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Nel gennaio 2020 i Ricercatori italiani, possessori di piante geneticamente modificate (OGM) costituite presso i loro laboratori, hanno sollecitato, a mezzo lettera raccomandata, alcuni Ministri e rappresentanti italiani a Bruxelles, a rimuovere il divieto di sperimentazione in campo di piante geneticamente modificate, imposto in Italia, e solo in Italia, da quasi 20 anni.

Il divieto riguarda sia le piante ottenute col trasferimento genico (OGM) sia quelle ottenute con la recente tecnologia del Genome Editing (GE). Per queste ultime, la cui tecnologia non prevede il trasferimento di geni da individuo a individuo, si auspica un iter semplificato per la commercializzazione, ma la via sembra ancora lunga e molto incerta, tanto che l’Europa ha rimandato la discussione sull’argomento ad aprile 2021. Si ribadisce fermamente che la sperimentazione di campo è indispensabile per saggiare, in condizioni comunque controllate, la loro efficacia e la sicurezza ambientale.

L’Unione Europea continua ad approvare notifiche per l’importazione di nuovi prodotti OGM da oltreoceano e al contempo gli Stati membri, con ignobile ipocrisia, continuano a vietarne la coltivazione con gravissimi danni economici per gli agricoltori. I maiscoltori padani sono costretti a ridurre le loro superfici coltivate a mais, perché non reggono la concorrenza di mais OGM, sia per rese unitarie sia per qualità.

In certe annate, sono costretti a bruciare la granella nei termovalorizzatori, perché non idonea all’alimentazione umana o animale, a causa della presenza di aflatossine notoriamente cancerogene al di sopra dei limiti consentiti dalla legge, sebbene durante la coltivazione vengano impiegate massicce quantità di insetticidi, non certo di per sé utili all’ambiente, che dovrebbero controllare gli insetti responsabili della loro origine. Al contrario, le coltivazioni di mais OGM, capaci di difendersi autonomamente, non richiedono tali trattamenti chimici per fornire il prodotto sano, a tutto beneficio del reddito degli agricoltori, della salute e della tutela dell’ambiente.

Entrambe le tecnologie (OGM e GE) vanno salvaguardate, perché sono complementari e indispensabili per costituire rapidamente nuove varietà (per ampliare cioè la variabilità genetica). Negli USA, approfittando della scadenza di alcuni brevetti, si continua a costituire nuovi OGM, alcuni dei quali vengono autorizzati ad essere coltivati con una semplice comunicazione agli uffici preposti, in quanto considerati GRAS (generally recognized as safe), cioè sicuri, perché assimilabili alle piante già in commercio costituite con le stesse già collaudate tecnologie da oltre 30 anni.

Le piante OGM per le quali abbiamo chiesto lo sblocco del divieto di sperimentazione di campo, appartengono a varietà di specie tipiche dell’agricoltura italiana, per un totale di oltre 40 differenti individui, molti dei quali sono in attesa da oltre 20 anni in vari laboratori italiani, da programmi pubblici, non brevettati da multinazionali e disponibili per i nostri agricoltori. L’elenco include olivo, vite, susino, fragola, actinidia, pero, pomodoro e frumento. Queste specie sono state modificate per migliorarne la resistenza a malattie (funghi, batteri, virus), siccità e freddo, il processo di maturazione del frutto, l’auto-fertilità, la produzione dell’amido al fine di rendere migliore il processo di panificazione o di pastificazione. Inoltre, alcuni di questi individui producono proteine importanti per un possibile impiego farmacologico, per esempio il trattamento di malattie neurodegenerative.

Si chiede espressamente allo Stato italiano di porre fine al furbesco e alquanto ipocrita espediente finora adottato, per cui il Ministero dell’Ambiente non può rilasciare l’autorizzazione di sperimentazione in campo, in quanto il Ministero dell’Agricoltura e quello dell’Ambiente non hanno ancora approvato i protocolli sperimentali e le Regioni non hanno ancora individuato i siti di sperimentazione. Compiti che l’Italia avrebbe dovuto adempiere, già dal 2007, come hanno fatto tutti gli altri Stati comunitari secondo le direttive della UE. In questo modo si è privato il mondo agricolo nazionale di conoscenza e informazioni sui possibili rischi e benefici reali prodotti da questa tecnologia e anche di nuovi prodotti probabilmente utili a risolvere problemi importanti delle nostre produzioni agrarie.

È per questo motivo che si chiede nel contempo alle associazioni di categoria di esprimersi in maniera chiara e netta. A parole si sono espresse favorevolmente in tante occasioni, in pratica non hanno dato alcun supporto, mostrando un atteggiamento antiscientifico e paura di esporsi sull’approvazione di questa tecnologia. Assieme ai politici hanno costantemente abusato dell’espressione “innovazioni tecnologiche”, senza tenere in considerazione che queste si raggiungono attraverso la ricerca, l’impegno dei ricercatori e adeguati investimenti umani e finanziari.

La Natura e l’azione dell’uomo generano fenomeni sempre nuovi: il coronavirus, i cambiamenti climatici in atto e l’indiscriminato aumento demografico sono i più recenti ed evidenti fenomeni, peraltro già da tempo preconizzati e che non avrebbero dovuto coglierci impreparati nel porre rimedi ai rischi che possono generare. Al contrario, invece di intensificare le ricerche, per prevenire o combattere rapidamente questi rischi con nuove efficienti tecnologie, stiamo assistendo in certi settori ad una progressione scientifica piuttosto lenta e farraginosa, per motivazioni ideologiche, etiche e paure spesso immotivate.

