Agli esseri umani una delle cose assolutamente più gradita è stata, è e per sempre sarà la ricerca di un capro espiatorio. Uno dei più ricorrenti in Italia è la classe politica, la "casta" per eccellenza. Eppure, sebbene questa non sia innocente rispetto al declino della nostra economia e della nostra società, farne l'unico colpevole non è un'idea così astuta.

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Altro che una chiacchierata con gli amici o una bella passeggiata: pare che agli esseri umani una delle cose assolutamente più gradita sia stata, sia e per sempre sarà la ricerca di un capro espiatorio, da percuotere per un tempo sufficiente a convincerci che il problema non sta dentro di noi, ma altrove. La definizione è per l'appunto questa: si attribuisce ogni colpa ad una persona o a un gruppo di persone che percepiamo come altri rispetto a noi. In questo periodo il capro espiatorio che sta scalando le classifiche del gradimento è senz'altro l'euro, ma ce n'è uno molto più antico –nessuno lo nega: meravigliosamente ricco di colpe, negligenze, crimini e idiozie- che con ottima frequenza fa capolino nei discorsi delle persone e nelle conversazioni pubbliche. Mi riferisco alla classe politica, ai politici, la "casta" per eccellenza. Intendiamoci: sono ben lungi dal volervi convincere che la classe politica italiana sia innocente di fronte al declino della nostra economia e – per chi è moralista - della nostra società. Il mio fine è tuttavia un altro: quello di persuadervi che fare della classe politica un capro espiatorio, cioè l'unico colpevole esterno a noi, non è un'idea così astuta.

Un aneddoto importante: Piercamillo Davigo, uno dei giudici appartenenti al pool di inchiesta capitanato da Francesco Saverio Borrelli, ricorda ne "La giubba del re: intervista sulla corruzione" come il consenso collettivo intorno all'intera azione di Mani Pulite contro la corruzione e concussione endemica al sistema politico-economico italiano diminuì in maniera molto rapida quando il filone dell'inchiesta sulla Guardia di Finanza cominciò a incriminare i "pesci piccoli", cioè finanzieri che commettevano reati di concussione di importo relativamente piccolo, ma comunque sufficiente per far cambiare il tenore di vita alle loro famiglie. Secondo Davigo, l'inchiesta di Mani Pulite smetteva di dedicarsi al solo smascheramento di quel capro espiatorio a cui tutti pensavano senza avere abbastanza prove, cioè la classe politica, mettendosi invece a individuare i responsabili di reati corruttivi e concussivi anche "tra la gente": il vicino di casa, il parente, l'amico. Se avessi la prosa di Giulio Tremonti scriverei che il capro espiatorio è lontano da noi, o non è.

Esco dall'aneddoto per tornare al tema specifico dei politici, che –in una democrazia rappresentativa- sono politici esattamente perché sono stati eletti o riconfermati da una maggioranza sufficiente. A ragionare in termini astratti, termini che appartengono al bel mondo della teoria dei giochi, il concetto di capro espiatorio collettivo cade, in quanto è la collettività stessa ad avere votato o rivotato un certo personale politico per un periodo sostanzioso di tempo, o comunque per un tempo sufficiente per suscitare quell'irrefrenabile voglia di trovare un capro espiatorio. La collettività deve coordinarsi e sostituire una classe politica inefficiente con una migliore, a prescindere dalla collocazione ideologica relativa: si scelgano migliori politici a destra, sinistra e al centro.

Come insegna una lunga linea di letteratura in politica monetaria - a partire dal contributo iniziale di Kydland e Prescott (Journal of Political Economy, 1977) -, qualora non si abbia fiducia nelle scelte discrezionali fatte dagli individui, siano essi banchieri centrali o elettori, l'opzione più sensata consiste nello stabilire regole che limitino tali scelte, ad esempio proibendo gli acquisti diretti di titoli di stato da parte della banca centrale stessa. Il fatto che vi sia una dialettica interessante e importante tra regole e discrezionalità non implica che tutte le regole siano intelligenti. Anzi: c'è un congruo numero di regole che sono parecchio cretine, o comunque non molto intelligenti.

