giuseppe conte mascherina grande

Conte fugge sempre da qualunque responsabilità. Ha evitato fino ad ora di prendere misure serie per affrontare l'epidemia, insistendo sulla non-necessità (e sulla sua non-volontà) di imporre un lockdown, arrivando quasi a presentare le restrizioni dell’ultimo Dpcm come una conseguenza dell'indisciplinatezza dei cittadini.

Conte, che sostiene di inseguire il virus, insegue piuttosto il consenso e si preoccupa di dirottare il dissenso “fisiologico” su altre figure, riservandosi un ruolo super partes, salomonico e notarile: pare che sia stato proprio Conte a insistere per rimandare (l'inutile, dice Crisanti) coprifuoco dalle 21 alle 22 (per presentarsi misericordioso e sensibile al fastidio dei cittadini). Ha voluto delegare totalmente a Speranza le decisioni sensibili sulla perimetrazione delle aree di rischio. A decretare la misura del lockdown è una sorta di algoritmo che combina una serie di indicatori, non lui. A darvi attuazione è il Ministro della Salute, non lui.

È bene ricordare come a luglio Conte, annunciando la proroga dello Stato di emergenza, abbia, tra le altre cose, motivato tale decisione con la necessità di tenere sempre sotto controllo la curva epidemiologica per poter intervenire tempestivamente. È bene ricordare, inoltre, che ad agosto il Ministero della salute aveva pubblicato una circolare contenente "elementi di preparazione" per la risposta all'epidemia durante autunno ed inverno. La circolare prefigurava quattro differenti scenari a seconda della gravità della diffusione del virus e stabiliva diverse misure da assumere, per ogni scenario, nei mesi invernali. Anche negli scenari meno "allarmanti" veniva, comunque, previsto lo "screening" di "specifiche categorie target di popolazione" e anche "l'attivazione" o (addirittura), sin da settembre ed ottobre, "il potenziamento" degli alberghi per l'isolamento dei casi, nonché misure per evitare l'affollamento dei mezzi pubblici e l'istituzione di zone rosse locali.

Tuttavia, sembra proprio che il Governo Conte abbia subito un processo di "alienazione" e si sia dimenticato di attuare le misure necessarie per prepararsi alla seconda ondata. Conte non ha mai affrontato la pandemia "scientificamente" (cioè utilizzando il metodo scientifico), come invece ha sempre fatto Merkel nella comunicazione e nel governo. Il Presidente del consiglio dei ministri ha fatto della "scienza" (e delle raccomandazioni della comunità scientifica) un feticcio dogmatico, tentando di semplificare malamente ed in modo fuorviante concetti complessi.

Conte durante tutta l'estate ha sostanzialmente ripetuto che se si fossero "rispettate le regole" (tuttavia regole molto - eufemisticamente - "malleabili" ) durante la bella stagione, non avremmo avuto una seconda ondata. Tuttavia, lo stesso Conte, a livello comunicativo, anche nel suo comportamento (mascherina al chiuso non sempre, se distanziato, distanziamento sovente non rispettato quando portava la mascherina) ha creato un feticcio semplificato delle precauzioni da adottare secondo le raccomandazioni della comunità scientifica: il primo ministro ha voluto trattare la scienza come un dogma.

"Se si porta la mascherina andrà tutto bene"."Se si tiene la distanza di sicurezza andrà tutto bene". Naturalmente la semplificazione è stata sbagliata e fuorviante e ha dato alla popolazione un falso senso di sicurezza. Bisogna, infatti, evidenziare alcuni elementi: anzitutto, la distanza minima di sicurezza indicata in Italia (1 metro) è stranamente molto inferiore alla distanza di sicurezza usata in altri Paesi (i 6 piedi americani sono quasi 2 metri, 1,83 cm, in Canada si raccomandano 2 metri, in Svizzera 2 o 1,5 metri ed anche in Germania 1,5 metri) e bisogna, poi, notare come tale distanza non "immunizzi" dal contagio; infatti, con colpi di tosse e starnuti il virus può viaggiare, sembrano indicare gli studi, fino a 8 metri di distanza.