In certi Paesi si muore o si diventa ciechi ancora per una semplice avitaminosi (vitamina A), per malnutrizione e per carestie dovute a ricorrenti siccità, quando già da tempo ci sono piante pronte per essere coltivate che possono ridurre questi problemi (riso con provitamina A, mais resistente a siccità, etc.), ma trovano ostacoli ad essere coltivate o addirittura ad essere sperimentate in campo, come avviene appunto in Italia. Ci si preoccupa solo quando è troppo tardi e allora non ci si fa scrupoli ad incolpare la scienza e gli scienziati.

Disporre di piante resistenti a malattie in tempi rapidi, come si potrebbero ottenere con le biotecnologie moderne, non è più un lusso, ma una improrogabile esigenza causata prevalentemente dalla globalizzazione. La facilità e l’estrema rapidità con cui i parassiti circolano indisturbati negli angoli più remoti del nostro pianeta, per l’assenza di nemici naturali, rendono necessari i presidi sanitari efficienti sempre più difficilmente reperibili.

Le biotecnologie sono strumenti aggiuntivi e spesso più rapidi nel far fronte alle impellenti richieste da parte degli agricoltori per migliorare le filiere produttive, incluse quelle del biologico, più sicure per l’ambiente e per i consumatori. Al contempo sono capaci di salvare dall’estinzione quelle varietà che fanno parte delle nostre tipicità locali, che è un nostro dovere proteggere, come è doveroso preservare la tradizione. Di fatto l’Italia, in particolare, ha delegato ai privati non solo la produzione dei prodotti biotech, per poi importarne in massicce quantità, ma anche la ricerca, con gravi perdite di know-how, nonché di finanziamenti provenienti da programmi Comunitari.

Con l’avvento delle tecnologie del Genome Editing, la ricerca ha ripreso timidamente nel settore biotech con un moderato entusiasmo da parte dei giovani ricercatori che stanno però pagando lo scotto di quasi 20 anni di semi-inattività oltre alle difficoltà e delusioni che tra breve dovranno affrontare per superare l’insormontabile ostacolo dovuto al divieto di sperimentare i loro prodotti in campo, in particolare le piante arboree che mal si adattano ad ambienti artificiali confinati.

I cittadini hanno il diritto di conoscere e di vedere con i loro occhi, presso i campi sperimentali, i reali benefici e le soluzioni utili messe in atto a rendere più sicure le nostre filiere agricole e conoscere direttamente dagli esperti e non dagli improvvisati comunicatori, spesso di parte e con conoscenze superficiali, i reali vantaggi e gli eventuali rischi garantendo, al contempo l’azione di una autorevole ricerca pubblica di controllo su quella privata.

Oggi i cittadini sono confusi, perché nessuno spiega loro con sincerità e competenza cosa sono queste tecnologie e perché sono così importanti e indispensabili. In questo momento storico vige l’errata convinzione che tutto ciò che è naturale è buono, che il biotech è il contrario del biologico e che minaccia la biodiversità delle specie vegetali e alimentare. Queste erronee notizie, diffuse prevalentemente a scopo commerciale, provocano nei cittadini un senso di avversione verso le modalità di produzione e verso la ricerca biotech, sia privata che pubblica.

Al contrario essi dovrebbero pretendere dal mercato un prodotto finale di qualità, sicure e a un prezzo accessibile a tutti. D’altro canto non si avverte ancora una seppur minima minaccia di carenza di cibo, almeno in Europa, sistematicamente fronteggiata da massicce importazioni da oltre oceano sia di prodotti tradizionali che di prodotti OGM. Solo se, malauguratamente, si dovesse paventare una necessità di cibo, allora ci si accorgerebbe della importanza della ricerca e delle sue innovazioni. Solo allora si realizzerà che ogni limitazione posta alla ricerca pubblica equivale a favorire coloro che ideologicamente si vorrebbe combattere.

I cittadini debbono sapere che la tecnologia OGM in agricoltura non è stata un fallimento, come i detrattori vogliono far credere, solo perché i pochi prodotti in commercio testimoniano una aspettativa inferiore a quanto ci era stato prospettato. Semmai questo è il risultato di anni di attivismo anti-OGM che ha avuto l’effetto di bloccare la ricerca pubblica, accessibile a tutti, ma non quella delle multinazionali che hanno continuato a investire solo sulle specie a più ampio valore commerciale e di profitto a livello globale. Se l’obiettivo degli anti-OGM era quello di bloccare le multinazionali, il risultato è stato quello di rafforzarle e aumentare il loro controllo sulle produzioni di diversi alimenti di base per la popolazione mondiale (mais, soia, riso). Il numero dei prodotti continuerà ad essere esiguo anche in futuro se non verrà semplificata la regolamentazione per l’immissione in commercio, che richiede notevoli investimenti finanziari che escludono a priori le Istituzioni di ricerca pubblica e le piccole imprese Nazionali.

Sebbene consapevoli che le innovazioni genetiche, prodotte con tecniche biotech, non siano le uniche soluzioni per la lotta alla miseria, alla fame, alla malnutrizione e al degrado ambientale, possono tuttavia offrire un considerevole contributo. Bloccarle, per motivi ideologici, giocando altresì sui bias cognitivi, o per l’interesse di alcune lobby è un atto sconsiderato e irresponsabile. In particolare, lo è nei confronti dei ricercatori italiani, a cui viene negato il diritto di mostrare i risultati delle loro ricerche, degli agricoltori che non hanno accesso alle innovazioni che possono garantire una maggiore sostenibilità dei loro sistemi produttivi e dei consumatori, a cui non viene data la corretta informazione sull’impatto di queste tecnologie e sui possibili benefici sulla sicurezza alimentare.