Morto un Vannoni, se ne fa un altro. Il ‘metodo Stamina’ come ideologia politica
Scienza e razionalità
È morto Vannoni, parce sepulto. A differenza dei suoi predecessori, come lui inventori di prodigi scientificamente farlocchi, non ha solo dato l’impressione di celebrare l’ennesimo esorcismo contro la morte prestando la forza della compassione a inutili pozioni da fattucchiere, ma di avere inaugurato la strada di un miracolismo medico tutt’altro che ingenuo, perfettamente padrone dei meccanismi del circo mediatico e delle sue debolezze e quindi capace di estrarre rendite economiche e reputazionali inverosimili dall’enorme capitale di consenso e di quattrini rappresentato oggi dalla sfiducia verso qualunque tipo di establishment, compreso quello in camice bianco.
Non si può escludere, vista la sua storia personale, che Vannoni fosse davvero persuaso di avere scoperto la pietra filosofale e di avere fatto di questa verità anche una ossessione, oltre che una lauta forma di guadagno, nel piratesco peregrinare tra sotto scala, centri estetici, cliniche compiacenti, fino a sbarcare in fior fiore di ospedali pubblici. Ma Vannoni non è stato solo uno dei tanti guaritori irregolari che hanno avuto portentoso e poco duraturo successo, ma l’oracolo di un populismo scientifico suscettibile di applicazioni trasversali e perfino politiche, uno dei tanti dinamitardi del “potere costituito”, con i suoi ordigni composti non da cellule coltivate in laboratori segreti, ma dall’esplosiva miscela di deficit cognitivi, frustrazione psicologica e paura della “fine”, che è anche, ma non solo, paura della morte.
La logica di Stamina - cioè l’affermazione di una verità miracolosa a misura non della speranza, ma della disperazione umana - è diventata il metodo per eccellenza del successo populista. La sfortuna di Vannoni, rispetto a quella dei banditori dell’odio e del sospetto, degli esorcisti no euro, dei sovranisti di tutte le risme, dei cacciatori degli untori della peste economica planetaria, non è stata legata solo alla maggiore (ma relativa) resistenza degli ambienti scientifici rispetto a quelli politici al fascino dell’impostura, ma anche alla superiore e drammatica realtà della malattia e della morte dei corpi rispetto alla evanescente, disputabile e lentissima malattia e morte del corpo sociale, capace di prorogare un simulacro di vita e un’illusione di salute per anni, decenni e generazioni, prima del game over. In entrambi i casi, è vero che morto un Vannoni se ne fa un altro, e morto un Casaleggio pure, anche se su di un lato apparentemente opposto della barricata politica.
D’altra parte la cifra più oscura e anti-illuministica della attuale stagione politica non è la diffidenza verso il metodo scientifico, la credulità verso i miti delle origini, la devozione verso la teoria e la pratica del “naturale” e del “tradizionale”, ma è ancora più profondamente la diffidenza verso qualunque istituzione, qualunque insieme di regole e pratiche razionali, considerate, in sè, uno strumento di inganno, di dominio e di sfruttamento. La diffidenza verso il sapere come potere incontrollato e verso la fiducia razionale come resa al "sistema". Di questo cataclisma anti-razionalistico Vannoni è stato un interprete affermato, ma tutto sommato un impresario minore e con meno immunità e protezioni dei suoi emuli politici.