Neanche la mascherina, seppure utilissima, "immunizza" completamente o, comunque, esenta dal distanziamento fisico. Spesso questa estate Conte si è avvicinato ad assembramenti di persone per farsi fotografare “con il popolo” indossando una mascherina, ma non mantenendo la distanza, ugualmente durante la conferenza stampa che si è tenuta a Palazzo Chigi il 7 luglio i diversi ministri erano distanziati (più o meno), ma non portavano la mascherina.

Tutti questi comportamenti anche da parte di figure istituzionali importanti hanno alimentato la convinzione che mascherina e distanziamento fossero feticci magici, totalmente immunizzanti e da usare alternativamente. Da parte istituzionale non è mai stata evidenziata l'importanza dell'effetto cosiddetto "areosol" nel contagio. Come pochi giorni fa aveva, infatti, efficacemente illustrato e spiegato El Pais, l'effetto aerosol (ossia piccoli droplet che rimango molto a lungo sospesi in aria nei luoghi chiusi) rende i luoghi chiusi e poco areati estremamente pericolosi.

Senza indossare la mascherina, pur mantenendo la distanza di sicurezza, il contagio in un luogo chiuso non adeguatamente areato è molto probabile. Ugualmente, anche indossando la mascherina in un incontro prolungato al chiuso, senza adeguata areazione, si è comunque a rischio.

Conte non ha voluto (e non ha saputo) affrontare ed illustrare ai cittadini i vari diversi aspetti delle dinamiche del contagio, soprattutto considerando che l’assoluta maggioranza dei focolai continua a essere domestica e per lo più intra-familiare. Ha voluto banalizzare le strategie di contrasto alla pandemia a un "comportarsi bene", senza spiegare adeguatamente quale fosse il "comportarsi bene" e ha scaricato su altri tutte le decisioni di Governo necessarie alla limitazione del contagio.

In effetti, il comportamento di Conte non è quello di un governante "inetto" o "impreparato", ma quello di un primo ministro che ha colpevolmente deciso di mettere la propria "sicurezza" di posizione e di consenso prima della sicurezza del proprio Paese e che cerca di mascherare le proprie mancanze (ed anche le decisioni dolorose che sarebbe necessario prendere) in un processo di continua alienazione dalla responsabilità. Che dipendano dalle colpe delle regioni, dalle decisioni del ministro Speranza, dalle analisi del Comitato tecnico scientifico o dal comportamento poco ligio dei cittadini, tutte le scelte fatte durante questa epidemia, a sentire il nostro primo ministro, non sono direttamente ascrivibili a Conte.

Conte recide il nesso tra la propria “firma” in calce ai Dpcm e la propria responsabilità sui Dpcm, presentando le azioni del Governo come necessitate e imposte e comunque da lui non volute, in un rapporto causa-effetto deterministico con elementi esterni non controllabili. Come aveva intenzione di fare il Movimento 5 stelle attraverso la democrazia diretta, Conte sta attuando la dissociazione della politica dalla responsabilità e dalla accountability dei governanti. Infatti, come con la democrazia diretta i governanti non sarebbero più direttamente responsabili delle proprie azioni, in quanto meri esecutori della volontà del popolo, allo stesso modo Conte è un perenne innocente irresponsabile, mero esecutore di ciò che, alternativamente, gli chiedono ragioni di consenso o gli impongono impersonalmente i “dati”, la “scienza” o la “pandemia”.

Nella magistrale e melliflua attuazione della logica della deresponsabilizzazione della politica, Conte adopera furbescamente le debolezze del Titolo V per continuare ad "immunizzarsi" dal peso politico delle decisioni. Conte nel mutilare, ancora più profondamente di quanto fosse già stato mutilato in Italia, il legame tra governo e responsabilità esegue, in un certo modo, il sogno ed i progetti del Movimento 5 stelle (anche di Casaleggio) e abitua l'opinione pubblica e la società civile italiane ad un crescente autoritarismo (scombinato, parodico, italiano).

Notava, durante la prima ondata dell'epidemia, Mauro Mellini che così come Andreotti nel suo titolo del libro "Governare con la crisi" intendesse - ad avviso di Mellini - "con la crisi" quale complemento di mezzo, allo stesso modo Conte stava governando "con il virus". Per Giuseppe Conte il virus è stato il principale mezzo di governo, ovvero mezzo per mantenere il potere grazie all'alienazione di un sano "circuito" politico di azioni e reazioni, grazie all'alienazione e alla proiezione su altro e altri della responsabilità politica.