Mi riferisco in particolare al vincolo al numero di mandati a una certa carica elettiva, vincolo che in certi ordinamenti è legge che vale per tutti (ad esempio: il massimo di due mandati come presidente degli USA, così come previsto dal XXII Emendamento alla Costituzione, ratificato nel 1951, e per la carica esecutiva di governatore in alcuni stati), mentre in altri casi è regola che un certo partito si autoimpone attraverso il proprio statuto (i vincoli al numero di mandati parlamentari in Italia). Bisogna distinguere i diversi casi. Sono ragionevolmente favorevole al meccanismo del XXII Emendamento: la carica di presidente di uno stato come gli USA assomma in sé un quantitativo tale di potere e poteri per cui non sembra così irragionevole limitarne obbligatoriamente la durata, con il fine ultimo di evitare l'emersione pericolosa di un "sovrano (ripetutamente) eletto". Dall'altro lato, non esistono negli USA limiti ai mandati parlamentari a livello federale (Senato e Camera dei Rappresentanti), ed è ottima cosa che sia così. In primis il singolo parlamentare è dotato di molto minor potere di un politico che detiene una carica esecutiva, e quindi i rischi di un esito in qualche modo autoritario sono assai minori. Non solo: la politica è una professione che si impara attraverso l'esperienza, e attraverso un cursus honorum che tipicamente inizia a livello di assemblea legislativa all'interno del singolo stato, per poi proseguire a Washington. E la storia non finisce qui: Ted Kennedy è diventato uno dei più importanti senatori USA attraverso l'esperienza di decenni all'interno del Senato stesso. Questo cursus honorum si traduce di solito nel graduale passaggio a commissioni parlamentari (committees) sempre più rilevanti dal punto di vista delle materie trattate.

In Italia le cose sembrano funzionare diversamente: la sfiducia nella capacità (discrezionale!) da parte degli elettori di mandare a casa politici incapaci ha come conseguenza la ricerca di regole sostitutive, ad esempio quella sul numero dei mandati, che alcuni partiti hanno deciso di adottare al loro interno. L'idea sottostante sembra essere quella secondo cui la politica è un'attività che sistematicamente avvelena le persone, rendendole inefficienti e/o corrotte. Dal punto di vista strategico, una situazione in cui vige un limite stretto di due mandati parlamentari potrebbe - a onor del vero - indurre a partecipare alle elezioni politiche individui che hanno meno intenzioni di dedicarsi alla politica per lungo tempo, appunto perché il limite dei mandati è stringente. Ma ancora una volta spunta fuori l'idea del politico-come-capro-espiatorio, nella versione più raffinata del "tizio interessato alla politica come professione, dunque potenzialmente malvagio dunque capro espiatorio". Dall'altro lato, politici cosiffatti non sono in grado di acquisire esperienza sufficiente: anzi, nel momento in cui ragionevolmente l'hanno acquisita (perlomeno una decina d'anni) sono costretti dal loro partito a non candidarsi più.

C'è un problema ulteriore: se un certo parlamentare è al suo ultimo mandato rispetto al vincolo fissato dal partito, la scelta di non rieleggerlo non può più funzionare come una minaccia per farlo lavorare meglio e in maniera più consona alle preferenze degli elettori. E non è soltanto una questione di (ri)elezioni future che funzionano da bastone e carota rispetto ai parlamentari in carica: è anche un problema di arrivare alla selezione di bravi politici, cioè individui capaci all'interno di quella professione che si chiama politica. Se abbiamo scoperto un "Maestro del Senato" come Lyndon Johnson (poi vicepresidente e presidente degli USA), perché buttarlo via dopo due mandati? Anzi il rischio - con un limite molto basso al numero dei mandati - è di non scoprirlo neanche. Vabbè, così non abbiamo nemmeno il rammarico di doverlo buttare via in fretta.

Per chi vuole leggere qualcosa di più tosto, qui c'è un bell'articolo teorico ed empirico in cui si trova il modo di distinguere l'effetto bastone/carota delle elezioni dall'effetto "talent scout", di selezione: eccolo.

Qui trovate invece un pezzo dove si mostra come la qualità dei parlamentari cresca con l'esperienza parlamentare stessa, avendo tenuto conto dell'effetto di talent scout giocato dalle elezioni (dichiaro il mio grave conflitto di interessi: Jim Snyder è mio amico e coautore).

Concludo confrontandomi con un ultimo effetto collaterale dell'idea dei politici come capro espiatorio: la convinzione che i membri della "società civile" debbano scendere (o salire) in politica per sostituirsi trionfalmente agli inefficienti e corrotti politici di professione. In una frase: preferisco i professionisti ai dilettanti, e una legge elettorale con collegi uninominali sarebbe un buon viatico per cacciare a metaforici calci i professionisti incapaci e/o corrotti.