna sapere che il “rischio sismico”, in ogni paese e in ogni guida o direttiva di costruzione di centrali in ogni parte del mondo, è quello cui deve essere dedicata la maggiore attenzione e meticolosità nella progettazione di un impianto nucleare, che in ogni dettaglio di ingegneria dell’opera di costruzione è fatto per resistere e rispondere senza danni o effetti alle sollecitazioni dei terremoti di più alta magnitudo.
Si sa, ad esempio, che le regole costruttive o antisismiche che valgono in aree ad altissima sismicità (il Giappone ad esempio, che ha 50 impianti nucleari) vengono osservate per tutte le centrali del mondo, comprese quelle in zone, magari, prive di esperienze sismiche? E proprio il terremoto giapponese del 2011, di scala nove come magnitudo, forse tra la più alte come intensità della storia moderna del mondo, ha lasciato indenni i 50 reattori nucleari del Giappone. E per l’unico di essi che ha subito un grave incidente, la causa non è stato il terremoto (a cui l’impianto di Daichi rispose, analogamente agli altri del Giappone, fermandosi in modo innocuo e senza danni) ma per l’inondazione di acqua, conseguente ad un maremoto, che bloccò l’alimentazione elettrica di quella centrale, posizionata in modo inaccurato e non previdente. Sarebbe bastato un muro di contenimento più alto per difendere dall’acqua i sistemi di emergenza elettrica della centrale e Fukushima potrebbe essere studiata come il caso si successo più significativo nel rapporto tra le centrali nucleari e il rischio sismico”.

@antonluca_cuoco